Legge 107/2015

La scuola statale sino ad oggi ha fornito gran parte della classe dirigente italiana. Nel 1992, con un blitz giudiziario fu cancellata, additandola al pubblico ludibrio, tutta una classe politica, quella della Prima Repubblica. Era la stessa classe politica che aveva fatto diventare l’Italia, uscita distrutta dalla guerra, la quinta potenza economica mondiale. Dei politici della Seconda Repubblica , pro bono pacis, è meglio non parlare, il giudizio della storia nei loro confronti sarà implacabile. L’Italia, grazie alla loro guida ed a quella dei fautori del “meno stato e più mercato“ e del “ci vuole più Europa“, è retrocessa al decimo posto tra le potenze mondiali,   posizione che occupava bellamente  nel 1861 quando fu costituito il Regno d’Italia.

Ma questo per costoro non è stato bastevole. Non sono ancora appagati dalla inesorabile deindustrializzazione del territorio nazionale, dal trasferimento di ricchezza a favore del Nord Europa, dalla svendita del patrimonio statale, che è patrimonio comune di noi tutti.
L’obbiettivo prioritario è, dunque, trasformare in nome del grande capitale e della libertà dei traffici gli stati nazionali in colonie e, affinché ciò avvenga, bisogna annichilire la classe dirigente, quella futura.

Questo sarà proprio il risultato prodotto dalla legge 107/2015. La scuola renziana formerà  inetti consumatori di prodotti ideati e costruiti al di fuori dell’Italia e che saranno al più operai flessibili (rectius a tutele crescenti), come il Jobs Act impone, e non cittadini italiani.
Tempo cinque anni a far data dalla sua pubblicazione e la scuola statale non formerà più alcuna classe dirigente spinta dall’amor di patria e dal rispetto dei principi costituzionali.

Ai patrioti, ai liberi pensatori, a tutti coloro che hanno a cuore le sorti dei nostri giovani  l’impegno morale di un’azione politica finalizzata al contrasto di questo pensiero unico così pernicioso per le sorti dell’Italia ed alla modifica radicale di questa pericolosissima legge intrisa di logiche antidemocratiche, che non ci appartengono.
Affinché le tenebre prevalgano è sufficiente che tutti chiudano gli occhi.

estratto da http://www.appelloalpopolo.it/?p=14941

 

Le parole tra noi pesanti: imprenditore

E del resto l’alienazione della parola da un’attività concreta se libera il fruttarolo dalla maledizione delle cassette di legno, la rinchiude nella privazione di senso del pensiero unico, come dimostra il fatto che chiunque di noi avesse voglia e disponibilità di pagare le quote di una qualche associazione camerale sarebbe tout court imprenditore anche senza fare nulla.

il Simplicissimus

Arricchire-il-profilo-ed-il-negozio-di-testi-con-parole-chiave-700x400Una volta, quando ero ragazzo, esistevano gli albergatori, i ristoratori, i commercianti, i baristi, i fruttivendoli, i tabaccai, i meccanici, i gelatai, i tassisti, i costruttori e via dicendo: era un mondo dove la funzione, ovvero il lavoro nella sua concretezza, generava la definizione. Poi al di là di un limes invisibile e tuttavia chiarissimo esistevano industriali, capitani di industria  e industrialotti a seconda dei casi. La parola imprenditore ( vedi nota) era quasi sconosciuta al di fuori della letteratura economica  e soprattutto non era usata in maniera talmente vaga e onnicomprensiva che quando senti parlare di imprenditore non sai se si tratta di un salumiere o di un creatore di software, del padroncino di un call center, del proprietario di un bar o di una media industria.

La mutazione del linguaggio si è avuta quando il lavoro – non solo quello in fabbrica – ha cominciato ad essere svalutato in favore dei fattori…

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L’essere umano

Citazione

L’Essere Umano non vuole vivere di idee e di progetti, ma vuole mangiare fino a scoppiare, vuole scoparsi tutte le donne, vuole avere sempre il massimo, vuole vivere nel lusso, inconsapevole della propria miseria interiore. Loro, i potenti, sono gli autentici custodi dell’autenticità del messaggio cristiano, sono i pastori realistici e pragmatici di un gregge di mascalzoni che non meritano la minima considerazione se non il disprezzo della comunità, e loro, i potenti, praticano l’umiltà nell’approccio perché capiscono quella autentica essenza.
“I fratelli Karamazov” di Fedor Mickailovitch Dostoevskij, meglio noto come “La leggenda del Santo Inquisitore”. – See more at: http://www.bondeno.com/2015/07/30/il-dito-e-la-diga/#sthash.hUQIFDi0.dpuf