“Che vuoi farci… Vai all’estero, no?”

Quello che volevo dire, per concludere, è che l’emigrazione, quando incomincia, lascia comunque delle tracce definitive, soprattutto quando il contatto umano che si è lasciati alle spalle (che, per la maggiore, preserva ancora in sé tutta la sua ricchezza emotiva) è lo stesso ma in forme diverse – si tocca uno schermo, non una persona. E il diverso sta proprio nella carenza tecnologia che è poco sintonizzata sul rituale umano, che è quella specifica cosa che provoca emotività e senso nella prassi quotidiana. Una cosa importantissima.

Il Conformista

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Ogni tanto, giusto per vezzo personale, mi faccio un giro per scovare qualche offerta di lavoro nel mio Paese. Come già si saprà, cercare lavoro è un vero e proprio lavoro, ed io – come penso tantissimi altri – mi sono dedicato a questa attività tempo fa, assiduamente: un’attività che non auguro proprio a nessuno.

Nonostante l’impegno aggiuntivo che va oltre l’aver studiato per tanti e lunghissimi anni (gli anni del cosiddetto “gettare il veleno”, come amava ripetere una mia Prof.); malgrado gli sbattimenti inimmaginabili per “venderti” in maniera diversa ad ogni diversa e “allettante” candidatura; nonostante la frustrazione annessa ai residui di quella che ti ostini ancora a chiamare la “tua voglia di fare” – una frustrazione inspiegabile che ti accompagna ogni santo giorno –, alla fine poche persone potranno veramente capirti, anche perché il risultato che porti a casa è quasi sempre nullo.

Dicevo, questo giro…

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