Essendo il suo autore notoriamente mazziniano, il brano venne proibito dalla polizia sabauda fino al marzo 1848: la sua esecuzione venne vietata anche dalla polizia austriaca, che perseguì pure la sua interpretazione canora – considerata reato politico – sino alla fine della prima guerra mondiale[30].
Stiamo parlando dell’Inno di Mameli (quello che dice:”noi siamo da secoli calpesti e derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi“); il che ci porta al problema (più volte trattato in questo blog) del carattere degli italiani:
- Individualismo;
- Improvvisazione;
- Incostanza;
- Superficialità;
- Passionalità;
- Influenzabilità;
- Narcisismo;
- Opportunismo.
Sono solo alcuni dei difetti e l’elenco potrebbe allungarsi all’infinito, perché, in questi 150 anni non abbiamo fatto nulla per rimediare, accusando sempre gli altri per la nostra pigrizia e fatalismo.
Per la scelta dell’inno nazionale si aprì un dibattito che individuò, tra le opzioni possibili: il Va, pensiero dal Nabucco di Verdi, la stesura di un brano musicale completamente nuovo, il Canto degli italiani, l’Inno di Garibaldi e la conferma della Canzone del Piave[74][75]. La classe politica dell’epoca approvò poi la proposta del ministro della Guerra Cipriano Facchinetti, che prevedeva l’adozione del Canto degli italiani come inno provvisorio dello Stato[75].
La canzone del Piave ebbe quindi la funzione di inno nazionale della Repubblica Italiana fino al Consiglio dei Ministri del 12 ottobre 1946, quando Cipriano Facchinetti (di credo politico repubblicano), comunicò ufficialmente che durante il giuramento delle Forze Armate del 4 novembre, quale inno provvisorio, si sarebbe adottato il Canto degli Italiani[76][77]. Il comunicato stampa recitava che:
« […] Su proposta del Ministro della Guerra si è stabilito che il giuramento delle Forze Armate alla Repubblica e al suo Capo si effettui il 4 novembre p.v. e che, provvisoriamente, si adotti come inno nazionale l’inno di Mameli […] »
(Cipriano Facchinetti[78])
Sebbene il Canto degli Italiani abbia lo status di inno provvisorio, è stato comunque stabilito un cerimoniale pubblico per la sua esecuzione, che è in vigore tuttora[144]. Secondo l’etichetta, durante la sua esecuzione, i soldati devono presentare le armi, mentre gli ufficiali devono stare sull’attenti[144]. I civili, a loro volta, se lo desiderano, possono mettersi anch’essi sull’attenti[145].
In base al cerimoniale, in occasione di eventi ufficiali, devono essere eseguite solamente le prime due strofe senza l’introduzione[78][144]. Se l’evento è istituzionale, e si deve eseguire anche un inno straniero, questo viene suonato per primo come atto di cortesia[144].
Nel 1970 è stato decretato l’obbligo, rimasto però quasi sempre inadempiuto, di eseguire l’Ode alla gioia di Ludwig van Beethoven, ossia l’inno ufficiale dell’Unione europea, ogni qualvolta venga suonato il Canto degli italiani[144].
ibidem
Lo spartito del Canto degli Italiani è invece di proprietà della casa editrice Sonzogno[128], che ha quindi la possibilità di realizzare le stampe ufficiali del brano[31]. Nel 2010, in seguito al clamore suscitato da una lettera inviata dal presidente del Consiglio comunale di Messina Giuseppe Previti all’attenzione del presidente della Repubblica Italiana[129][130], che si riferiva al versamento di oltre 1 000 euro richiesto alla Croce Rossa locale per un concerto di Capodanno[131], la SIAE ha rinunciato alla riscossione diretta dei diritti di noleggio sugli spartiti musicali del Canto degli Italiani che sono dovuti alla casa editrice Sonzogno[132]. Quest’ultima, possedendo gli spartiti, è infatti l’editore musicale del brano[133].
ibidem
Bene hanno fatto quelli dell’associazione ‘Veneziamiofuturo’ a scegliere il sagrato della Salute, la chiesa innalzata per celebrare la fine della tremenda epidemia. Oggi sono solo 54.600 i residenti nei sestieri, molti meno dei sopravvissuti alla peste del 1630 quando ci volle un secolo per tornare ai livelli di prima del terribile contagio, e pari al numero di quelli che sfuggirono alla falcidia del 1348. Ma si vede che si trattava di flagelli meno cruenti.
http://ilsimplicissimus2.com/2017/02/19/venezia-morti-di-turismo/
Inutile che spieghi a lei, intelligente lettore,dove ci ha portato questa scelta collettiva del “facile”. Questo è un paese che – dai tempi del protezionismo autarchico – aveva sviluppato una produzione aeronautica nazionale; aveva la più grande galleria del vento d’Europa, dove venivano i tedeschi a provare l’aerodinamica dei loro apparecchi; produceva navi all’altezza dei tempi, aveva industrie farmaceutiche che scoprivano nuovi antibiotici, ed elettroniche. Prendeva Nobel per la Chimica, laddove oggi ne ha preso per la Comica (il non compianto Dario Fo); un paese che studiava, si sforzava e lottava per essere all’altezza del mondo moderno.
Adesso ha perso tutto. Si sta facendo depredare da da quel che resta delle sue produzioni avanzate, per un boccon di pane, da “investitori esteri” che prendono il denaro a prestito a tasso zero, e a che scopo? Per pagare gli interessi sui debiti che noi, i nostri politici ciclostomi e i nostri elettorati-oloturie, collettivamente abbiamo fatto- ficcandoci senza un minimo di preveggenza nel più orrendo vicolo cieco della nostra storia, che si chiama euro ed “Unione Europea”.
Beninteso, esiste sempre una minoranza che studia e si sforza; ci affrettiamo a mandarla via, all’estero, non vogliamo gente che rompa i k… con le sue esigenze e la ricerca, come disse quel ministro: qui non c’è posto per loro. In compenso, spuntano come funghi le trattorie. Abbiamo i “giacimenti culturali”, che lasciamo andare in rovina e su cui speriamo di guadagnarci – come nipoti che fanno pagare il biglietto per mostrare il cadavere mummificato del nonno.
Il punto è l’accolta umana chiamata impropriamente “italiani” non sa, non può darsi da sé uno scopo superiore. Forse nessun popolo può. Spontaneamente, forse, ogni popolo- essendo fatto di uomini-massa, ossia di gente che la quale “vivere è essere quello che già si è” – è in grado di porsi il “difficile”. Di per sé, scende verso la soddisfazione immediata, i guadagni immediati, gli egoismi pullulanti, i familismi amorali. Bisogna che qualcosa gli imponga un compito.
Questa cosa è sempre stata, in Europa, lo Stato.
http://www.maurizioblondet.it/discesa-dellitaliano-verso-la-lampreda-sua-possibile-risalita/
Ci si lamenta sempre della povertà, degli stipendi bassi, dell’aumento delle tasse, del fatto che i ricchi diventano sempre più ricchi mentre i poveri sempre più poveri.
Ma guardate che il problema è soltanto nostro.
I ricchi sanno benissimo come funziona l’economia, il mondo, la società, fanno di tutto per tutelare i loro interessi a livello macroeconomico e si arricchiscono sempre di più.
I poveri invece non capiscono nulla, ignorano tutto, non sanno come funziona l’economia, non sanno come funziona uno Stato e poi si meravigliano se diventano sempre più poveri.
Se qualcuno tenta loro di spiegare come stanno le cose per far capire quello che i ricchi sanno da sempre, nemmeno ti stanno a sentire.
Di cosa si lamentano i poveri se loro stessi sono la causa del loro male?
Sento spesso dire “ah no no io di politica non mi interesso tanto sono tutti uguali poi di economia non ci capisco” eh ma allora caro mio, se non interessa a te del tuo futuro e dei tuoi interessi, chi dovrebbe venire a salvarti o a migliorarti la situazione?
Aspettate sempre che qualcuno vi salvi mi raccomando, ma nel frattempo vi avvicinate sempre di più al baratro e al punto di non ritorno.
Se non ti occupi di politica sarà la politica ad occuparsi di te e come puoi vedere, lo fa per ucciderti.
Simone Urriani