Milano vs.Roma

Genealogia di un’eterna rivalità

Fondata dai galli “Insubri” nel VI sec. a.c. è conquistata dai romani nel 222 d.c. e ribattezzata “Mediolanum”. Il marchio “romano” è indelebile e peserà sull’orgoglio meneghino sin dall’inizio.

Non va meglio con la proclamazione -prima ed ultima volta nella sua storia- di Capitale…dell’ Impero “romano” d’Occidente nel 286 d.c. Il motto della città è: Senatus Popolusque Romanus. La città è un “franchising” dell’impero di Roma.

Sant’Ambrogio era un romano originario di Treviri. Mal volentieri accettò di rimanere a Milano: « Quale resistenza opposi per non essere ordinato! Alla fine, poiché ero costretto, chiesi almeno che l’ordinazione fosse ritardata. Ma non valse sollevare eccezioni, prevalse la violenza fattami. ».

Parlando di “stereotipi” e mitografie, l’autorappresentazione efficientista di Milano ha illustri e antichi precedenti già nelle cultura del secolo dei Lumi.
I pregiudizi antiromani di Pietro Verri, ricordano il leghismo della prima ora e forgiano i luoghi comuni contro l’ “indolenza” dei romani. Non si risparmia il dialetto romanesco:”quando sento parlar romano, sento il sapore delle fave verdi”. Due secoli dopo, il milanese Alberto Arbasino ricorderà quando a Ostia, passeggiando lungo la spiaggia, sentiva “nell’aria come un ronzio di calabroni: erano i giovanotti romani che parlavano fittamente tra loro dicendo ‘cazzo, zozzo, borzetta’ “.

Alla fine del settecento la storiografia di Vincenzo Cuoco e dei sostenitori dell’esistenza di una civiltà italiana precedente, culturalmente superiore e contrapposta all’imperialismo romano (etruschi, greci, etc.) farà la fortuna di tutti i campanilismi italiani da nord a sud. Alcune suggestioni di Giambattista Vico andavano in questo senso.

Grande fortuna -inizio ottocento- per il saggio L’Italia avanti il dominio dei romani (1810) del livornese Giuseppe Micali; uno scritto che negli ambienti eruditi contribuisce ai giudizi moralistici contro Roma antica e a negarne la funzione di paradigma della storia italiana.
Il secolo, tutto medievaleggiante, trova eroi e campioni nei comuni italiani e nella Milano contro il Barbarossa. Se così comincia la Storia delle repubbliche italiane del de Sismondi: “L’italia antica aveva perso la sua libertà a causa delle conquiste della Repubblica romana” il resto è grande enfasi per la Lega Lombarda, i giuramenti di Pontida…

Il grande debutto internazionale della “milanesità” e dello sciovinismo meneghino avviene nel 1844 con il VI Congresso degli scienziati italiani. Contributi giungono da Carlo Cattaneo e da Cesare Cantù. Si magnificano le ascendenze celtiche, l’operosità “ambrosiana”, si stigmatizza l’immoralità degli antichi romani, si elogia la capacità dei milanesi di modificare il territorio. Non ci sono passati gloriosi da rimpiangere: contano il futuro, l’autonomia e l’iniziativa. In questo senso, siamo agli inizi del “primato morale”.

Le cose non vanno meglio dopo la proclamazione del Regno d’Italia: La sferzata ai romani che-han-perduto-gli-anticorpi (provati dal fallimento della Repubblica del 49′) arriva anche Giuseppe Garibaldi. In un appello del 1862: “Grande o romani è anche l’obbligo vostro. Moltiplicate l’energia, respingete i codardi che vi consigliano il sonno. imitate Milano di fronte agli austriaci”.

Negli anni 60′ dell’ottocento, il Bossi d’antan è Massimo D’Azeglio. Per criticare la scelta di Roma come futura Capitale della nazione, nelle Questioni urgenti (1861) stigmatizza i “2500 anni di miasmi di violenze materiali, pressioni morali esercitate dai suoi successivi governi sul mondo”, auspicando che “L’Italia e il mondo abbian finalmente il diritto di domandare se abbia da durare eternamente questo Campodoglio” e chiedendosi -centoquindici anni prima del libello Contro Roma di Moravia, Russo e altri intellettuali- se “alle moli degli anfiteatri…non sia preferibile lo spettacolo di una locomotiva”. Alla retorica del passato si sovrappone quella della “modernità”.

Con le esposizioni Internazionali del 1881 e del 1906 la grandeur milanese trova il riconoscimento ufficiale e definitivo, sempre però paragonato in modo provinciale e campanilistico a Roma, capitale “bizantina” della politica politicante, parassita e ciarliera. Il germe dell’antipolitica è quintessenziale alla grandeur milanese che ama autorappresentarsi con le idee e le ideologie della classe dominante borghese. Roma è invece sottoproletaria. Se Milano ha i caffè, noi abbiamo le osterie…

Nel 1910, un noto “socialista” poteva così rivolgersi a Turati per perorare la causa del trasferimento dell’ Avanti! a Milano: “Roma, città parassitaria di affittacamere, di lustrascarpe, di prostitute, preti e burocrati, Roma -città senza proletariato degno di questo nome- non è il centro della vita politica nazionale, ma sibbene il centro e il focolare d’infezione della vita nazionale.”. Il Manlio Cancogni dell’epoca era un Benito Mussolini ancora ben lungi dagli innamoramenti per Roma “[…] enorme città-vampiro che succhia il miglior sangue della nazione.”.
Nihil sub sole novi. La guerra continua…
Andrea Costa

E mentre litighiamo tra noi qualcun altro ci governa da sempre

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