I “fatti” della scienza ridotta a formule matematiche costringono così
progressivamente l’uomo dentro una gabbia di comportamenti programmati dei quali non riesce a vedere il senso e non può assumersi la responsabilità.
Quale è il senso di stroncare le infezioni con farmaci cui i batteri si abituano diventando nel giro di poco invincibili, come succede ora agli antibiotici distribuiti generosamente fino a ieri per i disturbi più banali, e oggi merenda preferita di batteri e virus? O assumere vaccini contro malattie quando i paesi che danno la copertura più alta alle corrispondenti infezioni registrano anche il maggior numero di ammalati? L’uomo ipercurato è oggi un individuo debole, e insicuro.
Il fatto è che la tecnocrazia ha sposato questa scienza matematicizzata e
astratta proprio perché è quella che non ha rapporti con il mondo dell’uomo, vivente, libero e imprevedibile, in quanto impegnata a livello economico e produttivo a costruire il “mondo nuovo” degli incubi novecenteschi. Popolato non da esseri umani liberamente pensanti e accesi dalla passione dell’amore, ma individui programmati e a volte concepiti in laboratorio e quindi liberi da appartenenze familiari, nazionali, territoriali, religiose, artistiche, spirituali.
Quando avevo poco più di vent’anni, e Jean Meynaud, allora professore di
Scienza politica alle Università di Losanna, Ginevra e all’Ecole Pratique de
Hautes Etudes a Science Po, a Parigi, mi coinvolse tra queste varie città nei suoi studi sulla Tecnocrazia, vidi e studiai direttamente la tendenza sempre più evidente dei tecnici e scienziati di riunirsi in un’elite, per sostituire gradualmente i poteri politici nazionali.
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