Obbligo scolastico

Fa discutere in questi giorni il caso della professoressa aggredita verbalmente in classe dai genitori di un alunno (http://www.flcgil.it/rassegna-stampa/nazionale/tuteli-la-dignita-della-scuola-e-l-aggressione-dei-genitori-alla-prof-diventa-un-caso.flc)

Purtroppo l’estensione dell’obbligo scolastico (sancito dall’art.34 della Costituzione, e prolungato a 12 anni dalla Moratti con la legge 53/03) ha aggravato una situazione già precaria; pochi ricordano che, prima di questa legge, ai genitori era consentito assolvere personalmente all’obbligo (anche se, di fatto, quasi nessuno utilizzava questa possibilità).

Ma il problema è nato da un effetto collaterale della legge, la mancanza di selezione: se la ripetizione di un anno (ma non più di due volte ciascuno) era il modo in cui la “vecchia” scuola mandava avanti quelli che raggiungevano un certo livello di profitto (e sulle modalità di accertamento si può anche discutere), questo sistema è, di fatto, venuto a cadere.

Si è insomma accettato che, qualsiasi cosa faccia o non faccia un alunno, fino ai 14 anni “va avanti”,  poi  si può indifferentemente iscrivere sia al sistema di istruzione (licei) che alla formazione professionale regionale.

Ma anche ai licei (la cui sopravvivenza è legata al numero di studenti che si iscrivono) la tendenza è attirare gli alunni con un’ampia offerta “formativa” e cercare di tenerseli.

Ecco la vera ragione della conflittualità: il docente , se vuole conservare il posto, deve rinunciare ad ogni pretesa; l’alunno sa di avere la totale impunità; i genitori (stante il valore legale del titolo di studio), vogliono solo quella certificazione.

La soluzione l’aveva già indicata Luigi Einaudi, all’indomani della costituzione della Repubblica: la abolizione del valore legale del titolo di studio: da bravo liberista sarà il mercato a decidere quali competenze ha ciascuno (il che poi già avviene col precariato e i bassi stipendi di ingresso).

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