E’ una “rivoluzione culturale”, ma al contrario di quella che esplose nel ’68 nelle stesse università di California al grido di “vietato vietare” e della libertà sessuale e di drogarsi. Questa rivoluzione congela ed opprime in nome del conformismo, assunto come condizione medica necessaria. “L’aspirazione all’universale che muoveva quei movimenti è stata sostituita dal pensiero tribale: ognuno sta dentro il suo gruppo (etnico o di preferenze sessuali) come nella tribù che lo fa sentir bene. Verso tutti gli altri, l’atteggiamento è: “Voi non comprendete la mia esperienza e sentimenti, perché non siete come me negro, omosessuale, lesbica, vegano … dunque non vi ascolto nemmeno”. Il risultato è la nuova segregazione fra gruppi che si straniano e si vivono come ostili e incomunicabili.
Che dire? Anzitutto che si tratta di un fenomeno “di classe”, dove questi figli di papà si avvolgono nella loro guscio protettivo dalla realtà in una società dove, invece, i coetanei poveri hanno la miglior opportunità nell’arruolarsi nelle guerre infinite, affrontare la realtà più cruda di sangue e imboscate, terrore e omicidi – per poi finire, reduci affetti da vere sindromi post-traumatiche, ben più reali di quelle che accusano gli snowflakes, come senza tetto disprezzati e abbandonati, cacciati dai quartieri alti perché fanno i loro bisogni sul marciapiede come a San Francisco. Oppure da ironizzare che frasi innocue per i più siano sentite come “aggressioni” da gente che le carica appunto delle proprie intenzioni malevole: sono appunto i ricchi privilegiati, quando vi dicono, “parlate bene l’inglese”, quelli che aggiungono mentalmente “…per essere un messicano e un inferiore”.
Ma più urgente sottolineare il paradosso: questa oppressione che i giovani esercitano nei campus sui coetanei come sui professori, è il paradossale risultato dell’ideologia anti-autoritaria: quella che nega la gerarchia fra docente e discepoli, rigetta ogni disciplina e severità, e di fatto invita i ragazzi ad auto-educarsi, a stabilire il loro proprio ordinamento, al di fuori del mondo adulto. In un mondo senza pressione sociale proveniente dalla religione come dalla moralità comune, il risultato è questo: che i giovani lasciati a sé stabiliscono una gelida dittatura, un totalitarismo censorio d’acciaio.
Non accade solo in America, né nei quartieri alti. La notte di domenica 14 un ragazzino di 13 anni è stato ucciso a colpi di sbarre di ferro di cinque coetanei a Seine Saint-Denis, una banlieue alle porte di Parigi; altri omicidi sono avvenuto in lotte fra bande dei quartieri, sempre più giovanili. E’ quella situazione “gravemente degradata” che ha denunciato Gerard Collombe, il ministro degli interni di Macron, prima di dimettersi. Il ministero ha contato almeno novanta bande di minorenni feroci, che né i poliziotti né i giudici (che li assolvono) riescono a contenere, men che meno gli insegnati e gli imam nei quartieri arabi.
E’ il risultato di qualcosa che il giornalista-sociologo Luc Bronner, definisce “il cancellarsi degli adulti” nei “ghetti” francesi. Nelle famiglie di quei ragazzini criminali, il padre, quando pur esiste, è un disoccupato o un alcolizzato, per i bambini un fallito senza successo quindi che non ha nulla da insegnare. Da qui”un rovesciamento di gerarchie” per cui “alle porte della république si sono costituite delle contro-società, con le loro gerarchie, le loro leggi, i propri rapporti sociali, i propri valori.
Resecare noi stessi dal passato ci sta recando verso territori sterili, sciocchi, infantili, senza sbocco, antiaristotelici. Una sommatoria di sottoculture, sospettose, rissosissime, fanatiche, ognuna fiera della propria microscopica indipendenza; piccole mode che vanno e vengono come certe teorie economiche abbandonate per strada come un balocco usato dopo essere state sostenute col coltello fra i denti. Ciò che manca è lo sguardo generale sulla vita, sul mondo e sulla Storia che solo il mondo classico (e gli autori moderni che a quel mondo si ispirano) possiede. Il disincanto, il pathos della distanza. Lo scetticismo fruttuoso. Il nulla di troppo.
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