Tempo di scrutini

Proprio qui, però, si manifesta il nodo più sconvolgente. Un marziano si aspetterebbe che gli insegnanti, che hanno scelto un mestiere che ha a che fare con le idee, la cultura, l’educazione, posti di fronte a simili schede, rifiutassero semplicemente di prenderle in considerazione, con un grilliano «vaffa» nei confronti di chiunque, dal ministero in giù, volesse loro imporle, o che, quanto meno, le facessero compilare ad uno di loro in maniera rapida e meccanica, dando ad esse il nessun peso che meritano. Abbiamo notizie che in qualche caso le cose sono andate proprio così. Ma si tratta di casi isolati. Lo spettacolo che solitamente si presenta ha dell’incredibile: insegnanti che si lasciano via via coinvolgere in discussioni e diatribe su simili compilazioni. La frequenza scolastica dell’allievo (altra voce da compilare) è «assidua», «regolare», o «saltuaria»? C’è già registrato, sul tabellone dello scrutinio il numero di assenza per ciascuna materia, una nuda cifra che non ha bisogno di chiose. Ma spesso succede che un insegnante propone di barrare, per un certo allievo, la casella della frequenza «regolare», e subito un altro, che constata un numero maggiore di assenza per la propria materia, reagisce (specie se in pregressa dissintonia psicologica con il primo) dicendo «Ma come! La frequenza non è regolare, è saltuaria!», e giù a discutere. Abbiamo assistito di persona ad una discussione, riguardo ad un allievo, se in riferimento al suo metodo di studio dovesse venire barrata la casella «ordinato», oppure quella «organizzato» (sic!).

estratto da http://www.appelloalpopolo.it/?p=13821#

Consigliamo caldamente la lettura di TUTTO l’articolo a chi vuol farsi l’idea di cosa è diventata la scuola, ma anche agli insegnanti che credono nella sua resurrezione!

Un pensiero su “Tempo di scrutini

  1. Generazioni di padri e madri hanno inculcato con la massima forza nella testa dei loro figli che dovessero assolutamente ottenere buoni risultati scolastici per «farsi una posizione», come si diceva; le scuole erano severe nella loro richiesta di disciplina e di studio perché dovevano selezionare l’accesso a determinati ruoli sociali; alla loro severità ci si adattava, perché conteneva una speranza di miglioramento delle condizioni di vita rispetto a quelle dei genitori. Certo, questa speranza era in gran parte illusoria. Le condizioni sociali e culturali delle famiglie da cui gli studenti provenivano esercitavano infatti un peso, notevole ancorché invisibile, nel determinare, antecedentemente all’intervento della scuola, le capacità di apprendimento e di elaborazione linguistica su cui operava poi la scuola con il suo insegnamento e la sua selezione per merito. Questa speranza, tuttavia, era socialmente radicata e trovava continuamente riscontri di fatto che, anche sebbene poco numerosi, contribuivano a corroborarla (con casi celebri di grandi promozioni attraverso la scuola, da Pascoli a Gramsci), corroborando la scuola. Diventata la scuola un luogo di parcheggio di alcune fasce di età, invece che di promozione sociale, è consequenziale che tutto dentro di essa vada verso la putrefazione, dalle motivazioni degli studenti a quelle degli insegnanti, dai contenuti culturali alla disciplina comportamentale.
    Massimo Bontempelli, nello stesso articolo

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