di ALBERTO G. BIUSO (filosofo; Università di Catania)
Castoriadis e Lasch partono dalla consapevolezza aristotelica che «quel che noi chiamiamo individuo è in un certo senso una costruzione sociale» (La cultura dell’egoismo. L’anima umana sotto il capitalismo, postfazione di Jean-Claude Michéa, elèuthera, pp. 68, euro 8), che «nella società attuale non stiamo più producendo individui capaci di incarnare la visione aristotelica. Abbiamo perso quell’ideale?». Sì, la sinistra lo ha perso, sostituendo la lotta di classe con una ideologia dei diritti umani di evidente impronta liberale, non certo marxiana. Invece che affiancarsi alla lotta di classe, la lotta contro le discriminazioni ha sostituito la lotta di classe, segnando in questo modo la fine della sinistra.
I dispositivi concettuali di questa autodissoluzione sono consistiti nella negazione delle invarianti antropologiche, nella rinuncia a ogni identità collettiva a favore dei diritti del singolo, nell’illusione della crescita illimitata, alla quale sono legati quelli dello «sviluppo sostenibile» e dell’equa distribuzione dei profitti del capitale. Si esprime qui una certa ironia verso coloro che al materialismo delle identità corporee preferiscono quella che Michéa definisce «l’ideologia neospiritualista». Di sinistra sarebbe piuttosto «il rifiuto della riduzione degli esseri umani allo statuto di ’atomi isolati privi di consapevolezza generale’ (Engels)».
La sinistra del XXI secolo ha dunque rinunciato alla critica nei confronti di un mondo dominato dall’iperindividualismo e ha accettato come inevitabile e ricca di opportunità «una ’società dei consumi’ basata sul credito, sull’obsolescenza programmata e sulla propaganda pubblicitaria».
È sulla base di tale consapevolezza che Castoriadis e Lasch «erano giunti ad avere lo stesso sguardo disincantato sulla triste evoluzione delle moderne sinistre occidentali e su quello che fin dal 1967 Guy Debord definiva ’le false lotte spettacolari delle forme rivali del potere separato’». Un disincanto che li induce ad affermare che ormai «da lungo tempo il divario destra-sinistra, in Francia come nel resto del mondo, non corrisponde più ai problemi del nostro tempo, né riflette scelte politiche radicalmente opposte».
Ma per entrambi la possibilità della libertà nell’eguaglianza è sempre aperta. Castoriadis, in particolare, insiste sulla natura «tragica» della libertà poiché essa non possiede limiti esterni sui quali fare affidamento ed è fondata invece sulla pratica dell’autonomia, il cui modello rimangono per lui sempre i Greci. Nelle loro tragedie, infatti, «l’eroe muore a causa della sua hybris, della sua superbia, perché trasgredisce in un contesto dove non esistono limiti predefiniti. Questa è la nostra condizione».
La negazione del limite sta a fondamento della presunta razionalità liberale, il cui principio di crescita indefinita contrasta con la realtà dei limiti del pianeta, il cui principio di opportunità per tutti confligge con la realtà del profitto che moltiplica soltanto se stesso.
Questo libro non si limita a una critica argomentata e convincente dell’individualismo di sinistra. Propone alternative praticabili, fondate sul fatto che tradizione e mutamento devono essere viste e vissute in una logica non oppositiva ma inclusiva.
Un programma politico di sinistra deve «definire le istituzioni concrete grazie alle quali una ’società libera, egualitaria e decente’ (George Orwell) possa conferire tutto il proprio senso a questa dialettica creatrice tra il particolare e l’universale. (…) Ecco dove sta tutta la differenza fra una lotta politica che, sulla scorta di quella degli anarchici, dei socialisti e dei populisti del XIX secolo, mirava innanzitutto a offrire agli individui e ai popoli i mezzi per accedere a una vita realmente autonoma e un processo storico di perpetua fuga in avanti (sotto il triplice pungolo del mercato ‘autoregolato’, del diritto astratto e della cultura mainstream) che quasi più nessuno, quanto meno tra le file delle nostre sfavillanti élite, si cura di padroneggiare a fondo e che potrà solamente condurre (ancorché santificato con il nome di Progresso) a una definitiva atomizzazione della specie umana». Non si può dire che non fossimo stati avvertiti.
fonte: “il manifesto”, 1.3.2014 riportato in http://www.appelloalpopolo.it/?p=15348
La cultura dell’egoismo. L’anima umana sotto il capitalismo
Come ho spesso ricordato in questo sito, la mistica stigmatizzata Teresa Neumann, morta nel 1962, interrogata da un soldato americano delle forze d’occupazione in Germania se gli Usa sarebbero stati in guerra contro l’URSS; rispose di no; ma che gli Stati Uniti “verso la fine del secolo” sarebbero stati rovinati economicamente da catastrofi naturali. E’ la stessa Neumann che previde l’instaurazione nel mondo di quella che chiamò “l’età di Caino”: “… la grande piaga si aprirà nel 1999 e sanguinerà per diciotto anni: sarà questo il tempo di Caino”. Fino al 2017, dunque. Questa età sarà caratterizzata da “l’ignoranza, il disprezzo per la cultura, l’arroganza, la superbia, la violenza, il materialismo”. “vedo rovesciare sulla terra una cesta piena di serpenti, che strisciano sulle città e sulle campagne, distruggendo tutto” (…) “ ho visto l’asino dettare legge al leone… In quel tempo, troppi leoni avranno il cuore dell’asino e si lasceranno trarre in inganno”.
http://www.maurizioblondet.it/pregare-st-andrea-inteso-come-faglia/
Il brevetto di un farmaco ha un arco di tempo di validità attorno ai 20 anni, che inizia da quando viene depositato. Poi c’è il tempo ‘perduto’ per produrre studi che ne permettano la registrazione presso la FDA, cosicché giunge sul mercato in media con soli 12.5 anni disponibili. Alcune sostanze non sono probabilmente mai state testate come farmaci proprio perché la lunga ricerca avrebbe annullato i margini di profitto. Per velocizzare i tempi di registrazione la legge americana ha introdotto vari percorsi ‘facilitati’, che permettono ad un prodotto definito ‘innovativo’ di ridurre il cosiddetto commercialisation lag time (ritardo nella messa in commercio).(2) Nel 1992, ad esempio, la FDA ha creato il PDUFA (Prescription Drug User Fee Act) che ha permesso l’approvazione di molti farmaci in tempi più brevi. Ma la fretta a volte fa commettere errori, così hanno beneficiato del PDUFA farmaci come Avandia e Actos (antidiabetici) e Risperdal (antipsicotico), che hanno creato non pochi problemi ai pazienti, compreso il decesso.(3) Per beneficiare di un percorso più rapido nel periodo 1987-2014 ben il 33% dei farmaci approvati erano stati classificati come first-in-class, cioè fortemente innovativi. Ma è difficile pensare che una percentuale così elevata si riferisca realmente a nuove scoperte, sostiene Kasselheim sul BMJ di qualche mese fa.(2)…
Per il momento, cronicizzazione del cancro, farmaci intelligenti e diagnostica molecolare consentono ricavi talmente cospicui da frenare investimenti in altro senso. Ovviamente discorso analogo vale per tutte le patologie cronico-degenerative, infiammatorie e immunomediate, neurodegenerative e del neurosviluppo.
http://www.ilcambiamento.it/medicina/tumori_big_pharma.html