Inutile che spieghi a lei, intelligente lettore,dove ci ha portato questa scelta collettiva del “facile”. Questo è un paese che – dai tempi del protezionismo autarchico – aveva sviluppato una produzione aeronautica nazionale; aveva la più grande galleria del vento d’Europa, dove venivano i tedeschi a provare l’aerodinamica dei loro apparecchi; produceva navi all’altezza dei tempi, aveva industrie farmaceutiche che scoprivano nuovi antibiotici, ed elettroniche. Prendeva Nobel per la Chimica, laddove oggi ne ha preso per la Comica (il non compianto Dario Fo); un paese che studiava, si sforzava e lottava per essere all’altezza del mondo moderno.
Adesso ha perso tutto. Si sta facendo depredare da da quel che resta delle sue produzioni avanzate, per un boccon di pane, da “investitori esteri” che prendono il denaro a prestito a tasso zero, e a che scopo? Per pagare gli interessi sui debiti che noi, i nostri politici ciclostomi e i nostri elettorati-oloturie, collettivamente abbiamo fatto- ficcandoci senza un minimo di preveggenza nel più orrendo vicolo cieco della nostra storia, che si chiama euro ed “Unione Europea”.
Beninteso, esiste sempre una minoranza che studia e si sforza; ci affrettiamo a mandarla via, all’estero, non vogliamo gente che rompa i k… con le sue esigenze e la ricerca, come disse quel ministro: qui non c’è posto per loro. In compenso, spuntano come funghi le trattorie. Abbiamo i “giacimenti culturali”, che lasciamo andare in rovina e su cui speriamo di guadagnarci – come nipoti che fanno pagare il biglietto per mostrare il cadavere mummificato del nonno.
Il punto è l’accolta umana chiamata impropriamente “italiani” non sa, non può darsi da sé uno scopo superiore. Forse nessun popolo può. Spontaneamente, forse, ogni popolo- essendo fatto di uomini-massa, ossia di gente che la quale “vivere è essere quello che già si è” – è in grado di porsi il “difficile”. Di per sé, scende verso la soddisfazione immediata, i guadagni immediati, gli egoismi pullulanti, i familismi amorali. Bisogna che qualcosa gli imponga un compito.
Questa cosa è sempre stata, in Europa, lo Stato.
http://www.maurizioblondet.it/discesa-dellitaliano-verso-la-lampreda-sua-possibile-risalita/
In questi casi aiuterebbe forse comprendere come a parte i ‘poveri’ in senso stretto, una parte vastissima della popolazione riesce a tenere la testa sopra la linea di galleggiamento solo al costo di tantissima fatica, tanto logoramento, rischi, stress, malattie professionali, ecc. Ricordare che il pane è facile solo per esigue minoranze aiuterebbe ad adottare atteggiamenti meno supponenti e a comprendere un po’ meglio le diffuse ragioni della rabbia.
https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=60684
“L’internazionalismo economico”, scriveva John Maynard Keynes, “con quel che comporta di libero movimento di capitali da investimento, come del libero scambio di merci, può condannare il mio paese, per una generazione, a un livello di prosperità materiale inferiore a quello che potrebbe attingere […] La nuova generazione non ha niente da aspettarsi da un sistema mondialmente uniforme”. “Sostengo che dobbiamo essere meno soggetti possibile all’influenza di cambiamenti economici decisi altrove, se vogliamo andare verso la repubblica sociale ideale del futuro. Penso che un avanzamento deliberato verso una più grande autarchia nazionale e un maggior isolamento economico ci faciliterebbe il compito, nella misura in cui il costo non fosse eccessivo”.
E’ il capitale speculativo che vede in tutto ciò che è migliore, solo dei “costi”. Keynes: abbiamo dato “un posto stravagante a quello che chiamiamo “risultati finanziari” promossi come criteri per giudicare ogni azione, pubblica o privata”. Così, dice, “vivere è divenuto la parodia dell’incubo di un contabile … Abbiamo ritenuto che ci occorreva assolutamente rovinare gli agricoltori e distruggere un’economia basata su tradizioni antiche, per guadagnare qualche centesimo su una mica di pane. Distruggiamo la bellezza della campagna perché lo splendore di una natura che non appartiene a nessuno non ha valore economico. Londra è una delle città più ricche della storia della civiltà, ma “non si può permettere” le realizzazioni più ambiziose di cui sono capaci i suoi abitanti oggi disoccupati, perché “non ci sono le coperture”. Dobbiamo lasciarli poveri, perché non rende farli ricchi. Siamo capaci di spegnere il sole e le stelle perché non danno alcun dividendo” .
(J.M Keynes, National Self-Sufficiency”, The Yale Review, vol.22, n˚ 4 (june 1933), p. 755-769.)