Neotelevisione

Dai rotocalchi di Alfonso Signorini ai programmi di Maria De Filippi, l’universo simbolico costruito dalla tv privata, che si è sostituita al servizio pubblico (la “neotelevisione”, come la etichettò Umberto Eco), e alla stampa rosa e scandalistica [ha costruito l’immaginario popolare]. E, così, dopo l’egemonia di mercato è arrivata anche quella culturale, e più precisamente sottoculturale. Una “pedagogia antipedagogica” fondata sul divertimento, l’edonismo e il flusso continuo e incessante delle immagini, che ha riscritto anche i codici e le “tavole della legge” di un’informazione convertitasi in vari casi in infotainment (ove l’intrattenimento prevale largamente sull’informazione) e, da qualche tempo a questa parte, direttamente in entertation con l’affermarsi della transtelevisione del superamento dei generi. Un ventaglio di soft media che ha trovato nella tv generalista del disimpegno e delle avvisaglie della (supposta) disintermediazione – e che si sarebbe giustappunto fatta in seguito anche megafono dell’antipolitica – il proprio campione, e un irrefrenabile motore propulsivo.

leggi tutto su http://gabriellagiudici.it/massimo-panarari-siamo-ancora-figli-della-trash-tv/

San Michele

E’ “ingeneroso accusare il Comune di Finale Emilia di non aver fatto nulla per la coppia in difficoltà, avendo comunque garantito (e tuttora garantendo) aiuti assistenziali rivolti a entrambi, benché un componente del nucleo non sia residente nel Comune”. Così a Finale Emilia si valuta la situazione in cui versa una coppia di finalesi, 46 anni lui, M.B e 48 anni lei, F.B., i quali da sabato saranno senza un tetto sulla testa e andranno a dormire per strada. Dal Comune puntualizzano che, a dire dei servizi sociali, i due abbiano mantenuto “Un atteggiamento ostile e di pretesa nei confronti del servizio”. Nessuna soluzione si prospetta dal Comune per il loro destino che, stando così le cose, è la strada. O soluzioni d’accatto come quella scelta da un muratore di Bastiglia di 58 anni, che vive nel bagno del cimitero della cittadina. Italiani che hanno sempre lavorato e pagato le tasse e che, nel momento del bisogno, non trovano risposte adeguate ai loro drammi, almeno per quanto riguarda la casa.

La coppia di Finale Emilia, la ricostruzione degli ultimi fatti secondo il Comune.

Il signor M.B, 46 anni, si è rivolto, per la prima volta, ai servizi sociali del Comune di Finale Emilia a settembre 2016  poiché, trovandosi in una condizione di disagio socio-economico grave, non è più riuscito a provvedere autonomamente al soddisfacimento dei propri bisogni”, e perde anche la casa. “M. in passato, ha sempre provveduto autonomamente al proprio mantenimento in quanto impegnato un un’attività lavorativa che gli permetteva di integrare il proprio reddito, dato dalla pensione di invalidità contributiva di cui beneficiava e che gli è stata sospesa a causa di una sua negligenza poichè non ha provveduto ad inoltrare all’Inps la documentazione richiesta entro il termine di 120 giorni dalla data di scadenza dell’assegno di invalidità, al fine di ottenere la conferma dello stesso”. Il Comune si muove prontamente per cercare di far recuperare all’auomo il suo assegno di invalidità, ma lui “non avendo ottenuto immediatamente una soluzione al problema casa, si è rivolto agli amministratori e alla stampa, lamentando la mancanza di aiuto”.
Arriva dicembre e il 46enne “è stato contattato telefonicamente dai servizi sociali ed invitato a recarsi, come da appuntamento, presso l’ufficio per consegnare la documentazione richiesta dagli operatori e definire insieme agli stessi un possibile percorso di aiuto; ha rifiutato di presentarsi al servizio dicendo di essere stanco di girare presso gli uffici comunali e che la sua unica priorità era  quella di trovare una sistemazione per la notte”.

Un atteggiamento, quello dell’uomo, valutato negativamente da chi in quel momento si sta facendo in quattro per aiutarlo. Infatti, “nonostante l’ostilità verso il servizio, lo stesso si è mobilitato contattando le associazioni di volontariato al fine di attivare, nell’immediato quanti più aiuti possibili per sostenere il nucleo in difficoltà. E’ stato infatti attivato il pacco alimentari della Croce Rossa, sono stati concessi dei buoni alimentari per permettere a lui ed alla compagna di acquistare i beni di prima necessità ed è stata anche mobilitata l’associazione il Porto per il reperimento, nel territorio di Finale Emilia, di un alloggio da concedere, in emergenza. Intanto, in attesa di trovare una casa, l’associazione Il Porto ha messo a disposizione un posto letto presso la casa di accoglienza di San Biagio ed il Comune di Finale Emilia si è reso disponibile alla copertura dei costi di permanenza presso la struttura a favore solo di M., in quanto residente, e non della compagna, F.B. residente invece presso un altro Comune”.

Ma lui dice no a questa proposta che avrebbe lasciato la sua donna senza un tetto. “Di fronte al rifiuto categorico da parte dell’uomo della proposta avanzata – prosegue la ricostruzione del Comune che rivela come si sia fatto ben oltre il dovuto, in questa situazione, “pur consapevole che l’assistenza materiale fornita al signor Bilio non potesse essere garantita anche alla compagna poiché non residente, in accordo con l’Amministrazione Comunale, ha provveduto comunque a garantire alla coppia l’assistenza necessaria trattandosi di una situazione indifferibile; allo stesso tempo si è proceduto a  segnalare al comune di residenza della signora la situazione di indigenza della stessa e per la quale il servizio non ha ancora ricevuto una risposta, se non quella della disponibilità dello stesso comune di garantire un posto letto solo per  lei (offerta da subito dalla donna rifiutata)”.

Così a gennaio 2017 si chiarisce il destino dei due, che nel frattempo avevano dormito per strada: andranno a vivere nel monolocale di via Oberdan dove sono stati fino ad ora. Comune e l’associzione Il Port sottoscrivono un progetto di aiuto assistenziale a favore di M.B. con il quale “tutti i soggetti coinvolti hanno accettato di collaborare e rispettare i compiti assegnati.” Il Comune di Finale Emilia ha dato un aiuto per l’affitto, per un paio di mesi, e si è impegnato a provvedere anche ad attivare un tirocinio retribuito (da 200 euro al mese, Ndr) affinché, lo stesso, potesse provvedere al pagamento di parte dei consumi di gas, luce e acqua e poter comunque disporre di un reddito minimo per far fronte alle proprie esigenze”.

Messo un tetto sulla testa dei due, c’era ancora da risolvere il problema della pensione di invalidità che è stata tolta all’uomo per mere questioni burocratiche. Lui ne ha tutto il diritto, viste le condizioni di salute in cui versa, ma siamo in un Paese in cui bisogna attivarsi, per far valere i propri diritti

E qui il Comune spiega che “Il progetto sottoscritto a gennaio prevedeva che M.B. si impegnasse ad adempiere alcuni compiti che però sono stati disattesi”. Ad esempio, “Si doveva recare presso il medico di base per richiedere la documentazione sanitaria necessaria per completare la pratica da inviare ad Inps e, anche in questo caso, ha rinviato fino alla metà di settembre, giustificando questo ritardo con il fatto che fosse impegnato con il tirocinio che portava lui via tanto tempo e che non era riuscito a conciliare i suoi orari con quelli del dottore in quanto quest’ultimo si trovava a Massa e non a Finale. Ad oggi la situazione è invariata”. E “Nonostante i ripetuti solleciti la situazione è rimasta invariata e sia Mario che la compagna hanno mantenuto un atteggiamento ostile e di pretesa nei confronti del servizio”.

Tutti contavano, poi, che la coppia potesse avere una casa popolare. Ma le leggi sono recentemente cambiate, e M.B. non era in possesso del requisito dei 3 anni di residenza continuativi nella nostra regione per cui non ha potuto presentare nessuna domanda per avere una casa popolare.

Arriva settembre di quest’anno, e nonostante facendo i salti mortali la coppia è sempre riuscita a pagare l’affitto, ha tenuto tutto in ordine e non ha mai dato problemi, si deve lasciare l’alloggio di via Oberdan. A M.B. il Comune prospetta due cose: un colloquio di lavoro a Cento e la possibilità di alloggiare presso la casa accoglienza di San Biagio. “Alla proposta  abitativa lui ha risposto che doveva pensarci ma che non era al momento in condizione di parlarne con la compagna in quanto molto agitati”, illustrano dal Comune, mentre il colloquio di lavoro salta perchè lui non trova un passaggio in auto per arrivare a Cento. “Pare dunque ingeneroso  – conclude l’Amministrazione – accusare il Comune di Finale Emilia di non aver fatto nulla per la coppia in difficoltà, avendo comunque garantito (e tuttora garantendo) aiuti assistenziali rivolti a entrambi, benché un componente del nucleo non sia residente nel Comune”.

Questa la versione del Comune di Finale Emilia, che dimostra come l’amministrazione abbia fatto tutto il possibile e anche oltre. Ma la situazione è impietosa: da sabato rimane il fatto che due persone finiranno per strada.

 

The post Finalesi a dormire per strada, il Comune: “Hanno atteggiamento ostile e di pretesa nei nostri confronti” appeared first on SulPanaro | News.

Il barone folle

Si chiamava così una trasmissione di Radio Alto Ferrarese (probabilmente per una citazione da Hugo Pratt), ma il personaggio è realmente esistito:

15 Settembre 1921. A Novonikolaievsk (oggi Novosibirsk, in Siberia) un plotone d’esecuzione fucila il barone Roman Feodorovitch von Ungern-Sternberg; ha 36 anni. Lui stesso dà l’ordine di sparare.
Era nato a Graz (in Austria) ma aveva vissuto a Reval (oggi Tallin, Estonia), in una delle famiglie dell’antica nobiltà tedesca del Baltico. Tra i suoi antenati: cavalieri crociati, nobili baltici membri dell’Ordine Teutonico, ma anche alchimisti e corsari. La sorella era sposata con il filosofo Hermann Keyserling.
A 18 anni era entrato nel Corpo dei Cadetti dello Zar a San Pietroburgo.
Durante la Guerra russo-giapponese chiese inutilmente di poter andare a combattere ma ai cadetti non era concesso e fece in modo di essere espulso dalla Scuola per raggiungere la Manciuria ma quando si mise in viaggio il conflitto era già finito.
Partì quindi verso Est, a cavallo e con la sola compagnia di un cane, viaggiò per un anno, lungo i percorsi dei nomadi, giungendo fino a Urga (oggi Ulan-Bator), capitale della Mongolia.
Entrato nell’Accademia militare ne uscì finalmente con il grado di ufficiale nel 1909. Fu assegnato ad un reparto di Cosacchi e inviato in Siberia.
Particolarmente predisposto all’apprendimento delle lingue, giunse a parlare correttamente il russo, il tedesco, l’estone, l’inglese, il francese e vari dialetti asiatici.
A 26 anni, con la cacciata dei Cinesi dalla Mongolia, ricevette dal Buddha Vivente il comando della cavalleria mongola. Seguì un periodo di viaggi nell’Europa occidentale: in Austria, in Germania, in Francia. Niente però lo interessava veramente, niente per lui era più affascinante delle terre siberiane.
Allo scoppio della Prima guerra mondiale si trovava a Parigi e rientrò immediatamente in Russia per riprende il suo posto militare.
Al comando di uno squadrone di Cosacchi, nel giugno 1915 combatté contro gli Austro-ungarici sui Carpazi.
Nel corso dei combattimenti in Galizia e in Volinia fu ferito quattro volte; per l’eroico comportamento fu decorato con la Croce dell’Ordine di San Giorgio, con la croce dell’Ordine di San Vladimiro e con quella dell’Ordine di San Stanislao.
I suoi combattimenti proseguìrono sul fronte armeno contro i turchi nel 1916 al fianco dell’atamano Grigorij Semenov.
All’inizio della rivoluzione bolscevica, a Reval, Roman von Ungern-Sternberg organizzò reparti di Buriati per affrontare i bolscevichi, poi raggiunse il suo amico, l’atamano Semenov nei pressi del lago Baikal, e formò un Reggimento contro-rivoluzionario, formato da mongoli, cosacchi, serbi, giapponesi, coreani e cinesi iniziando gli attacchi contro l’Armata Rossa in Manciuria e Siberia.
Nel 1918 formò un governo provvisorio contro-rivoluzionario in Transbajkalia, lanciando l’idea (un sogno al quale puntò concretamente) della realizzazione di una Grande Mongolia reazionaria dal lago Baikal al Tibet e dalla Manciuria al Turkestan.
Strumento di guerra dei suoi progetti geopolitici era l’esercito che aveva formato e che aveva chiamato Divisione Asiatica di Cavalleria.
Nel gennaio 1919 a Cita organizzò una Conferenza pan-mongola, con buriati, mongoli e altre minoranze.
In quella occasione sostenne l’idea della restaurazione di una teocrazia lamista, evocando Gengis Khan e la restaurazione dell’ordine tradizionale dell’Eurasia.
Inviò anche un suo rappresentante alla conferenza di pace a Versailles ma i suoi progetti furono silurati da uno dei comandanti delle Armate Bianche, l’ammiraglio Koltchak,
I sovietici lo temevano più di tutti gli altri avversari, considerandolo il più formidabile nemico, da annientare. “Vive circondato da lama e da sciamani… Si proclama buddista per il gusto dello scandalo e dell’insolito. Ma sembra piuttosto far parte di una setta anticristiana e antisemita baltica. I suoi nemici lo chiamano “il Barone folle”… E’ soprattutto il più duro e coraggioso dei suoi cavalieri”, dicevano di lui i Rossi.
Scriverà di sé: “Mi piace essere chiamato Barone folle. In un mondo capovolto come il nostro dalla Rivoluzione, le menzogne sono divenute verità e la saggezza derisione. Per Trotzski, fermo nel suo sogno messianico, io sono dunque un pazzo. Quale omaggio alla mia lucidità! Quando l’universo crolla, tutto diviene possibile. Mille cavalieri possono ancora sollevare l’Asia. E’ sufficiente un capo dal pugno di ferro”.

Leggi tutto su http://www.barbadillo.it/69133-effemeridi-ungern-khan-il-barone-folle-amato-da-hugo-pratt/

Il neoliberismo

Forte di una prodigiosa macchina della propaganda senza precedenti, il neoliberismo è riuscito a conquistare ogni spazio ideologico lasciato vuoto per mancanza di avversari capaci di far fronte comune e reagire a un nemico tanto imponente quanto invisibile. Attraverso seducenti armi di distruzione del pensiero di massa è riuscito a creare le condizioni ideali per un sempiterno dominio delle élite sui popoli, sotto una facciata fintamente democratica e modernizzatrice. L’individuo, inizialmente, è stato reso docile attraverso quel “minimo vitale sociale”, di cui parlavano Malthus prima e Marx poi, ossia quel modesto di più percepito dal lavoratore rispetto allo stretto necessario per vivere e che quindi in grado di consentire l’accesso all’agognato atto del consumo su cui si è retto finora il sistema capitalistico consumistico. Oggi, per il principio della gradualità e dell’irreversibilità della privazione incessante dei diritti e del benessere umano, il minimo sociale di vita sta divenendo appannaggio di pochi, considerati come dei privilegiati dal sistema e per questo osteggiati dai propri simili, alimentando così una guerra intestina tra i nemici, inconsapevoli e disgregati, dell’invisibile tiranno. L’interiorizzazione del sentimento di paura perenne, legata alla precarietà e alla sfuggevolezza delle condizioni lavorative e di vita, nonché delle relazioni sociali e umane sempre più sfaldate, ha generato quel caos e quell’automatica quanto inconsapevole repressione delle frustrazioni del singolo, che hanno castrato ogni anelito di ribellione.

Neoliberismo di Ilaria Bifarini

Uscire da questa eterna schiavitù, cui l’invasore ci ha condannati è impossibile, se prima non viene individuato il nemico e il campo di battaglia. di Ilaria Bifarini (autrice di “Neoliberismo e manipolazione di massa. Storia di una bocconiana redenta“) Fonte: Scenari Economici