Il nostro eroe è un uomo di mille risorse: cacciatore di frodo, gourmet e cuoco, meccanico, antiquario e restauratore. Possiede una casa, un furgone ultimo modello, un capace magazzino, una vivace serie di relazioni di lavoro. Ogni mese incamera un ottimo tesoretto. Una foto lo ritrae mentre sventaglia a raggiera un nutrito numero di pezzi da cinquanta e cento euro.
Il nostro eroe è, infatti, sconosciuto al fisco (se lo fosse non avrebbe da sventagliare alcunché). Non ha mai consegnato a chicchessia dichiarazioni dei redditi et similia. Le banche dati lo segnalano con uno zero alla sua destra. Del welfare se ne frega poiché, a cinquant’anni, è in buona salute; l’ISEE non sa manco che é. Il furgone è intestato a un parente, il magazzino a un altro parente, la casa (popolare) alla madre. Entrambi i parenti e la madre (che percepisce, dopo quattro decenni di lavoro, neanche cinquecento euri) campano grazie a lui. A causa di un’ironia al vetriolo e di un senso fatalista dell’esistenza mi riesce irresistibilmente simpatico. Non teme nessuno, né carabinieri né polizia né finanza: anche perché conosce personalmente i membri di tale patriziato, i loro vizî e le loro moine, e li unge con fare scaltro. La sua salsa di cinghiale è la più buona che abbia mai assaggiato, i restauri perfetti e a buon mercato, gli interventi meccanici (auto, motoseghe, decespugliatori, trattori) sicuri e definitivi (per i clienti affezionati anche gratuiti): il suo contributo alla ricchezza, alla serenità e al buon andamento dei commerci è inestimabile. Se quest’uomo finisse nelle mani di Padoan si originerebbe un impoverimento netto di tutta la comunità, questo è certo.
Per fortuna (sua e mia), imbucato nei recessi della provincia, egli camperà cent’anni. Rimane uno degli ultimi italiani: come nel romanzo di Matheson può dire di sé stesso: “Io sono leggenda”.
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Un patrizio dei nostri tempi. Lo chiameremo Giovanni. Giovanni ha cinquantasei anni circa. Le elementari le ha fatte per inerzia, le medie a calci in culo, come si usava in provincia: scivolando, per tre o quattro anni, sul velluto di un’ignoranza inscalfibile e di una serie di bocciature elargite da docenti spesso al suo stesso livello. Dopo aver faticato qualche anno col padre contadino, terminato il militare, ha scelto la ferma: Esercito. L’Esercito era considerato il refugium dei diseredati della provincia. Come altro guadagnarsi il pane? Anno dopo anno, Giovanni ha scalato in automatico le neghittose gerarchie della soldataglia sino ad arrivare ai gradi di maresciallo; tutte le riforme intercorse in questi ultimi trent’anni l’hanno visto immancabilmente beneficiario. Il lavoro, peraltro, era una sinecura: accompagnare alti papaveri dai comandi periferici ai ministeri romani con fiammanti auto di servizio. “Il generale è una brava persona, il generale mi vuole bene“, cantilenava Giovanni. Il generale, poi, venne assegnato ai rifornimenti e lui, da autista-attendente, divenne furiere; non passava settimana che la macchina di servizio (una Lancia) stazionasse sotto casa sua ricolma di generi di conforto: salumi, casse d’acqua e vino, formaggi, interi blocchi di carne. La bazza è andata avanti per un decennio almeno, poi, grazie all’ennesimo allettamento ministeriale (cinque anni di scivolo), ha deciso il grande passo: la pensione. Ancora vigoroso, si predispone perciò ad accogliere in grembo le fatidiche tredici mensilità, superiori a duemila euri (con qualche piccola lamentela: c’è chi ha fatto meglio, mi dice). Mi ha anticipato, col consueto sorrisetto di compatimento (l’idiota sono io, insomma), che si dedicherà alla terra. I figli, peraltro, son già sistemati: nell’Esercito, grazie (pare) a certe quote ministeriali riservate a chi ha parenti in servizio. La moglie possiede un avviato negozio di abbigliamento. Tre nipoti grassi e sgambettanti allietano vieppiù la sua riuscita esistenza. Quando lui partì, decenni fa, tutti noi liceali subivamo gli ammonimenti PolCor, continui e insistiti: per avere un’occupazione remunerativa occorre studiare, e no, non certo fermarsi alla laurea … la specializzazione, ci vuole, e sempre più specializzazione … la specializzazione, infatti, è il primo gradino verso la pienezza e la realizzazione economica, personale e sociale …
Ho qualche dubbio sulla reincarnazione.
Se esiste io ho già deciso: nella nuova vita farò il suonatore di bonghi.
IBIDEM