Lavorare per quattro soldi

Un’amica laureata in scienze dell’educazione con 110 e lode ha ricevuto da un operatore che eroga servizi per l’infaniza un’offerta di lavoro da colf/baby-sitter, orario 13-22 dal lunedì al sabato, 54 ore complessive per 500 euro mensili. Dovrebbe far svolgere i compiti a due bambini che frequentano la scuola primaria, cucinare per loro e per i genitori e rassettare casa. Prendere o lasciare. Umilante? C’è di peggio. Mi ha detto che una sua conoscente lavora per un noto studio professionale come contabile, laureata anche lei con 110 e lode in economia e commercio, anche lei 9 ore al giorno per 6 giorni la settimana, retribuzione netta 400 euro al mese.
Quando parliamo di deflazione salariale deve essere chiaro che stiamo indicando anche questi fenomeni diffusi. Oggi la sottocupazione al limite dello sfruttamento è lo standard e le persone che svolgono questi lavori per percepire retribuzioni da fame vengono conteggiate tra gli occupati dall’ISTAT. Nel mercato del lavoro con la crisi che c’è, si troveranno sempre ragazzi laureati disposti ad accettare queste condizioni, e se non si trovano c’è un serbatoio infinito di lavoratori e lavoratrici che provengono dalle aree disagiate, disposti a lavorare quasi gratis. Quando si dice che i ragazzi italiani non vogliono lavorare, o non vogliono abbassarsi a fare lavori umili, penso sempre a tutti i miei amici iperqualificati che fanno di tutto pur di campare e mi domando se sia poi così assurdo pretendere di fare il lavoro per cui si è studiato. Che diavolo si studia a fare se poi ci si deve comunque abbassare di livello per svolgere mansioni che non richiedono qualifiche di alcun tipo?

Gianluca Baldini

3 pensieri su “Lavorare per quattro soldi

  1. Claudio Bazzocchi in un recente intervento sul suo profilo facebook, “il mondo del compromesso socialdemocratico tra capitale e lavoro è stato rifiutato dai ceti subalterni in nome di una vita meno costretta dai rigidi schemi del welfare e del capitalismo societario e quindi più creativa, più libera a partire dal luogo di lavoro. Giusto, sbagliato, vero, non vero, questo è stato il sentimento che ha trovato nelle promesse del neoliberalismo una risposta che continua a essere tuttora egemonica nell’immaginario di milioni di persone.”
    in http://appelloalpopolo.it/?p=35931

  2. ll ciclo è questo:

    1- si deindustrializza il Paese e se ne distruggono i corpi intermedi;
    2- le classi subalterne accettano il processo e spingono per la ricerca della loro felicità attraverso il circuito edonistico dell’intrattenimento;(il c.d. riflusso: primi anni ’80 N.d.R.)
    3- resesi atomi alla ricerca del godimento illimitato, esse non sono in grado di organizzarsi e non hanno più i luoghi politici, economici e sociali per farlo;
    4- non pensano più che possano esistere soluzioni politiche ed egemoniche.

    Quindi il lavoro culturale non viene più messo in piedi per fare del bene alla società, semmai ci si limita ad intrattenerla con i meme per la propria autorealizzazione (bellissimo il pezzo del saggio sulla produzione memetica), non certo per creare un mondo migliore. Per questo il lavoro culturale è vissuto come un’opportunità, non come qualcosa che debba garantire lo sviluppo della società: il lavoro culturale e politico non è più visto come servizio agli altri ma solo come realizzazione di se stessi.

    Francesco Berni in http://appelloalpopolo.it/?p=35931

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