Monadi nomadi

Il sottosegretario agli Esteri del governo Renzi, Sandro Gozi, un deputato del Pd iscritto anche ai Radicali italiani del duo filosionista e “amerikano” a oltranza Bonino-Pannella, nonché membro del think tank ultraliberale European Council of Foreign Relations (comprendente al suo interno figure di spicco del panorama politico-imprenditoriale a stelle e strisce e “a stella di David” italiota, tipo Giuliano Amato, Emma Bonino, Maria Cuffaro, Marta Dassù, Massimo D’Alema, Gianfranco Fini, Franco Frattini, Emma Marcegaglia, Lapo Pistelli e Luisa Todini), si è, a sua volta, del tutto comprensibilmente vista la “stoffa” del personaggio, prodigato nell’apologia diretta della Erasmus Generation, questa generazione «libera, poliglotta e cosmopolita»[41] di “studenti internazionali” «artatamente educati […] alla vita allegra»[42] e integralmente secolarizzati al materialismo pratico più gretto, caratteristico di quella che il sottosegretario Gozi definisce «una società laica [dove] non devono esserci tabù»[43]. Una società nel cui ambito ogni studente avrebbe dovuto preventivamente conoscere «il suo valore di mercato»[44]. Gozi ha pubblicato recentemente un libro, guarda caso edito dalla casa editrice dell’Università Bocconi di Milano (tempio della cultura neoliberale italiota), dall’inequivocabile titolo: Generazione Erasmus al potere. Il coraggio della responsabilità. In questo pamphlet, Gozi traccia un profilo apologetico del “mondo senza confini” e “senza limiti” (un mondo unificato dove gli Stati nazionali regrediscono al rango di filiali locali di aziende multinazionali e startup con sede a New York o Londra). Il mondo unificato, open society, tratteggiato da Gozi, è infatti “Cosmopolis”, sorta di multinazionale delle relazioni sociali, politiche ed economiche privatizzate, gestita in conto terzi da babbioni filoamericani e figli di papà, rincoglioniti di ceto medio sans frontières sui cui volti si sarebbe potuta ravvisare unicamente «una tranquilla tabula rasa con al centro un unico pensiero: se stessi»[45]. Una volta descritto il profilo politico (liberale di sinistra) e sociologico (classe media postmoderna, totalmente americanizzata) dei gestori di “Cosmopolis” sfornati dal Programma Erasmus e dalle business school private anglosassoni, Gozi si esibisce in una vera e propria, nonché inquietante, dimostrazione di cieco fideismo ideologico nei confronti della più radicale e spaventosa operazione di ingegneria sociale mai pensata dal 1945 a oggi, ossia la creazione del “cittadino nomade globale” europeista, totalmente sradicato da precedenti riferimenti identitari e comunitari e conquistato alla causa del disimpegno e del divertimento sans frontières dal passaggio (burocratico, omologante e ormai pressoché obbligatorio) dell’Erasmus come “certificato di ammissione” nel novero della open society per monadi consumistiche, pauperizzate e standardizzate agli stili di vita e di consumo “trendy” di ogni sorta. Scrive infatti Gozi, ricordando come anche il vate della filosofia del disincanto e della rassegnazione cosmopolitica all’italiana, il defunto Umberto Eco, fosse un incallito sostenitore dell’Erasmus quale megamacchina creatrice ex novo di identità postnazionali:

Babycakes_Romero_cultura_inquieta

L’Erasmus è la più geniale intuizione avuta dall’Unione europea per costruire il proprio futuro […]. Oggi sono milioni i giovani europei a fare l’Erasmus… Ragazze e ragazzi che trovano assolutamente normale frequentare l’università a Bologna come a Bruges o a Barcellona, che scrivono su WhatsApp in francese o in inglese […]. Ragazze e ragazzi che hanno avuto l’occasione di studiare in ogni angolo d’Europa: e non solo di studiare, se diamo un’occhiata ai dati pubblicati dalla Commissione europea secondo cui dal 1987 è nato più di un milione di bambini frutto di incontri Erasmus. Bambini che nelle vene hanno sicuramente il sangue blu a stelle fin dalla nascita… Già, Umberto Eco aveva proprio ragione […]. Il nostro semiologo disse che l’Europa si sarebbe naturalmente realizzata grazie alle coppie che si incontravano col Programma Erasmus, i cui figli sarebbero stati europei nel loro DNA[46].

Paolo Borgognone

in http://www.maurizioblondet.it/le-nuove-classi-medie-cosmpolite-guardie-pretoriane-del-capitalismo-terminale/

Call center

Anche questo è esaltato dalle business-school  con termini seduttori: “lean management”, gestione leggera e flessibile, “offshoring”, ossia subappalto  dei servizi d’assistenza alla clientela ad agenzie esterne piene di sottopagati,  di “famelici”.   Così la ditta risparmia “sui costi” come esige non solo la business school, ma persino il Fondo Monetario, la Banca Centrale Europea, Bruxelles e Berlino.

Nella vecchia terminologia aveva un altro nome: “lavoro schiavistico”. Infatti  l’economia dei call-centers presenta tutti gli inconvenienti, noti da secoli, del lavoro degli schiavi: scarsa qualità, meccanicità (e menefreghismo), assenza di lealtà verso il padrone, non volontà di risolvere autonomamente i problemi. In poche parole: un servizio deplorevole, disumanizzato. In una parola:  improduttivo.

I  vecchi capitalisti l’avevano imparato da secoli, si tenevano cari  lavoratori, cercavano di guadagnarsene la lealtà con la fedeltà. I nuovi  –  finanziari, che non hanno mai visto una fabbrica,   sempre alla ricerca della “innovazione” e della “gestione leggera” – quegli investitori che a Wall Street, quando IBM e Caterpillar licenziano, ne fanno rincarare le azioni perché “tagliano i costi” e dunque nel prossimo trimestre “esibiranno un profitto”-  hanno completato il giro, e riscoperto che è furbissimo ingaggiare   dei “famelici”  schiavi, in paesi sottosviluppati,  per i “servizi post-vendita”.

Così  si vede che la persecuzione spietata della “massima efficienza “(massimo profitto) per “il capitale investito”  finisce per essere  – invece – proprio la palla al piede verso la  meravigliosa “società del terziario avanzato”.

estratto da http://www.maurizioblondet.it/grande-innovazione-del-capitalismo-avanzato-gli-schiavi/

Bisogna essere socialisti e patrioti

di GIOVANNI PASCOLI

Se tra un popolo grandissimo e potentissimo, come l’inglese, alligna meglio Kipling che Tolstoi; se un popolo, che fu il difensore della libertà e dell’indipendenza degli altri popoli, e si onorò sempre di combattere per il diritto contro la forza, se persino esso vuol ora conquistare e assorbire e annullare; possiamo noi che da quel popolo che fu più amico di tutti, ricevemmo l’ingiuria che non ricevemmo dal più nemico; possiamo noi abbandonarci alla dolcezza contemplativa della pace e fratellanza universale?

Io credo, o giovani, io voglio credere che il grande grido “Operai di tutto il mondo, unitevi “sia per distruggere i calcoli degli imperii che già si formano e già minacciano e già cominciano l’opera loro. Io credo che quest’internazionalismo (e pare sulle prime assurdo) sia per proteggere le nazioni e conservarle. Chè noi non possiamo, nè altri può aspirare all’ineffabile felicità della pacificazione e unione universale a quel patto che la religione ci assegna per l’acquisto della beatitudine eterna: la morte!

Noi non vogliamo morire! un popolo non può desiderare di morire! E d’altra parte è contro ciò che la scienza ha di più sicuro, affermare che l’unità umana sia per ottenersi con la fusione, dirò così, nel gas primigenio e omogeneo, sì che non ci sia più che una lingua e un popolo.

Le varietà si moltiplicano via via e non cesseranno mai di moltiplicare. Ci sono stati e ci sono e ci saranno, oh! se ci saranno, dei tentativi mostruosi, degli sforzi immani, per arrestare e cambiare la natura. Si faranno, e pur troppo già si fanno, dai mostruosi imperii tali sforzi per annullare in sè i singoli popoli. Ma non c’é forza che prevalga contro la natura! E noi vediamo già quale sarà la forza che si opporrà alla forza.

Quando il più grande degli imperii, che si vanno formando, o un immenso trust di essi, si apparecchierà con la violenza dell’armi ad assoggettare e struggere e fondere… le armi cadranno a terra; e i preparati a uccidere e morire, si stringeranno le destre. E i grandi imperi sfumeranno come nebbia, lasciando sereno in un attimo il cielo dell’umanità. Ma le evoluzioni degli esseri coscienti hanno un elemento in più che quelle degli altri esseri. Quest’ultime sono fatti della natura; quelle prime sono macchine, le quali si muovono, sì, con certe leggi che non facciamo noi; ma le macchine stesse le facciamo proprio noi. La volontà è la macchina con cui gli uomini fabbricano il loro avvenire.

Or dunque poichè il nazionalismo conserva il carattere e l’essenza dei singoli popoli, e l’internazionalismo è per impedire le guerre che cancellerebbero quel carattere e distruggerebbero quell’essenza dei singoli popoli; ebbene, bisogna voler essere nazionalisti e internazionalisti nel tempo stesso, o, come dissi già con frase molto combattuta, socialisti e patrioti!

[da L’eroe italico in Pensieri e discorsi, Nicola Zanichelli editore, Bologna 1914]

riportato in http://www.appelloalpopolo.it/?p=15608

Mode-rnità

Abbiamo fatto appello all’intelligenza, alla ragione: si poteva essere più scemi?  Ci ha ingannato l’antica definizione di Aristotile:  l’uomo è un animale pensante. Che esista vita intelligente sulla Terra, è una illusione difficile da vincere, perché ci auto-celebra.  Come disse Mark Twain dopo aver letto il proprio necrologio sui giornali, “la notizia è grandemente esagerata”.

In genere, l’uomo – inteso come specie – non pensa affatto. A meno che non ci venga forzato. Considera ‘pensiero’ quello funzionale, utile al lavoro, meccanico; non a caso simulabile da un computer.  Le idee generali gli sono estranee, capirle gli richiede troppo studio, applicazione – una perdita di tempo. La sua incapacità di vedere i nessi causali fra  fenomeni apparentemente distanti è impressionante; in specie, delle piaghe sociali presenti gli sfuggono le cause che sono nel passato.  Anzi, come scoprì a sue spese già Socrate, chi gli  pone “le grandi domande” lo irrita, tanto da voler chiamare la forza pubblica perché faccia  tacere il disturbatore con la cicuta; oggi, invocando la psico-polizia.

La faccio breve: l’uomo  in genere, vive di credenze. Oggi come nel sesto secolo avanti Cristo, o  come ai tempi di Tommaso d’Aquino.  Ricordo la distinzione di Ortega y Gasset: “Per le idee ci si batte, si discute per affermarle, magari si puo’ perfino morire  per le idee – nelle credenze, semplicemente, si sta”.  Vuol dire: nelle credenze, l’uomo ci abita. Sono il paesaggio mentale che trova attorno a sé  dalla nascita, e in  ogni dato tempo gli paiono la realtà stessa. Non si rende conto di quanto siano cambiate dai tempi di Socrate; gli sembra che siano sempre esistite  quelle di oggi. E quelle d’oggi gli paiono indiscutibili, solide come l’acciaio. O come le montagne del suo paese natìo.

Meglio la repressione…

Come   dicevo, oggi l’uomo  posto moderno vive di credenze esattamente come l’uomo medievale. Solo, le sue credenze sono cambiate: oggi, per esempio, crede nell’evoluzionismo, come ieri credeva in Dio, e prima ancora negli  dei dell’Olimpo.    Crede nella scienza  (di cui non sa quasi nulla) con fede superstiziosa. Crede   al “pluralismo delle opinioni”, anche se non ne ha che di quelle permesse dal conformismo vigente.  Sicché, oggi devo ammettere: fece bene la Chiesa, che per secoli, invece di fare appello all’intelligenza dell’uomo, gli ha imposto  sì, anche imposto con le brutte, se occorreva – le credenze.  Ha fatto bene perché doveva  salvare l’uomo dalla dannazione eterna;e quanti più uomini possibile;  non c’era spazio per il dubbio, il dubbio che è “sempre” implicito nel dibattito delle idee, e che l’uomo-massa non sa tollerare e maneggiare, anzi non sopporta, da  cui viene devastato.

Dominavano allora credenze che miravano al bene dell’individuo e della società, imponendo l’onestà, i dieci comandamenti, il diritto romano, la cura del debole  e del povero e la vergogna per l’egoismo edonista. Credenze per le quali valeva la pena di mantenerle ed imporle  esercitando anche la giusta “repressione”, anche accendendo qualche rogo ogni tanto.  Le credenze che si fanno dominare oggi, sono al contrario rovinose per l’individuo e la società:  il darwinismo, il capitalismo come sistema “oggettivo” al  quale “non ci sono alternative”, il libertarismo, l’illusione della felicità nel sesso.  Non solo queste credenze procurano la dannazione eterna (a cui potete permettervi di non credere), ma fanno degli esseri umani delle amebe vili e crudeli, insensibili al prossimo e al povero, e delle società delle poltiglie incapaci di sopravvivere e di battersi  contro la propria dissoluzione.

estratto da http://www.maurizioblondet.it/confessione-un-intellettuale-del-inutile/

 

Attualità di Catilina

di Massimo Fini

“Ora che il governo della Repubblica è caduto nel pieno arbitrio di pochi prepotenti, re e tetrarchi sono divenuti vassalli loro, a loro popoli e nazioni pagano tributi: noi altri tutti, valorosi, valenti, nobili e plebei, non fummo che volgo, senza considerazione, senza autorità, schiavi di coloro cui faremmo paura sol che la Repubblica esistesse davvero. Ma chi, chi se è un uomo, può ammettere che essi sprofondino nelle ricchezze e che sperperino nel costruire sul mare e nel livellare i monti, e che a noi manchi il necessario per vivere? Che essi si vadan costruendo case e case l’una appresso all’altra e che noi non si abbia in nessun angolo un tetto per la nostra famiglia? Per quanto comprino dipinti, statue, vasellame cesellato, per quanto abbattano edifici appena costruiti per ricostruirne altri, insomma per quanto dilapidino e maltrattino il denaro pubblico in tutti i modi pure non riescono a esaurire la loro ricchezza con i loro infiniti capricci. Per noi la miseria in casa, i debiti fuori, triste l’oggi, spaventoso il domani. Che abbiamo, insomma, se non l’infelicità del vivere?”.

 

Le parole che Lucio Sergio Catilina pronunciò il primo giugno del 64 a.C., che Sallustio gabella come un’arringa ai congiurati ma che in realtà erano semplicemente un discorso preelettorale perché di lì a poco si sarebbero tenute le consultazioni per il consolato (in cui Catilina fu sconfitto con i consueti brogli come era già accaduto due volte in precedenza, e solo dopo questa ennesima violenza si decise a prendere le armi) suonano oggi di una straordinaria attualità. E non per questo o quel Paese, questo o quel regime sociale e di governo, ma per l’intero mondo sviluppato e globalizzato. Sembra quasi che Catilina abbia letto i Panama Papers pubblicati nei giorni scorsi. In questi papers ci sono tutti i personaggi cui Catilina allude: i governanti di tutti i regimi, dittatoriali, autoritari, semiautoritari, democratici, i loro famigliari, i loro vassalli e l’inesausta fauna dei predatori economici e finanziari, internazionali e nazionali, quasi sempre legati ai primi, a loro volta circondati da corti, posseduti, pur già ricchissimi, dall’eterna smania di arricchirsi ancora di più ai danni di coloro che Catilina chiama ‘volgo’, cioè noi, i ‘cittadini comuni’ (e in questa definizione sprezzante c’è già tutto). E se in questi papers ci sono solo alcuni dei governanti, dei predatori e dei loro clientes a vario titolo è unicamente perché l’inchiesta del Consorzio dei giornalisti investigativi si è concentrata sullo studio legale Mossack Fonseca, uno dei tanti organismi paralegali che agiscono nei vari paradisi fiscali del mondo, in questo caso Panama. Ma si può star certi che è solo la punta di un iceberg molto più profondo ed esteso. Ma nel discorso di Catilina ci sono affinità col presente ancor più strabilianti. Ci sono le guerre (come quella all’Iraq) fatte per distruggere e poter poi organizzare il business della ricostruzione (“per quanto abbattano edifici appena costruiti per costruirne altri”) e c’è l’orgia delle opere inutili per poter grassare altro pubblico denaro (“ma chi, se è un uomo, può ammettere che…sperperino ricchezze nel costruire sul mare e nel livellare i monti?”) e naturalmente c’è in parallelo la spaventosa miseria provocata proprio da queste ricchezze. Ma il generoso tentativo di Catilina (“nato da illustre famiglia” come scrive Sallustio) di riscattare il volgo (“Mi sono assunto, com’è mio costume, la causa generale dei disgraziati”) fallì e si concluse con la sua esaltante morte nella battaglia di Pistoia del 5 gennaio del 62 a.C.  E, in Roma, fallirono anche i tentativi, dello stesso senso, di Caligola e quello, più articolato e strutturato, di Nerone. E tutti e tre, Catilina, Caligola e Nerone, saranno infamati in saecula saeculorum.

 

Ma anche quando il popolo, nel corso della storia, ha provato a riscattarsi da solo le cose non sono andate meglio. In Russia le grandi rivolte contadine del ‘600 e ‘700 guidate da Stenka Razin e da Pugacev furono soffocate nel sangue dagli Zar e, nell’800, nel civile Occidente, soffocate nel sangue furono le rivolte dei luddisti, i quali avevano intuito che le macchine avrebbero tolto loro il lavoro e, soprattutto, la dignità del lavoro. La Rivoluzione d’Ottobre fu invece opera di un’élite, Plechanov, Lenin e Trotsky (il vero protagonista dei “dieci giorni che sconvolsero il mondo”, Lenin se ne stava nascosto sotto una parrucca bionda alla stazione di Finlandia) che aveva alle sue spalle una solida base teorica, quella fornita da Marx, ma il risultato, alla fine, fu che a un’oligarchia se ne sostituì un’altra più feroce e sanguinaria di quella degli Zar. Però c’è la Democrazia che, secondo lettera, è ‘il governo del popolo’. Ma ogni volta che il popolo cerca di prendersi direttamente ciò che gli spetta i movimenti che lo appoggiano vengono bollati come ‘populisti’, come accade attualmente in Europa e anche in Italia. Sudditi siamo e tali dobbiamo restare. E allora se nel discorso di Catilina sostituiamo il termine Repubblica con quello di Democrazia il finale suona così: “Noi altri tutti, valorosi, valenti, nobili e plebei, non siamo che volgo, senza considerazione, senza autorità, schiavi di coloro cui faremmo paura sol che la Democrazia esistesse davvero”.

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=53825

 

 

Questo paese

di Roberto Pecchioli

A primavera, tornano le rondini e torna la pubblicazione annuale dell’Istat , intitolata ottimisticamente “100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo”. Ottimisticamente, perché i dati raccolti dall’istituto non sembrano interessare nessuno, a parte il primo giorno , con gli articoli dei quotidiani ed  i servizi delle televisioni generaliste . Soprattutto, non destano un dibattito culturale vero, né tantomeno, vengono analizzati da chi dirige il Paese. Lo chiamiamo così’ anche noi, oggi, poiché Patria è troppo impegnativo .

La fotografia dell’Istat è impietosa: diminuiscono le nascite, meno di mezzo milione nel 2015, ed è il dato più basso dall’unità nazionale, 155 anni fa: 1,37 figli per donna in età fertile ( solo l’indice tedesco è più basso) e ci vuole una media di 2,1 per garantire il ricambio generazionale. Ci si sposa pochissimo, solo 3, 2 matrimoni ogni mille abitanti. I giovani sono ampiamente superati , in numero, dagli anziani , 100 contro 157, ed è un dato impressionante. Si campa abbastanza a lungo, 80 anni gli uomini, 85 le donne, ma c’è una certa diminuzione della speranza di vita rispetto agli anni scorsi. Gli stranieri, che contribuiscono alle nascite con percentuali ormai a due cifre quasi dappertutto, sono cinque milioni, tanti quasi i disoccupati. Il loro numero è aumentato anche nel 2015, pur se l’aumento è il più contenuto da molti anni ( 55.000).

Un dato raccapricciante è costituito dal numero- 2,3 milioni- e dalla percentuale (25,7 %) dei giovani che non studiano e non lavorano, oggi classificati con l’acronimo NEET  ( non impegnati nel lavoro, nello studio e che non ricevono formazione) .  Una generazione perduta, afferma pensoso Mario Draghi, che, essendo banchiere, farebbe meglio a chiedersi quali siano le responsabilità della classe dirigente di cui egli è simbolo, che precarizza, flessibilizza, non fa credito, e fornisce un’istruzione da terzo mondo, con l’inflazione delle lauree brevi  e dell’ignoranza lunga. Non a caso, si leggono  pochissimi quotidiani ed ancor meno libri che non siano , così spesso, i cosiddetti “libroidi” scritti, o almeno firmati, dai personaggi dello sport o dello spettacolo.

In compenso si divorzia molto, 8,6 divorzi ogni diecimila abitanti e si è vittime di tanti furti e rapine che spesso non si fa neppure più denuncia. Il Prodotto Interno Lordo pro capite segnala un divario Nord Sud che aumenta e che si avvicina al 50%.

Questa è la fotografia, e del resto un istituto di statistica ha l’unica funzione di fornire dati, cifre, percentuali. Per valutare , progettare rimedi, imprimere svolte, dovrebbero scendere in campo altri. E questo è, purtroppo, il punto. Il livello delle nostre classi dirigenti è sotto gli occhi di chi riesce ancora a vedere, non solo guardare: i ministri sono in lotta tra loro, ciascuno rappresenta una lobby o un comitato d’affari, nessuno ha la sguardo rivolto al futuro, o possiede un’ idea di bene comune.

L’ultima che ha dovuto dimettersi, la dottoressa Guidi, titolare dello Sviluppo Economico, ceto dirigente dalla nascita, in quanto figlia dei titolari dell’industria Ducati, la quale, tanto per contribuire alla ricchezza nazionale, è una di quelle che ha delocalizzato produzioni in Romania. La bella signora avrebbe fornito informazioni d’ufficio riservate al suo “compagno”, un imprenditore di quelli che alcuni anni fa vennero definiti “furbetti del quartierino”. Messa alle strette, ha affermato che costui è “solo” il padre di suo figlio. C’è tutta l’Italia di oggi, nella signora ministra ( si deve dire così….) . Brigano sin dall’adolescenza per incarichi dirigenziali , si laureano magna cum laude con l’aiutino, vivono nell’arroganza, la loro vita sentimentale è variabile come il tempo d’aprile, e poi, quello è solo il padre di mio figlio……..

Un maestro della mia generazione politica, Beppe Niccolai, ci ammoniva a non guardare alla realtà con le categorie della sociologia, ma con quelle della storia e della filosofia.  Invece, la lezione vincente resta quella di Max Weber, grande sociologo inventore dell’avalutatività come criterio di quella conoscenza , oltreché teorico del “politeismo dei valori” nelle società moderne.

E sia, la sociologia, che si serve della statistica, ha il diritto di essere imparziale, secondo la prescrizione weberiana, e di classificare con cura tassonomica i dati, scomporli e ricomporli secondo modelli matematici stabiliti. Ma la scienza politica no, deve conoscere, ragionare, giudicare, progettare, organizzare. Soprattutto, deve fornire, con l’aiuto della storia , della filosofia e del comune buon senso, un giudizio di valore, a partire dal quale realizzare i correttivi per cambiare rotta. Aveva ragione Massimo Fini a definire questo tempo e le generazioni al comando come un treno che corre senza un macchinista ( c’è il mercato…) su di un binario che si interromperà, prima o poi.

A me viene in mente la celebre scena finale di “Thelma e Louise”, quando le due donne lanciano l’automobile a gran velocità e, consapevolmente , precipitano se stesse nel burrone, dopo l’avventura “on the road” con cui hanno creduto di dare un senso alle loro vite.

Corriamo ridendo verso precipizi, ma nessuno si chiede se sia un bene o un male che non nascono bambini, che i matrimoni non si celebrino o durino pochissimo, che i giovani non lavorino né studino, se gli stranieri siano qui per motivi economici o per distruggere progressivamente , insieme con il mercato del lavoro, il tessuto comunitario delle nostre regioni.  Non ci chiediamo più neppure perché si abortisca, o perché si viva un po’ meno a lungo, o perché la criminalità faccia così paura. Celebriamo ogni giorno, senza saperlo un pezzetto del nostro stesso funerale, intanto abbiamo rimosso la morte e siamo indifferenti al futuro. Se non ho figli, che mi importa del dopo ? Fulminante fu la battuta di Woody Allen , ebreo, americano, progressista, cittadino della Grande Mela, dunque interprete perfetto della cosmopoli odierna: “Perché mi devo preoccupare dei posteri ? Che cosa hanno fatto i posteri per me ? “

Comunque, pretendiamo diritti, e se conviviamo, respingiamo i doveri del matrimonio, ma rivendichiamo la reversibilità, diritti di successione ed assegni familiari. A questo si riducono, infine, le unioni civili.  I figli sono un ingombro, vanno accuditi, mantenuti, persino educati , ah no , a quello pensi lo Stato, con le tasse che paghiamo ! I vecchi sono troppi, apriamo ospizi e, soprattutto, chiamiamo eutanasia (buona morte) il diritto di toglierceli dai piedi da malati.  Poi magari spargeremo in mare le ceneri, o le terremo sul comodino in un’urna, così il funerale costerà meno e non pagheremo sepolture.

Tante cose ci dicono, a volerle ascoltare, le nude cifre dell’Istat . Ugo Foscolo ci aveva avvertito che la civiltà nacque “dal dì che nozze e tribunali ed are /dier alle umane belve esser pietose / di sé stesse e d’altrui”. Le nozze non si celebrano più, solo unioni effimere , per dividere le spese, andare in vacanza ed avere comodità nei rapporti intimi, dei tribunali non ci si fida, con molte buone ragioni, e non si denunciano più furti, rapine, malversazioni , soprattutto non si percepiscono neppure più come ingiustizia, inciviltà o degrado le mille condotte negative di ogni genere di cui siamo testimoni .  Quanto agli altari, aboliti in nome della ragione umana che tutto può, tutt’al più derubricati ad agenzia assistenziale .

Torniamo alla denatalità ed alla crisi drammatica dell’unione matrimoniale. Ascoltiamo distratti dati pesantissimi, e subito passiamo oltre, ci inseguono altre notizie, altre “ultima ora”. Il problema è che uguale comportamento hanno i governi e le élite culturali. L’Istat  dice bene , nel suo titolo “il paese in cui viviamo”. Niente di più: è un paese, un luogo qualsiasi, non la nostra casa , la nostra terra, la nostra civiltà. Ci viviamo e basta, trasciniamo le nostre vite qui , ma se fossimo a Oslo, Timbuctù o Giacarta sarebbe lo stesso. Uno è il mondo, questo paese ( lo chiamano proprio così, nelle loro pensose intemerate, quelli “de sinistra” ,questo paese) è solo uno dei tanti: ci viviamo, ma solo per caso o per necessità, domani magari saremo a Los Angeles, beninteso dopo una vacanza a Sharm elSheyk, terroristi permettendo.

Come possiamo integrare , o almeno accogliere con la nostra dignità gli stranieri, se non vogliamo offrire un valore che ci distingua, un principio morale qualsiasi, un modello di vita che non sia quello di mangiare, bere e farsi i fatti propri ? Non ci chiediamo se sia bene o male che non nascano più figli di “questo Paese”, oggi è così, domani chissà, ci penserà qualcun altro.

Se la gente non si sposa e non vuole eredi, non è solo perché la vita non è semplice: nel passato le cose andavano assai peggio, certamente leggi a favore della famiglia aiuterebbero molto, ma ciò che l’Istat non può fotografare, e la sociologia non sa indagare è che un immenso sistema di potere, la cui catena di comando è nelle solite mani sporche di finanzieri, azionisti di multinazionali e persuasori al loro servizio, è sfavorevole alla vita, alla famiglia, all’amore di sé, della Patria, delle proprie tradizioni e cose.

Dobbiamo quindi ritornare senza paura a dare giudizi, ad additare colpevoli, a indicare soluzioni. E’ un male l’agonia dell’Italia, è un male terribile che si disfino le famiglie, e si ricompongano a caso, per poco tempo. E’ un male considerare l’aborto un diritto: semmai è una triste necessità in casi particolari e definiti, è un male l’orrore invincibile del nostro tempo per la sofferenza , da nascondere in appositi lazzaretti ed interrompere a richiesta, con domanda online, previa acquisizione del pin per comunicare con l’ufficio competente.

E’ una terribile perdita allontanare da sé l’esperienza concreta della morte : conosco persone che non hanno neppure il coraggio di andare all’obitorio per visitare un parente od un amico morto.Proprio Massimo Fini , che pure si dichiara ateo, ha pronunciato parole semplici e concretissime, al riguardo :  morire è facile, prima o poi ci riescono tutti.  Ed è una carenza di sentimento, dunque di vita, rinunciare volontariamente all’esperienza della paternità e della maternità, che adesso chiamano, con un neologismo orribile e burocratico, “genitorialità”.

Ma un potere possente ed immenso come forse mai nella storia ( ecco un altro giudizio di valore ) ci vuole così. Hanno allentato la catena di trasmissione: quella tra le generazioni, quella della civiltà, della cultura, dell’amore di sé. A spezzarla definitivamente , però, ci abbiamo pensato noi , come provano le cento statistiche diramate dall’ISTAT. Spettatori annoiati, obbligati a porre sempre più in alto l’asticella delle emozioni di un attimo, senza padri, nubili, celibi, di stato libero, membri provvisori e rigorosamente part –time di legami  arcobaleno , indifferenti all’idea stessa di un Dio qualunque, senza figli, tanto al mondo alcuni miliardi di soldatini premono per essere i nostri successori a basso costo, imbottiti di medicinali e di ritrovati spesso inutili perché occorre essere, anche dopo gli ottanta , più sani e più belli. Altrimenti, non vale la pena vivere, e tutto si può risolvere con una punturina asettica, tra i camici bianchi edi sorrisi artefatti dei psicologi di sostegno. Goethe, morendo, sembra abbia detto “Più luce” .

Noi, lo certifica l’Istat nell’indifferenza dei superiori , indaffarati a fare denaro, cambiare partner che, magari, saranno solo genitori del figlio in comune , desideriamo evidentemente spegnerla la luce di questa Patria rugosa, vizza e cialtrona . Abbiamo voluto , ci hanno dato, la libertà di vivere a nostro gusto, spezzare una catena .

Ma l’animo nobile aspira ad un ordine e ad una legge. Il resto è plebe: “questo paese”.

Roberto Pecchioli

L’articolo L’Italia dell’ISTAT. Si è spezzata la catena di trasmissione. è tratto da Blondet & Friends, che mette a disposizione gratuitamente gli articoli di Maurizio Blondet assieme ai suoi consigli di lettura.

Dei delitti e delle pene

Si cominciano a delineare alcuni tasselli relativi al pagamento del canone di abbonamento della televisione nella bolletta elettrica.
Adiconsum – l’associazione consumatori della Cisl – sottolinea che il nuovo impianto di riscossione è basato sul concetto di presunzione della detenzione di un apparecchio televisivo legato all’esistenza di un contratto di fornitura elettrica. «Tutti coloro che sono titolari di un’utenza elettrica sono ritenuti potenziali detentori di una tv e, pertanto, sono tenuti al pagamento dell’imposta – conferma la responsabile provinciale di Adiconsum Adele Chiara Cangini – Non pagherà chi non possiede un apparecchio televisivo, ha più di 75 anni e un reddito familiare annuo inferiore ai 6.713,98 euro lordi. Non paga nemmeno chi è proprietario di seconda casa, perché paga il canone sulla prima casa».
In attesa del decreto, l’Agenzia delle Entrate ha approvato intanto il modello di dichiarazione sostitutiva relativa al canone di abbonamento alla televisione per uso privato.
«Una volta compilato, va spedito entro il 30 aprile 2016 per posta o entro il 10 maggio per via telematica. Il modulo – dice Cangini – è scaricabile dal sito dell’Agenzia delle Entrate ed è disponibile presso tutti gli uffici Adiconsum di Modena e provincia». L’associazione consumatori della Cisl informa che la dichiarazione di non possesso va presentata ogni anno entro il 31 gennaio. In caso di coniugi coabitanti nello stesso stato di famiglia~con più case ed eventualmente utenze intestate a entrambi, è necessario dichiarare che il canone sarà sull’utenza del coniuge mediante il modulo quadro B.
«Attenzione – conclude l’Adiconsum – la falsa dichiarazione è punita dal codice penale con due anni di reclusione».

http://www.sulpanaro.net/2016/04/canone-rai-in-bolletta-ecco-le-istruzioni-per-lesenzione/

La Corte d’ Appello di Venezia ha dimezzato la pena al bengalese, portandola a due anni e quattro mesi. I giudici lagunari hanno ricalcolato la pena partendo dal minimo edittale di cinque anni e riconoscendogli le attenuanti che non aveva ottenuto in primo grado. Come se in chi violenta una ragazzina ci siano anche delle attenuanti da considerare. Anzi come se non bastasse gli hanno perfino tolto la misura di sicurezza. In conclusione il bengalese si è fatto soltanto otto mesi di carcere dei quattro anni che erano stati previsti, ora è ai domiciliari e in virtù di quest’ultimo verdetto potrà presto tornare in libertà.
http://www.giornalenews.com/2016/04/09/padova-immigrato-stupra-17enne-disabile-grazie-ai-giudici-non-fara-un-giorno-di-carcere/

Un paese ormai disfatto

di GIANFRANCO LA GRASSA (economista)

Un sintomo, non fra i maggiori ma significativo, di quanto sta avvenendo in Italia è il rimaneggiamento subito via via dai settori dell’economia “pubblica”. L’IRI ebbe momenti di fulgore, fin dall’inizio sotto la presidenza di Beneduce. Dopo la guerra fu rafforzata con la Finmeccanica (1948), l’Eni (1953), l’Enel (1962-63). Negli anni ’80 (notate, come “coincidenza”, che ciò avvenne dopo il caso Moro, su cui mi sono diffuso più volte spiegando a che cosa fosse molto probabilmente dovuto) si ebbe la presidenza di Prodi (“sinistra” DC), durante la quale vennero cedute 29 aziende del gruppo (fra cui l’Alfa Romeo, che andò alla Fiat), liquidate Finsider, Italsider, Italstat; si verificò inoltre il tentativo di vendita a prezzo molto basso della SME a De Benedetti, fallito per l’intervento di Craxi e che poi portò ad una vendita ad un prezzo molto, ma molto più alto.

Nel ’92, l’IRI diventò una società per azioni (quindi più facilmente scalabile e vendibile) e iniziò l’epoca delle privatizzazioni con l’accordo tra Andreatta (altro Dc di “sinistra”) e Van Miert (per la Comunità europea). E’ indubbio l’influsso (e le pressioni) di detta Comunità, ma anche la Dc di “sinistra” (che viene salvata in quegli anni da “mani pulite” assieme agli ex piciisti) ci mise la sua parte; come pure l’ex Pci. Ex piciisti e diccì di “sinistra”, i “miracolati” di “mani pulite”, si unirono nel combinare tutti i disastri dell’ultimo quarto di secolo.

Voglio ancora ricordare che, quando presero un più celere avvio le privatizzazioni, l’IRI era affidato alla direzione del Tesoro, dove si trovava un “certo” Draghi, che fu tra i “complici” di fatto della svendita della Telecom ai privati Gnutti e Colaninno con la “benedizione” del governo D’Alema. Le privatizzazioni iniziano con il Credito Italiano (’93) e poi proseguono celermente, smantellando di fatto l’IRI che chiude definitivamente nel 2002. E nel corso di questo inizio secolo, a parte qualche sprazzo (come il già ricordato accordo Eni-Gazprom, di fatto promosso da Putin e Berlusconi), si ha un continuo indebolimento delle aziende strategiche quali Eni e Finmeccanica.

leggi tutto su http://www.appelloalpopolo.it/?p=15520

Orecchio non sente, morale non duole

meritevoli di indulgenza e dolce compassione, siano figlie amorevoli che nel rovesciamento dell’antico vincolo, proteggono e promuovono papà faciloni e sprovveduti, siano compagne amorevoli e appassionate immolate sull’altare di un eros dissipato e dissennato, siano mammine e babbi apprensivi a caccia di facilitazioni e sistemazioni di una prole timida e e ritrosa, tanto da avere ritegno nell’affacciarsi al mercato del lavoro.

il Simplicissimus

 Anna Lombroso per il Simplicissimus

Vi propongo un test di quelli che i settimanali pubblicano nel numero di ferragosto ad uso di neo ateniesi sotto l’ombrellone dell’Ultima Spiaggia. Allora cosa fareste se foste un dirigente politico alle prese con uno scandalo che coinvolge ministri, imprese pubbliche, boiardi di stato, amministratori locali, imprenditori e sottobosco d’impresa, autodefinitisi cricca del quartierino, rivelati grazie alla somministrazione al pubblico di intercettazioni accuratamente selezionate da editori impuri e media assoggettati e felici di mettersi a disposizione del regime?

  1. Scegliereste decisori e membri dell’esecutivo tra orfani eccellenti, misantropi tenacemente determinati a vivere un’esistenza romita e solitaria, sfuggendo ogni relazione e vincolo, eremiti dediti a solinghe contemplazioni, trovatelli restii alla ricerca di qualsiasi esponente pentito di genitorialità?
  2. Non avendo a disposizione moralisti pervicaci, gerolamisavonarola incalliti, fustigatori di costumi indefessi, ripieghereste su una legge ombrello che imponga a partiti e movimenti lo screening del personale politico in modo…

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Ritorno alla sovranità

il modello politico propugnato dal gruppo dirigente contiguo a Vladimir Putin in Russia è percepito, dalle classi popolari dei Paesi della Ue, come estremamente più democratico del modello di “liberalismo reale” promosso dal ceto dirigente sistemico, di centrodestra e di centrosinistra, rappresentato da personaggi quali Cameron, Hollande, Berlusconi, Sarkozy, Merkel e Renzi. In questo senso, è perfettamente comprensibile il voto massivo di operai, impiegati (un iscritto su quattro al sindacato francese Cgt, politicamente su posizioni di sinistra, per dichiarazione stessa del segretario generale della nominata centrale sindacale “rossa”, Philippe Martinez, «vota per il FN»), piccoli e medi imprenditori e disoccupati, ossia i cosiddetti “defraudati”, “marginalizzati” e “sradicati” dai processi di globalizzazione, ai partiti europei cosiddetti “populisti”, dal Front National al FIDESZ; partiti, questi ultimi, apertamente favorevoli all’innesco di una serie di dinamiche di risovranizzazione (politica, economica, culturale, monetaria e, in parte, anche militare) degli Stati nazionali del “Vecchio Continente” (naturalmente, occorre tener presente che una prospettiva deglobalizzatrice immaginata in chiave esclusivamente nazionalistica non conduce da alcuna parte in quanto genera, nel periodo medio lungo, ripiegamento localistico e chiusura sciovinistica, se non viene coniugata in un’accezione eurasiatista, ossia di costruzione di un vero e proprio blocco geopolitico continentale, costruito su basi culturalmente tradizionali ed economicamente solidaristiche, cooperativistiche e socialiste, ma va tenuto presente che la critica “nazionalistica” del capitalismo odierno è assai più in sintonia con i sentimenti, le esigenze e le aspettative delle classi popolari rispetto alle confusionarie velleità progettuali degli altermondialisti, new global, “dirittumanisti” e femministe, fautori di una lacrimevole e parolaia critica del liberismo economico ma sostenitori del nomadismo e del cosmopolitismo di indistinte “moltitudini desideranti” in ambito culturale).

LA DEMOCRAZIA SOVRANA DI PUTIN. UN MODELLO POLITICO PER I PAESI DELLA SEDICENTE UNIONE EUROPEA