di Giulietto Chiesa Il Parlamento Europeo ha respinto a maggioranza una legge che va sotto il titolo di “difesa dei diritti d’autore”, ma che è un pasticcio dal quale sarebbero usciti vincenti solo i grandi network. E perdenti tutti i “content producers”, cioè i milioni di fruitori e attori della Rete. Il fulcro del cosiddetto “ragionamento” della Commissione (che, in effetti ha cercato di guidare il processo) stava nei famigerati artt. 11 e 13 che, ridotti in termini comprensibili alle masse, significa che se vuoi pubblicare un qualsiasi contenuto, devi prima accertarti che non sia coperto dal diritto d’autore. Se non lo fai sarai “bannato” e punito. Per arrivare a questo risultato i parlamentari europei sono stati bombardati per mesi dagli “studi” di Google, Yahoo, Microsoft, Facebook etc. Sistema classico nel quale il singolo parlamentare si trova ad essere libero più o meno come lo è un carcerato sotto massima sicurezza. Nonostante questo dettaglio la norma non è passata, perché i dubbi sul significato hanno cominciato a mergere con grande vigore. Infatti, come puoi fare tu, piccolo e piccolissimo “attore” che vuoi scambiare le tue idee sul web, buone o cattive che siano, a sapere se sei nel lecito o nell’illecito? Tu non hai nessun “filtro” che ti mette in guardia. È come muoversi con gli occhi bendati. Mentre i “grossi” i filtri ce li hanno, eccome! E siccome i grossi lavorano per il Potere, il quale li usa — come ormai sappiamo e come stiamo sperimentando giorno dopo giorno, sempre più intensamente — per colpire quella parte critica del web che produce contenuti critici nei confronti del Potere, dei Poteri, che sappiamo chi sono: le grandi concentrazioni finanziarie mondiali, qualche volta i governi, mai i popoli. Così i termini della discussione diventano immediatamente chiari: non sono questioni tecniche, sono problemi di democrazia sostanziale. La legge non è e non sarà uguale per tutti, anche se la direttiva europea sarà presentata come strumento di difesa per “tutti”. Ora la direttiva torna al negoziato tra Parlamento, Commissione e Consiglio. Dunque la battaglia non è finita, sebbene la procedura è tale che le pressioni lobbistiche finiscono di solito per prevalere su quelle dell’interesse della collettività.
Dal momento che spesso le opinioni contrarie vengono etichettate come incitamento all’odio, cosa che tra l’altro esime da ogni argomentazione, Facebook ha messo a punto un algoritmo per scoprire e bloccare gli “odiatori”, scoprendo così un vero e proprio vaso di Pandora.
Il social network ha infatti bloccato il post di un giornale texano che in prossimità del 4 luglio aveva pubblicato ampi stralci della Dichiarazione di Indipendenza che sono stati giudicati portatori di odio e in particolare il brano che recita “Il re d’Inghilterra ha aizzato insurrezioni interne tra di noi, e ha cercato di istigare chi abita sulle nostre frontiere, i selvaggi indiani senza scrupoli, la cui nota regola di guerra è la distruzione indiscriminata di tutti, indipendentemente dall’età, il sesso e la condizione”.
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