La prevalenza del cretino

Era il titolo di un libro del 1985 di Fruttero e Lucentini, ma era decisamente ottimista, poi ricordo anche le 5 leggi della stupidità in “Allegro ma non troppo” dell’economista Carlo M.Cipolla (sostanzialmente un corollario della legge di Pareto) in cui afferma che, presa qualsiasi categoria di persone, l’80% è composto da stupidi!

Per non farla troppo lunga si arriva ai nostri giorni col cretino 2.0 di cui elenca le caratteristiche Eugenio Orso:

Stiamo diventando un popolo di cretini?
Ne ho il sospetto.
Solo una popolazione europea di cretini può accettare lo stato attuale delle cose senza provare la voglia di menar le mani.
E cosa è accaduto di così profondo tanto da rimbambirci in tal modo?
Una immane mutazione antropologica, una frattura continentale, uno iato spaventoso; si è insinuato nel sangue un virus zombificante, favorito dal parallelo e debordante progresso tecnologico. A forza d’incoraggiare l’elemento immaginifico dell’uomo, il suo lato emozionale, uterino, isterico, vegetativo, siamo giunti al punto di rottura epocale, alla devoluzione della ragione.
Punto di rottura. 100 gradi celsius. Un attimo primo c’è l’acqua, l’attimo dopo il vapore. È ancora acqua, ma solo chimicamente.
Ed esattamente cosa si è rotto?
Rispondo: il principio di non contraddizione.
Il principio dei principî. L’architrave dell’homo occidentalis: “Non può essere che una cosa sia e non sia una certa cosa allo stesso tempo e nel medesimo rispetto”.
Esempio: Io sono più alto di Mario, qui e ora. Non posso essere più alto e più basso, allo stesso tempo, ora, nei confronti di Mario.
O sono più alto o sono più basso.
Facile, no?
Da ciò deriva il principio di identità (Io = Io; Mario = Mario) nonché l’amabile principio del terzo escluso: ogni proposizione dotata di senso può essere o vera o falsa. Ch’io sia più alto di Mario può essere o vero o falso.
Se non è zuppa è pan bagnato, e viceversa. Non ci sono ulteriori alternative: tertium non datur.
Per il cretino no, non è così. Tremila anni di logica ‘au cabinet’, per dirla con Alceste.
Ma se crolla tale sommo architrave cosa accade?
L’apocalisse della razionalità.
La si può condensare nella formula dello pseudo Scoto: “Ex falso sequitur quodlibet”: tutto è permesso. Se è ammissibile la suprema contraddizione (che una cosa sia e non sia) allora tutto vale, ogni follia è permessa; siamo ai Saturnali della logica, al Carnevale della deduzione, al tana-libera-tutti della causalità.
Il supremo principio non viene più riconosciuto, né applicato.
Ecco la vera new age: lasciata alle spalle l’era dello stupido, entriamo trionfanti in quella del cretino. Il cretino risponde solo a stimoli bassamente emozionali, ad anacoluti logici, al volemose bene dell’inferenza. Per lui tutti i gatti sono grigi.

Esempio 1: Siamo un partito di lotta e di governo.
Esempio 2: Mi piace Céline, ma anche Fabio Volo.
Esempio 3: Mi ha messo le corna eppur mi ama ancora.
Esempio 4: La scoperta dell’alba è un grande romanzo.

E via così.
Ma esiste un cretino integrale, perfetto?
Certo, il cretino 2.0. Sta facendosi strada velocemente. Purtroppo residuano ancora delle sacche di razionalità e buon senso, specie nelle vecchie generazioni. Qualcuno ancora s’ostina, disperatamente, a tramandare ai discendenti basici elementi di logica; tuttavia il dado è tratto: ancora mezzo secolo di Occidente e i cretini 2.0 erediteranno la terra. Sì, mezzo secolo, di questo passo, è più che sufficiente, ve lo dice uno stupido.
Nel frattempo trastulliamoci delineando una (provvisoria) fenomenologia del cretino.

1. Ci sono due tipi di cretino: il cretino-cretino (old style) e il cretino 2.0 (coming soon).

2. Il nocciolo duro delle convinzioni del cretino-cretino sono i pregiudizî. Su quelli non transige. I pregiudizî del cretino: la tradizione familiare, l’imparaticcio scolastico, la chiacchiera, le gazzette.

3. Il cretino-cretino, infatti, ha un piccolo serbatoio di pensieri e frasi fatte a cui non applica il minimo ragionamento o critica. Quando tale angusto orticello è messo criticamente in pericolo, il cretino-cretino può arrivare al turpiloquio, al fanatismo, all’offesa più sanguinosa.

4. Al cretino-cretino puoi far credere tutto, basta lisciarlo nei pregiudizî.

5. I pregiudizî assicurano il cretino-cretino del possesso d’un pensiero.

6. Il fiume del cretino-cretino si perderà naturalmente nello sterminato oceano del cretino 2.0.

7. Il cretino 2.0 è il cretino integrale, il cretino del futuro.

8. Al cretino 2.0 va bene tutto. Per lui, in fondo, tutto è possibile. Per lui un evento può essere bianco o nero. Tertium datur. Ma anche quartum, quintum e sextum. Rosso, verde, a pois. Perché no?

9. Per il cretino ogni posizione, a ben guardare, è desiderabile. Come quelle di Desdemona nelle parole di Iago: “With her, on her, what you will”.

10. Il cretino 2.0 ha finalmente abolito il nesso di causalità. Se vede il fumo non inferisce il fuoco, a meno che glielo annunci il telegiornale o un conoscente cretin-autorevole. Per lui una colonna di fumo può arrivare a significare tutto tranne l’incendio. Di solito quando il cretino 2.0 si ritrova coi piedi bruciati, dà la colpa al destino cinico e baro.

11. Se il cretino 2.0 protesta contro una gabella gravosissima lo fa sotto gli stessi vessilli del politico che l’ha imposta. Se urlacchia contro gli immigrati lo fa al fianco di chi ha firmato il trattato di Schengen. Se sfila a favore della famiglia tradizionale lo fa mano nella mano con un divorziato. Se si batte per il libero amore divorzierà dalla moglie che l’ha reso cornuto. Si può andare avanti per giorni.

12. Il cretino 2.0 è un conformista di prim’ordine. Anche nell’anticonformismo.

13. La cretineria 2.0 è comune a ogni gradino sociale o gruppo o casta o consorteria o carboneria.

14. Il cretino 2.0 è un appassionato di meteorologia; egli compulsa avidamente i referti di tale scienza poiché desidera, sempre e comunque, il bel tempo da cartolina. Il cretino 2.0, infatti, è un congenito homo turisticus.

15. Il cretino 2.0 si stanca presto. Egli può sinceramente darti la mano e sancire: “Combatterò assieme a te, senza requie e tentennamenti, la politica nefasta delle Teste Tonde!”. Qualche ora dopo potrai trovarlo sulle barricate a urlare: “Abbasso le Teste Piatte, viva le Teste Tonde!”. Cambia idea col volgere del clima, come si cambia una casacca fuori stagione.

16. Al cretino 2.0 manca lo sguardo d’insieme, la visione generale, il panorama a volo d’aquila, il colpo d’occhio del genio. Lui si interessa alle minuzie, agli attimi. La sua vita, infatti, è frantumata in attimi e minuzie. È un uomo liquido: un cretino, appunto.

17. Il cretino 2.0 è facile agli entusiasmi. Ogni iniziativa lo esalta. Quasi sempre, però, abbandona il balocco dopo qualche giocata.

18. Il cretino 2.0 ama divertirsi: in fondo è un goliarda. Quando agli eventi appiccano il cartello ‘questo è davvero divertente!’, egli si diverte ancor di più. Il cretino 2.0 applaude tutto quello che si muove. Se le gazzette scrivono d’un film: ‘commovente’, il cretino 2.0, alla visione, si commuove: si sentirebbe altrimenti a disagio.

19. Il cretino 2.0 ambisce alle vacanze a Formentera, in Provenza, a Londra, al Cairo, in Nepal o nella Death Valley. Il Colosseo, Paestum e gli Uffizi, invece, lo annoiano sino allo sbuffo.

20. Al cretino 2.0 piacciono i calembour, i giochi di parole, le storpiature, i doppi sensi, le parodie, il plagio, la freddura, il centone, l’impressione, la fantasticheria, lo psicologismo; tutti debitamente privi d’arguzia. Tale bolsa e superficiale ginnastica mentale sostituisce presso di lui la lettura, lo studio assiduo, la tranquilla profondità, la solida saggezza.

21. Quando dieci cretini 2.0 s’intruppano insieme fondano una corrente politico-filosofico-letteraria o un think-tank. Il cretino 2.0 in solitaria tende, invece, all’estensione di romanzi o memorie o consimili aggrumati di fonemi.

22. Per il cretino 2.0 il passato non esiste, e neanche il futuro. Esiste il qui e ora, eternamente ripetuto e affermato. Il cretino 2.0 è senza storia. Come presentì Eraclito: “Per lo sciocco il sole è nuovo ogni giorno”.

23. Come tutti coloro che si occupano di minuzie, bagattelle e piccinerie, il cretino 2.0 possiede un’alta considerazione di sé stesso. Manca di ironia, di scetticismo, di tutte le qualità, insomma, che derivano dalla comprensione generale della vita e dei fenomeni umani. Egli degenera spesso in un burocrate oppressivo, e devoto ai cavilli di quella legge di cui ignora lo spirito.

24. Il campo d’azione del cretino 2.0 è il proprio pollaio.

25. Poiché manca d’una visione generale dei problemi, il cretino 2.0 cambia spesso idea o non ne ha alcuna; è un testardo che si impunta su delle sciocchezze o su interpretazioni sbagliate o fasulle. Non guarda il cielo, né la luna, ma neanche il dito; di solito si guarda il ciuffo.

26. Il cretino 2.0 non riconosce i propri predatori. Nonostante questo non si estinguerà: anche i predatori sono, infatti, cretini 2.0, ma con la villa al mare.

27. Il cretino 2.0 si propaga in ragione esponenziale.

28. Quando il cretino 2.0 dominerà la Terra, non avrà altri umanoidi a cui fare la morale. Allora, solo allora, si squarceranno le porte del cielo e Azathoth, il Dio cieco e idiota dello Sfacelo, fra l’infernale strepito di flauti e buccine interstellari, gorgoglierà sbavando il testamento dell’umanità.

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Il mito dell’equità naturale

di Ugo Foscolo

Adunque, veduti i mortali nella storia d’ogni epoca e ne’ costumi di qualunque comunità, appare che ogni loro azione deriva dalla inimicizia reciproca, e ogni loro pace dalla stanchezza. Invano la religione, e la santissima fra le altre, esortava il genere umano a lasciarsi giudicare nelle sue liti dalla paterna giustizia d’ Iddio. Gli astuti e i potenti hanno abusato di questo divino compenso, ed affilate armi a più feroci discordie; e ne hanno agguerrito l’infinita moltitudine de’ violenti e bestiali, gridandole: — Ti sbramerai santamente di sangue! —.

Adorai l’arcana sapienza del Cielo. Invano i giurisprudenti celebrarono il diritto delle genti: lo trovai potentissimo nel timore di due nazioni che non ardivano di affrontarsi, o si collegavano contro un’altra più forte; ma, cessata la causa, cessava il vigor del diritto. Non essendovi tribunali, nè profossi, nè patiboli tra’ due principi, la forza inframmetteva inappellabilmente la sua sentenza, e la scrivea con la spada, finchè il terrore delle altre nazioni, e il fremito del genere umano contro l’usurpazione non suscitasse nuove forze per abbattere il vincitore.

Frattanto i vinti obbedivano; i popoli vittoriosi onoravano il principe che li facea ricchi e temuti, i vicini lo rispettavano, e i lontani e i posteri lo ammiravano.

Conchiusi che la natura opera per mezzo della discordia di tutti i mortali onde agitare, trasformare e far sempre rivivere con moto perpetuo di distruzione e di rigenerazione a certi ricorsi di tempi le cose tutte, [e] gli uomini; che se la concordia fosse legge della natura, sarebbe infrangibile; i giurisprudenti non esorterebbero i principi a mantenerla, e i popoli non si guerreggerebbero mai.

[Della servitù dell’Italia, Discorso primo, 1815]

estratto da http://www.appelloalpopolo.it/?p=15511

(aurea) mediocritas

La moderazione – o temperanza, σωφροσύνη, (aurea) mediocritas – è da millenni tra le virtù morali prescritte ai saggi. La lodava Aristotele nell’Etica Nicomachea, la raccomandava Cicerone nel libro sui doveri (De Officiis) e Tommaso d’Aquino ne fece una virtù cardinale del Cristianesimo. Sicché attribuire all’interlocutore il pregio della moderazione equivale a concedergli le insegne della saggezza e della rettitudine, con l’effetto – e quasi sempre anche l’intenzione – di blandirne l’amor proprio per guadagnarne l’assenso. In quanto al messaggio, poi, poco importa se sia davvero moderato e non viceversa foriero dei succitati cataclismi. Anzi, quanto più è estremo tanto più è d’uopo la captatio benevolentiae, via obbligata per carpire la fiducia dei semplici.

La moderazione ha un altro vantaggio per chi manovra il consenso. È un’etichetta vuota, una connotazione relativa che rimanda a un riferimento non dichiarato in modo da accomodarsi secondo la suggestione di ciascuno. In fondo, dirsi moderati senza specificare rispetto a cosa è come definire una lunghezza come il doppio della sua metà. Non dice nulla se non il bisogno di affermare il proprio equilibrio e la propria presunta superiorità e distanza rispetto a un’altra categoria ugualmente vuota ma specularmente infamante: l’estremismo.

Manipolare l’opinione di chi ama qualificarsi come moderato è quindi semplice:basta fissare d’ufficio gli estremi della dialettica con la certezza che il soi-disant moderato vi si collocherà disciplinatamente nel mezzo, in perfetta equidistanza dalle sponde. In questo modo il messaggio che si desidera accreditare non ha bisogno di essere esplicitamente asserito – come accadeva e accade nei regimi manifesti – ma è suggerito per induzione. Se volessimo far sì che il moderato pensasse al numero 8, gli diremmo di sceglierne liberamente uno tra 4 e 12. E lui cascherebbe prevedibilmente nella media:

Nella realtà, lo spin doctor accorto sa che si deve ridurre il più possibile la distanza tra gli estremi, per evitare un’eccessiva libertà di pensiero e la dispersione delle idee rispetto all’esito prestabilito. Il che spiega l’odierno Drang nach der Mitte, la centrizzazione del pensiero dove i cosiddetti estremi si qualificano sempre più come caute sfumature di un’opinione unica e centrale. Ad esempio, chi oggi chiede di tutelare la sovranità nazionale passa per nazionalista di ultradestra, mentre chi vorrebbe qualche protezione in più per i lavoratori è un comunista. Si tratta chiaramente di rappresentazioni parossistiche e strumentali al mainstream, laddove il vero estremismo è casomai quello di chi non riconosce in queste richieste un invito al rispetto della legalità costituzionale.

Il cosiddetto centro non è che lo stesso concetto di moderazione applicato ai movimenti politici. Ugualmente privo di significato in sé e ugualmente estremo negli atti, vive di ciò che i commentatori – cioè gli influencer – politici definiscono di volta in volta come massimalista. E poiché nessuno vuole portare l’onta dell’estremismo, tutti si accalcano verso il punto centrale di un recinto sempre più stretto – quello del pensiero unico – mentre il dibattito politico si riduce all’irrilevanza dei simboli e del gossip, in una bassa democrazia che discute del colore e della forma del cappio a cui andrà ad appendersi.

estratto da http://www.lolandesevolante.net/blog/2016/03/i-moderati-sive-de-grege/

Arrangiarsi

No, la risposta degli italiani è che “se rubano loro, e così tanto, posso rubare anch’io, nel mio piccolo, s’intende”: nelle piccole aziende c’è quasi il gusto di “fottere” Monti. Si torna all’antico: cosa vuoi? Ecco i due prezzi, con o senza ricevuta. Ovvio che…

Nei luoghi di lavoro si sviluppa una sorta di piccola corruzione molto simile a quella che c’era in URSS: ho rubato questo, t’interessa? Anzi, te lo regalo: sarai tu a sdebitarti come preferirai.

Così inizia una catena di baratti – che è anche curiosa e provvida di significati antichi – che partono da un paio di gomme per auto e terminano con una cassetta d’uva, passando per una cestina di funghi, due sacchi di concime organico, una mola, una cesta di limoni, due contenitori in acciaio inox, tre sacchetti di melanzane congelate…

E’ incredibile come, in queste catene di S. Antonio, ciascuno si libera di qualcosa che ha prodotto o rubato – non fa differenza – nei confronti d’altri che assegnano, invece, un elevato valore d’uso all’oggetto: se hai due gomme di una Cinquecento (dimenticate, fottute, rubate, scambiate…) e non  hai l’automobile, meglio ricevere in cambio una mola cinese (dimenticata, fottuta, rubata, scambiata…)  che può tornare utile.

La morale è oramai un optional: di questo dobbiamo ringraziare Monti, e la sua insipienza nel dimenticare il ceto politico. Basta che votino, del resto non mi fotte un accidente, io metto a posto dei numeri, loro ne rubano altri…embè?

E’ curioso come, da un anno a questa parte, si siano moltiplicati questi comportamenti: dal professionista che non sgarrava una fattura ed oggi evade contento al commerciante che, se non fa parte di una catena, ti fa lo scontrino solo se non ti conosce.

I lavoratori dipendenti sono l’ultimo anello della catena – sarebbe stupido non riconoscerlo – però s’arrangiano anch’essi: devi imbiancare la casa? Quanto vuole l’imbianchino “ufficiale”? Ma sei matto!?! Vieni qui, senti a me…

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Miti scientifici

Il primo mito ridimensionato è quello secondo cui gli screening medici permettono di salvare vite per qualsiasi tipo di tumore. Esemplare è il caso coreano riguardante lo screening per il tumore alla tiroide: dopo l’introduzione di una nuova tecnica di rilevazione a fine anni novanta si è avuto un incremento dell’individuazione di tumori alla tiroide e dei successivi interventi. L’anomalia è che la percentuale di morti è rimasta uguale. Coloro che hanno notato il problema e suggerito di evitare o sostituire lo screening sono stati attaccati da varie associazioni mediche che hanno ripetuto l’indispensabilità degli screening e la necessità delle terapie. In origine, all’inizio del XX secolo, molti dottori arrivarono a concludere che i risultati migliori nel trattamento dei tumori si ottenevano quando erano diagnosticati precocemente, ne conseguiva l’idea che “prima un tumore è diagnosticato, più alte sono le possibilità di sopravvivere”. Questo concetto è stato alla base della formazione di generazioni di medici. Oggi resta valido, ma la sua universalità è messa in discussione.

Ricerche recenti hanno mostrato che in alcuni casi un rilevamento precoce non garantisce la salvezza attesa. Una recensione di cinque trials medici che hanno coinvolto 341342 persone ha messo in luce come gli screening non contribuiscano ad abbassare il numero di morti per tumore alla prostata. Si può inferire che alcuni tumori conducano alla morte indipendentemente da quando siano rilevati e curati. È da sottolineare che il problema sta nella generalizzazione “ogni tipo di tumore”, infatti non viene messa in questione l’utilità dello screening per molte tipologie di tumore, laddove vi siano risultati positivi corroborati, per esempio per il tumore alla cervice o al colon, ma in altri non si trovano effetti positivi soddisfacenti. Va poi considerato che il rilevamento di un tumore può avere effetti negativi sulla salute delle persone che vengono sottoposte ad interventi e cure debilitanti, anche nei casi in cui si è affetti da un tumore a crescita lenta con pochi danni diretti immediati.

A rinsaldare il mito contribuiscono coloro ai quali è stato diagnosticato un tumore proprio grazie a uno screening e che sono guariti dopo un intervento. Non tenendo conto della specificità di ogni situazione e delle differenze complesse che riguardano ogni tumore, propagandano gli effetti salvifici degli screening in modo acritico, contribuendo a diffondere idee scorrette e talvolta false speranze. I medici continuano a organizzare meeting per discutere a quale età e su quali fattori di rischio concentrare gli screening, perdendo di vista il centro del problema (le cause di insorgenza) e non soffermandosi a ponderare l’efficacia oggettiva della pratica nei vari casi. È anche un problema di modelli comportamentali: le persone preferiscono fare un test saltuario di pochi minuti piuttosto che cambiare radicalmente le proprie abitudini quotidiane, per esempio aumentando l’attività fisica,(1) smettendo di fumare o migliorando la propria alimentazione per prevenire il rischio di insorgenza.

estratto da http://gabriellagiudici.it/olmo-viola-miti-scientifici-resistenti/

  1. Considerata tutta la pubblicità che le istituzioni fanno a questo proposito, viene spontaneo domandarsi se non sia un mito anche questo 😉

 

 

Il tempo del non tempo

di Gianni Tirelli

Mai, come di questi tempi, è facile vedere come l’ignoranza omologante e la pratica relazionale della menzogna, abbiano contagiato migliaia di individui nel mondo (occidentale in primis) e in forma così virulenta.

Viviamo nell’illusione indotta di ritenerci liberi quando, di fatto, siamo relegati all’interno di un oceanico campo di concentramento che, alle recinzioni ad alta tensione, ha sostituito il plagio mentale dettato dalla propaganda mediatica, la dipendenza da bisogni effimeri, l’uniformazione delle coscienze, e una globale deresponsabilizzazione. Siamo le inconsapevoli cavie di laboratorio, di un progetto di sperimentazione di stampo nazista di dimensioni planetarie, che terminerà con “LA SOLUZIONE FINALE .

Uno sterminio scientificamente programmato, che rientra in un progetto di sfruttamento integrale delle energie degli uomini asserviti (schiavi) in ragione della loro (presunta) inferiorità e inutilità. Una buona parte di loro, sono vittime innocenti e ignare del Sistema Potere, perché smarriti e incapaci di contrastare una tale opera di condizionamento e di manipolazione. Altrettanti, all’opposto, sono complici diretti, mercenari al soldo, che ne sposano le logiche, per interesse particolare e smania di potere.

Ed è con l’ascesa al potere di Hitler che ha inizio questo processo: con la persecuzione sistematica degli ebrei, sino allo sterminio programmato nei campi di concentramento.

I sentimenti di ostilità e di ripulsa, crescono quando la società è in crisi o in pericolo nella sua stabilità, nella sua identità, nel suo ordine. Tali sentimenti patologici sono stati esasperati oltre ogni limite, dal Nazismo ieri, e oggi dal Liberismo.

Il Sistema Liberista Relativista, del resto, non è meno terrificante (se pur in forma diversa) del nazismo, anche se per certi versi, ancora più pericoloso e inquietante, sia per dimensioni che per crudeltà. Non esistono anticorpi per contrastare la sua avanzata, ne punti nevralgici da colpire per ferirlo a morte.

In questo modo, la Bestia entra di diritto all’occupazione del potere – di ogni potere. E si caratterizza per la sua totale assenza di etica, cancellandone ogni suo confine, ogni buon senso e ragionevolezza, superando quel parametro connaturato di comprensione e comparazione istintuale che, un tempo, definiva il limite fra il giusto e l’iniquo – fra la verità e la mistificazione, fra la gioia e l’isteria, la vita e la morte.

Pertanto, non c’era bisogno di aspettare il 21 dicembre 2012! Nella “fine del mondo” ci eravamo già dentro in pieno e, da tempo. Ed è relativa ad una condizione umana, oramai svuotata di ogni suo originario significato, motivo e finalità.

Non è dunque corretto parlare di profezie Maya, ma delle previsioni, delle descrizioni di ciò che sta avvenendo, e non di ciò che avverrà; è l’evoluzione (cammino, percorso) dell’uomo, che si sviluppa e muta dentro un ciclo che inizia e che poi finisce, per dare l’avvio a un nuovo ciclo che, in seguito, tramonterà.?E i maya ci avevano visto lungo, e con cognizione di causa!

Secondo le loro previsioni, già dal 1992 l’umanità vive nell’ultimo Katun (cioè gli ultimi 20 anni) – un tempo molto importante, perché è il tempo della conclusione del ciclo – il termine dei famosi 25.625 anni, che coincide con la FINE DI UN’EPOCA e non con la FINE DEL MONDO. Questo ultimo tempo di 20 anni, viene chiamato (dai Maya) “il tempo del non tempo” – quello spazio crepuscolare in cui non è giorno e non é notte, ma é prima dell’alba.?Nel calendario maya, ciascun ciclo del Lungo computo temporale, corrisponde ad un’era del mondo; il passaggio da un’era all’altra è segnato da radicali cambiamenti sociali. Il ciclo, attualmente in corso, ha avuto inizio il 6 settembre del 3114 avanti Cristo ed è molto vicino al termine: il nuovo ciclo inizierà appunto il 22 dicembre del 2012.

Sabato 21 dicembre, era l’ultimo giorno del vecchio ciclo, e questo è stato il motivo e le ragioni, di tanta preoccupazione e apprensione.?Lo scopo principale del calendario, non era quello di stabilire con precisione le date degli avvenimenti (profezie), ma di raccordare le azioni degli uomini e dei capi Maya, con tutto il movimento dell’universo. L’azione doveva fondersi e armonizzare con l’equilibrio universale e le decisioni dei Re, sincronizzarsi con i ritmi cosmici. L’equilibrio era alla base di ogni decisione e relativo ai movimenti riportati nel calendario.

La nostra epoca moderna (partorita dai fumi necrofili e necrotizzanti della rivoluzione industriale – momento storico, pervaso di odio, di paura e di schiavitù,materiale e psicologica -), è terminata alla fine dell’ultimo Katun e, precisamente: sabato scorso 22 dicembre 2012.

Da quella data in poi dobbiamo fare in modo di ritornare ad essere uomini pensanti e consapevoli. L’uomo dovrà rivoluzionare se stesso, il proprio pensiero e riaccordarsi a quel ritmo cosmico sincrono, per mettersi a passo con l’armonia dell’universo. Dovrà comprendere che il tutto è vivo, e che egli, è parte del tutto, nonostante l’impresa (visti i presupposti) appaia inattuabile e impraticabile.

La Fine è dunque alle porte, ma sembra che nessuno se ne occupi. Nel frattempo i Padroni della Terra, imperturbabili, considerano nuove speculazioni finanziarie, mentre noi, impassibili e ben lontani dal mettere in atto una qualsiasi opera di riconversione strutturale, aspettiamo la fine in diretta TV, comodamente seduti sul divano delle libertà.

http://www.oltrelacoltre.com/?p=15026

La modernità come livellamento e omologazione

di GIACOMO LEOPARDI

Tutto quello, si può dire, che i moderni viaggiatori osservano e raccontano di curioso e singolare nei costumi e nelle usanze delle nazioni incivilite, non è altro che un avanzo di antiche istituzioni, massimamente se quelle particolarità spettano alle classi cólte. Perché la natura, quando è più libera, come anticamente, e ora in gran parte appresso il popolo, è sempre varia.

Ma certamente nel moderno non troveranno niente di singolare né di curioso, e tutto quello che c’è da vedere negli altri paesi possono far conto di averlo veduto nel proprio senza viaggiare. Eccetto le piccole differenze provenienti dal clima e dal carattere di ciaschedun popolo, i quali però vanno sempre cedendo all’impulso moderno di uguagliare ogni cosa, e certamente da per tutto, massime nelle classi cólte, si ha cura di allontanare tutto quello che c’è di singolare e di proprio nei costumi della nazione, e di non distinguersi dagli altri, se non per una maggior somiglianza col resto degli uomini. E in genere si può dire che la tendenza dello spirito moderno è di ridurre tutto il mondo una nazione e tutte le nazioni una sola persona.

Non c’è piú vestito proprio di nessun popolo, e le mode, invece d’esser nazionali, sono europee ec.: anche la lingua oramai divien tutt’una per la gran propagazione del francese, la quale io non riprendo in quanto all’utile, ma bene in quanto al bello. Una volta le nazioni cercavano di superar le altre, ora cercano di somigliarle, e non sono mai così superbe come quando credono di esserci riuscite. Così gl’individui. A che scopo, a che grandezza, a che incremento può portare questa bella gara?

Anche l’imitare è una tendenza naturale, ma ella giova, quando ci porta a cercar la somiglianza coi grandi e cogli ottimi. Ma chi cerca di somigliare a tutti? anzi perciò appunto sfugge di somigliare ai grandi e agli ottimi, perché questi si distinguono dagli altri? Quando saremo tutti uguali, lascio stare che bellezza, che varietà troveremo nel mondo, ma domando io che utile ce ne verrà? Massimamente alle nazioni (perché il male è naturalmente più grande nei rapporti di nazione a nazione che d’individuo a individuo) che stimolo resterà alle grandi cose e che speranza di grandezza, quando il suo scopo non sia altro che l’uguagliarsi a tutte le altre?

Non era questo lo scopo delle nazioni antiche. E non si creda che l’uguagliarsi nei costumi e nelle usanze, senza però volersi uguagliare nel potere, nella ricchezza, nell’industria, nel commercio ec., non debba influire sommamente anche sopra queste altre cose, influendo sullo spirito generale della nazione. Poco dopo che Roma fu divenuta una specie di colonia greca in fatto di costumi e letteratura, divenne serva come greci.

Ma questa è una bella curiosità, che mentre le nazioni per l’esteriore vanno a divenire tutta una persona e oramai non si distingue piú uomo da uomo, ciascun uomo poi nell’interiore è divenuto una nazione; vale a dire che non hanno piú interesse comune con chicchessia, non formano piú corpo, non hanno piú patria, e l’egoismo gli ristringe dentro il solo circolo de’ propri interessi, senza amore né cura degli altri, né legame, né rapporto nessuno interiore col resto degli uomini.

Al contrario degli antichi, che, mentre le nazioni per l’esteriore erano composte di diversissimi individui, nella sostanza poi, e nell’importante, e in quel punto in cui giova l’unità della nazione, erano in fatti tutta una persona, per l’amor patrio, le virtú, le illusioni ec. che riunivano tutti gl’individui a far causa comune, e ad essere i membri di un sol corpo. E per questo capo si può dire che ora ci son tante nazioni quanti individui, bensí tutti uguali anche in questo che non hanno altro amore né idolo che se stessi.

Ed ecco un’altra bella curiosità della filosofia moderna. Questa signora ha trattato l’amor patrio d’illusione. Ha voluto che il mondo fosse tutta una patria, e l’amore fosse universale di tutti gli uomini (contro natura, e non ne può derivare nessun buono effetto, nessuna grandezza ec. L’amor di corpo, e non l’amor degli uomini, ha sempre cagionato le grandi azioni, anzi spessissimo a molti spiriti ristretti, la patria come corpo troppo grande non ha fatto effetto, e perciò si sono scelti altri corpi, come sette, ordini, città, provincie ec.). L’effetto è stato che in fatti l’amor di patria non c’è piú, ma, invece che tutti gl’individui del mondo riconoscessero una patria, tutte le patrie si son divise in tante patrie quanti sono gl’individui, e la riunione universale promossa dalla egregia filosofia s’è convertita in una separazione individuale.

[Zibaldone, 3 luglio 1820]

in http://www.appelloalpopolo.it/?p=15425

Mazzini economista

E per difetto di un’equa distribuzione della ricchezza, d’ un più giusto riparto dei prodotti, d’un aumento progressivo della cifra dei consumatori, il capitale stesso si svia dal suo vero scopo economico, s’immobilizza in parte nelle mani dei pochi invece di spandersi tutto nella circolazione, si dirige verso la produzione d’oggetti superflui, di lusso, di bisogni fittizi, invece di concentrarsi sulla produzione degli oggetti di prima necessità per la vita, o si avventura in pericolose e spesso immorali speculazioni.

Oggi il “capitale” – e questa è la piaga della Società economica attuale – è despota del lavoro. Delle tre classi che oggi formano, economicamente, la Società – “capitalisti”, cioè detentori dei mezzi o strumenti del lavoro, terre, fattorie, numerario, materie prime – imprenditori, capi-lavoro, commercianti, che rappresentano o dovrebbero rappresentare l’intelletto – e operai che rappresentano il lavoro manuale – la prima, sola, è padrona del campo, padrona di promuovere, indugiare, accelerare, dirigere verso certi fini di lavoro. E la sua parte negli utili del lavoro, nel valore della produzione, è comparativamente determinata: la locazione degli strumenti del lavoro non varia se non tra limiti noti e ristretti; e il tempo, fino a un certo segno almeno, è suo, non in balìa dell’assoluto bisogno. La parte dei secondi è incerta, dipendente dal loro intelletto, dalla loro attività, ma segnatamente dalle circostanze, dallo sviluppo maggiore o minore della concorrenza e dal rifluire o ritirarsi, in conseguenza d’eventi non calcolabili, dei capitali.

La parte degli ultimi, degli “operai”, è il “salario”, determinato “anteriormente” al lavoro e senza riguardo agli utili maggiori o minori che usciranno dall’ impresa; e i limiti fra i quali il salario si aggira, sono determinati dalla relazione che esiste fra il lavoro offerto e il lavoro richiesto, in altri termini, tra la “popolazione” degli operai ed il “capitale». Ora la prima tendendo all’aumento e ad un aumento che supera generalmente, non fosse che di poco, l’aumento del secondo, il salario tende, dove altre cause non si interpongano, a scendere.

Giuseppe Mazzini (I doveri dell’uomo, 1860)

estratto da http://www.appelloalpopolo.it/?p=15400