Il sottosegretario agli Esteri del governo Renzi, Sandro Gozi, un deputato del Pd iscritto anche ai Radicali italiani del duo filosionista e “amerikano” a oltranza Bonino-Pannella, nonché membro del think tank ultraliberale European Council of Foreign Relations (comprendente al suo interno figure di spicco del panorama politico-imprenditoriale a stelle e strisce e “a stella di David” italiota, tipo Giuliano Amato, Emma Bonino, Maria Cuffaro, Marta Dassù, Massimo D’Alema, Gianfranco Fini, Franco Frattini, Emma Marcegaglia, Lapo Pistelli e Luisa Todini), si è, a sua volta, del tutto comprensibilmente vista la “stoffa” del personaggio, prodigato nell’apologia diretta della Erasmus Generation, questa generazione «libera, poliglotta e cosmopolita»[41] di “studenti internazionali” «artatamente educati […] alla vita allegra»[42] e integralmente secolarizzati al materialismo pratico più gretto, caratteristico di quella che il sottosegretario Gozi definisce «una società laica [dove] non devono esserci tabù»[43]. Una società nel cui ambito ogni studente avrebbe dovuto preventivamente conoscere «il suo valore di mercato»[44]. Gozi ha pubblicato recentemente un libro, guarda caso edito dalla casa editrice dell’Università Bocconi di Milano (tempio della cultura neoliberale italiota), dall’inequivocabile titolo: Generazione Erasmus al potere. Il coraggio della responsabilità. In questo pamphlet, Gozi traccia un profilo apologetico del “mondo senza confini” e “senza limiti” (un mondo unificato dove gli Stati nazionali regrediscono al rango di filiali locali di aziende multinazionali e startup con sede a New York o Londra). Il mondo unificato, open society, tratteggiato da Gozi, è infatti “Cosmopolis”, sorta di multinazionale delle relazioni sociali, politiche ed economiche privatizzate, gestita in conto terzi da babbioni filoamericani e figli di papà, rincoglioniti di ceto medio sans frontières sui cui volti si sarebbe potuta ravvisare unicamente «una tranquilla tabula rasa con al centro un unico pensiero: se stessi»[45]. Una volta descritto il profilo politico (liberale di sinistra) e sociologico (classe media postmoderna, totalmente americanizzata) dei gestori di “Cosmopolis” sfornati dal Programma Erasmus e dalle business school private anglosassoni, Gozi si esibisce in una vera e propria, nonché inquietante, dimostrazione di cieco fideismo ideologico nei confronti della più radicale e spaventosa operazione di ingegneria sociale mai pensata dal 1945 a oggi, ossia la creazione del “cittadino nomade globale” europeista, totalmente sradicato da precedenti riferimenti identitari e comunitari e conquistato alla causa del disimpegno e del divertimento sans frontières dal passaggio (burocratico, omologante e ormai pressoché obbligatorio) dell’Erasmus come “certificato di ammissione” nel novero della open society per monadi consumistiche, pauperizzate e standardizzate agli stili di vita e di consumo “trendy” di ogni sorta. Scrive infatti Gozi, ricordando come anche il vate della filosofia del disincanto e della rassegnazione cosmopolitica all’italiana, il defunto Umberto Eco, fosse un incallito sostenitore dell’Erasmus quale megamacchina creatrice ex novo di identità postnazionali:
L’Erasmus è la più geniale intuizione avuta dall’Unione europea per costruire il proprio futuro […]. Oggi sono milioni i giovani europei a fare l’Erasmus… Ragazze e ragazzi che trovano assolutamente normale frequentare l’università a Bologna come a Bruges o a Barcellona, che scrivono su WhatsApp in francese o in inglese […]. Ragazze e ragazzi che hanno avuto l’occasione di studiare in ogni angolo d’Europa: e non solo di studiare, se diamo un’occhiata ai dati pubblicati dalla Commissione europea secondo cui dal 1987 è nato più di un milione di bambini frutto di incontri Erasmus. Bambini che nelle vene hanno sicuramente il sangue blu a stelle fin dalla nascita… Già, Umberto Eco aveva proprio ragione […]. Il nostro semiologo disse che l’Europa si sarebbe naturalmente realizzata grazie alle coppie che si incontravano col Programma Erasmus, i cui figli sarebbero stati europei nel loro DNA[46].
Paolo Borgognone