Il primo riguarda la percezione viziata dell’elettorato che vive nella filter bubble dell’informazione o, come dicono i giornalisti, nelle echo-chamber, camere di risonanza delle proprie idee. Eli Pariser nel 2012 ci informava sul rischio della personalizzazione dei contenuti: tutto ciò che vediamo sulla nostra timeline o nei risultati di ricerca non è altro che la deliberata scelta di un algoritmo tarato il più possibile sul nostro comportamento online. Vale a dire che se Facebook mi riconosce come istruttore di yoga, vegano fanatico dei superfood, attento ai cambianti climatici, animalista e rispettoso delle minoranze, difficilmente mi proporrà lo status del mio amico veneto che scrive “fuori dalle balle gli immigrati, saliamo sul trattore!”, e all’inizio sarò contento perché crederò di essere nel migliore dei mondi. Pariser ci avvisa che l’algoritmo nei confronti dei singoli utenti compie vere e proprie scelte editoriali, con il rischio di oscurare del tutto molti fenomeni.
(Come spesso accade il Saturday Night Live lo ha detto meglio in uno sketch intitolato appunto “The Bubble”). Facebook e Google influenzano il modo in cui si percepiscono le notizie: proprio come un giornale, ma in modo più subdolo e occulto. La cosa curiosa è che le grandi tech company rifiutano l’idea di essere considerate media company, anche se di fatto è da tempo che Google News, Facebook e persino Twitter hanno cannibalizzato il mercato editoriale e diffondono contenuti. Come scrive Matthew Ingram: «Nell’attuale panorama dei media, il controllo sulla distribuzione è diventato importante quasi quanto l’effettiva creazione di contenuti». I motivi per cui conviene essere una tech company sono due: il primo è che il mercato risponde meglio, il secondo è che non devi sottostare ad alcuna una regolamentazione e prestare attenzione a concetti noiosi e novecenteschi come libertà di parola, deontologia professionale, fact-checking. ..
Il problema dell’autorevolezza
Arriviamo così al punto più complicato. Uno studio di Stanford conferma le più cupe previsioni: i teenager non sanno riconoscere una notizia falsa da una vera. Non sanno neppure riconoscere un contenuto sponsorizzato da un contenuto giornalistico quand’è esplicito. Ancor più interessante, se sollecitati usano parametri di credibilità bizzarri come la grandezza delle foto o la densità informativa: soprattutto, non nominano mai la fonte. In sintesi: il momento in cui l’informazione è in assoluto più capillare e raggiungibile, la capacità intellettuale di strutturare una ricerca, fosse anche la più semplice, è ridotta ai minimi termini, e la colpa sembra non essere di nessuno.
estratto da http://www.leparoleelecose.it/?p=25318
Nel 1887 il sociologo tedesco Ferdinand Tonnies in Gemeinschaft und Gesellschaft (Comunità e società), descrivendo la rivoluzione in corso d’opera della società e del mondo delle comunicazioni, aveva indicato nella stampa uno straordinario strumento per la manifattura dell’opinione pubblica, un canale attraverso il quale un gruppo particolare avrebbe potuto “presentare la propria volontà come la razionale volontà generale”.
« In questa forma di comunicazione, i giudizi e le opinioni sono impacchettati come gli articoli delle drogherie e offerti per il consumo nella loro obbiettiva realtà […] preparati e offerti alla nostra generazione nel miglior modo possibile dai giornali, che rendono possibile la più veloce delle produzioni, delle moltiplicazioni e delle distribuzioni di fatti e pensieri, proprio come la cucina di un albergo prepara cibo e vivande in tutte le forme e quantità immaginabili. […] La stampa è il vero organo dell’opinione pubblica, un’arma e uno strumento nelle mani di coloro che sanno come utilizzarla e devono utilizzarla. Essa è comparabile, e in un certo senso superiore, alla forza materiale posseduta dai governi con i loro eserciti, i loro tesori e la loro burocrazia. A differenza di questi infatti, la stampa non ha confini naturali ma, nelle sue tendenze e nelle sue potenzialità, è decisamente internazionale, e quindi comparabile al potere di una permanente o temporanea alleanza fra Stati.[11] »
https://it.wikipedia.org/wiki/Propaganda
La voce merita di essere letta per intero
« Il singolo non ha un’opinione su tutte le questioni pubbliche […] Non sa come dirigere i pubblici affari […] Non sa che cosa succede, perché succede, che cosa dovrebbe succedere. Non riesco a immaginare come potrebbe, né esiste la benché minima ragione per credere, come hanno fatto i democratici mistici, che il mescolio delle ignoranze individuali in masse di persone possa produrre una forza continua che imprima una direzione alle questioni pubbliche […]
Il pubblico deve essere tenuto al suo posto, non solo perché possa esercitare i suoi poteri, ma ancor di più per consentire a ognuno di noi di vivere libero dallo scalpiccio e dal rumore del gregge disorientato »
(Walter Lippmann, 1922[33])
Ibidem
https://bondenocom.wordpress.com/2016/12/06/vademecum-elettorale/
https://apoforeti.wordpress.com/2016/09/27/la-finestra-di-overton/
Alcune università hanno stilato liste di siti che secondo loro diffondono “falsità”; i grandi media e network ne invocano la chiusura, o il controllo attraverso l’istituzione di un orwelliano Ministero della Verità, che giudichi quali notizie che appaiono su Facebook sono false e negano le sole notizie vere, quelle trasmesse dai mainstream media.
Il Papa nella campagna anti-blogger
Non so se i nostri lettori sono consapevoli della vastità e potenza, e pericolosità per la libertà, della campagna “fake news”. Spero siano coscienti almeno di questo: che “papa Francesco” vi partecipa, come tutti i megafoni del Sistema. In un’intervista al settimanale cattolico belga Tertio, ha bollato come un peccato diffondere notizie di scandali, e che i media che si concentrano su scandali e ‘fake news’ per diffamare politici sono come i malati (psichici) di ‘coprofagia’ (quelli che si eccitano sessualmente mangiando escrementi); e siccome il pubblico ha la tendenza alla malattia della coprofagia, si fa un gran danno”.
http://www.maurizioblondet.it/trump-aiutato-putin-fake-news-lotta-senza-esclusione-colpi-usa/
Strategia N°5: Dare le informazioni in modo che il popolo non possa dire di non averle, ma non riesca ad utilizzarle a dovere. Esemplificando:
Notizie scarne sparare a raffica come sventagliate di mitra che perforano, straziano e passano oltre senza lasciarsi valutare.
Sottotitoli che scorrono mentre altre notizie vengono lanciate: le une sono di distrazione alle altre.
Facce serie (quasi minacciose) con mimica marcata e cadenza martellante che leggono i telegiornali. Questi annunciatori sono accuratamente selezionati per calamitare l’attenzione degli ascoltatori; sembra che dalla loro bocca stiano sempre per spuntare delle rivelazioni di vitale importanza.
Le informazioni in materia finanziaria sono volutamente fatte apparire difficili. La complessità è un ottimo deterrente per chi si proponesse di capire qualcosa dei meccanismi socialmente paralizzanti come la moneta, l’inflazione, il prestito …
Istruzione per tutti sì, ma scadente. Essa deve essere di tipo meccanico e bloccare lo spirito critico. Non deve produrre teste indipendenti.
La sanità pubblica deve essere di basso livello e piena di incertezze per tenere la gente in angoscia ed orientarla verso quella privata.
La giustizia non deve funzionare perché il clima di incertezza e di insicurezza giova ai manovratori.
Lorenzo Parolin in http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=57889
Prendiamo la faccenda di questo nuovo oggetto di culto massmediatico, la post-truth, la post-verità di cui hanno parlato i redattori del Dizionario Oxford, usando e facendo la fortuna di un termine non coniato da loro ma una decina d’anni fa da un certo David Robert del sito ambientalista Grist. La post-verità si riferisce alle “circostanze in cui fatti oggettivi sono meno influenti nel modellare l’opinione pubblica rispetto agli appelli emotivi e convinzioni personali”. Un lungo giro di frasi politicamente corretto e ipocrita per affermare che le falsità hanno spesso il sopravvento sulla realtà specie in politica e specie nella Rete. Cosa che si sapeva da sempre senza che gli esperti linguisti inglesi strombazzassero il neologismo post-verità
http://www.barbadillo.it/61771-lanalisi-di-g-deturris-la-post-verita-tra-trump-e-linfluenza-dei-social/
Da Repubblica: “Boldrini contro l’odio e le fake news. Appello ai cittadini per smascherare le bufale web. La presidente della Camera annuncia un’azione per sollecitare il debunking. “Sono in contatto con quattro esperti, lavoriamo con i social network contro la disinformazione”. Si dà anche il nome dei quattro ‘esperti’ preferiti dalla Boldrini: Paolo Attivissimo (il disinformatico – che già dimostra un partito preso ideologico ), David Puente, ex dipendente Casaleggio, Michelangelo Coltelli, alias Butac e Walter Quattrociocchi, IMT lab.
Claudio Messora ha detto quasi tutto quel che si poteva dire dell’iniziativa nel suo video del 16 dicembre:
Aggiungo solo qualche appunto giuridico-politico. Se la Boldrini riesce a realizzare il suo ideale, sarà un organo dello Stato a sancire quali notizie sono “false” e quali “vere”. La presidenza della Camera, organo dello Stato, raccoglierà le denunce dei debunker che ha scelto lei (almeno un concorso pubblico, no?) e poi farà sopprimere le notizie ritenute “false” da loro, eventualmente punendo i diffusori delle dette notizie false. Con azioni penali? Multe? Insomma opererà la censura. La censura di Stato contro le notizie che non approva. A suo insindacabile giudizio considerandole ‘false’.
http://www.maurizioblondet.it/sia-lo-sancire-quali-notizie-veree-quali-false/