Il 23 marzo 1919, a Milano, in una sala concessa in affitto dall’industriale massone ed ebreo Cesare Goldmann, nascevano i “Fasci di Combattimento”. Oggi ricorre il centenario di quell’evento destinato a cambiare profondamente la struttura sociale dell’Italia e la storia del mondo intero.
In quella sala milanese cento anni fa si riunirono sindacalisti rivoluzionari, mazziniani, nazionalisti, anarchici, futuristi, socialisti massimalisti, interventisti di destra e di sinistra, sindacalisti corridoniani e altre componenti della sinistra eterodossa polemica verso il dottrinarismo del socialismo ufficiale. Dal quel congresso, di poche decine di uomini, che la stampa all’epoca quasi ignorò, nacque il cosiddetto “Programma di San Sepolcro”, dal nome della piazza del convegno, alla cui stesura collaborò il sindacalista rivoluzionario mazziniano Alceste De Ambris (che finì esule antifascista a Parigi). Era il manifesto politico del primo fascismo, quello di sinistra, socialista ma anche nazionalista democratico, con forti pulsioni anarchiche ed anticlericali. Basta leggere quel manifesto per toccare con mano l’essenza rivoluzionaria, nient’affatto conservatrice, del documento. In esso si parla di gestione operaia dei servizi pubblici, di espropriazione parziale delle ricchezze, di minimi salariali, di partecipazione dei lavoratori agli utili, di otto ore giornaliere di lavoro e di istituzione di consigli nazionali di tecnici del lavoro con poteri legislativi. Tutti temi che ritroveremo nell’ultimo documento promulgato dal fascismo morente e del quale diremo. Il lettore trova il Programma sansepolcrista nella sezione di “documentazione storica”
I Fasci di Combattimento non ebbero successo elettorale. Fu così che Mussolini, mentre imperversava il cosiddetto “biennio rosso”, iniziò una virata verso destra. La Rivoluzione russa aveva dato motivo al partito socialista – di lì a poco a Livorno nel 1921 sarebbe nato da una sua costola il PCI (tra i fondatori quel Nicolino Bombacci che sarebbe morto a Salò in nome del socialismo fascista) – di mobilitare le masse nel generale malcontento del primo dopoguerra.
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Lo speciale di “Storia in Rete” ha come obbiettivo di riempire quel vuoto di discussione, approfondimento e ricostruzione storica che nel resto della stampa e dei media è stato colpevolmente evitato. Stelio Fergola, di “Oltre la Linea”, ha parlato di “complesso di inferiorità” della Repubblica italiana verso il passato fascista. Oggettivamente l’assordante silenzio su questo centenario è materia da reparto di psichiatria: c’è un’intera classe intellettuale – per tacer dei politici – che sembra comportarsi come l’adolescente traumatizzato perché dopo aver fatto una gara “al righello” coi compagni di classe ha scoperto di avercelo più piccolo. Con tutto il cascame di ansia da prestazione, manie di persecuzione e disturbo evitante di personalità…
L’Italia ha disperato bisogno di riprendere in mano la propria storia. Studiarla, riannodare i fili strappati. Imparare dal passato come si impara da un maestro, con reverenza. Sta invece solo giudicando, in maniera sempre più isterica, come del resto dimostrano le ultime intemerate delle femministe contro la statua Montanelli o degli anarchici contro i monumenti patriottici di Bologna e Messina. Lo speciale di “Storia in Rete” può essere utile per prendersi una pausa di riflessione sana in un paese sempre meno normale.
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