Ma soprattutto mi rendo conto che in questo anno, dal luglio scorso, ho buttato via, pulito, sfoltito.Sì. Ho buttato via la televisione, ad esempio. Non mi ricordo nemmeno di averla, se non fosse per i bambini che alla sera desiderano rincitrullirsi davanti ai cartoni. Io l’ho accesa una volta sola quest’anno, per vedere La grande bellezza. Il fatto di accenderla, guardare, ho notato, era un automatismo, evidentemente, ma che non mi portava molto, se ora non mi manca per nulla. La sera in casa c’è silenzio, io sul divano che leggo o scrivo, luce bassa. Bello.
Ho buttato via vestiti, tanti, troppi, dei bambini, miei, a sacchetti. Abbiamo troppe cose, troppe, alle volte ne sono nauseata, nauseata da come ce le propongono, a basso prezzo, che par impossibile non comprarsi quella magliettina a sette euro se vai a farti un giro, in fondo che sono sette euro? E poi la metti una volta e fine, e qualche bambino si è tagliato un dito in una fabbrica schifosa per farla, per esser ottimisti, e tu non la metterai più, e poi la butterai, e finirà magari addosso a qualcuno o forse al macero, a riempire la terra di roba che non sapremo più dove mettere e che ci seppellirà. Cerco di uscire da questo meccanismo, alle volte con difficoltà, certo.
estratto da http://thepellons.wordpress.com/2014/07/23/i-gave-all-i-could-but-it-left-me-so-sore/
No. Non è proprio facile uscire da questo ingranaggio che tra l’altro abbiamo contribuito ad oliare per anni, convinti di farlo non solo per il nostro benessere ma anche in nome del progresso, per incentivare l’economia, per creare posti di lavoro. Così almeno ci veniva propagandato. Ma quello che sconforta è che ancora oggi, in tempo di crisi conclamata, continuano a dirci che la soluzione è ancora la stessa: più consumismo, più crescita, più benessere per tutti. Ci viene detto che bisogna essere ottimisti, quando, invece, bisognerebbe fare affidamento su quel sano pessimismo della ragione che sta sussurrando alle nostre orecchie: “Prossima fermata: Capolinea!”
Certo! Intanto però stanno passando sottobanco alla TV tutta una serie di elogi agli anni ’50 in cui siamo passati dalla povertà al benessere, giusto per consolarci della inevitabile fase discendente che ci aspetta.