La sentenza di Sileno

Inquieta la idea stessa di mettersi a valutare se la vita, o una data vita, sia più conveniente o meno conveniente della morte. Inquieta cioè l’idea, in sé razionale, di chiedersi se, dato il mio stato di salute, mi convenga continuare a vivere oppure uccidermi o farmi uccidere. Disturba, insomma, l’idea che la vita non sia sempre desiderabile in sé stessa, come tale, ma che la sua preferibilità alla morte dipenda dalla sua qualità.

Infatti, se si apre la mente a questa idea, a questa valutazione, non si sa dove si arriverà. Anzi, vi dico io dove si arriverà; si arriverà a udire il suono della risposta del satiro immortale Sileno, che, forzato da re Mida a rivelare quale sia la cosa più desiderabile per l’uomo, sentenziò: “Stirpe miserabile ed effimera, figlia del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te sarebbe assai meglio non udire? Il meglio è per te assolutamente irrealizzabile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire presto”. La vita umana è sempre peggiore della morte: questo vuol dire Sileno. Sempre, e non solo quando ti tormenta una malattia incurabile, perché le sue sofferenze, nel complesso, superano sempre le gioie. Perciò la vita umana non ha senso. Una saggezza, questa, superficiale e fasulla, ma devastante e letale per le nazioni occidentali. culturalmente e spiritualmente svuotate e traviate dall’insegnamento e dall’esempio del clero cristiano, soprattutto di quello moderno.

LA SENTENZA DI SILENO

Censura

Le leggi speciali in tema di opinione sono sempre restrizioni di diritti e libertà e anticamere di risvolti più inquietanti.
Dopo aver marcato un suo territorio virtuale, dopo aver emesso una sua moneta, ora il social annuncia che istituirà una corte, un suo tribunale, per dirimere questi casi. Non vi preoccupa che si crei uno Stato parallelo e sovrastante al nostro Stato, che non risponde pienamente a nessuno Stato e alle sue leggi, nel nome della sua extraterritorialità, del suo status sovranazionale e multinazionale?
Ogni singolo episodio non preoccuperebbe se non si inserisse in un contesto, un’escalation e una convergenza di poteri. Non sostengo affatto che le sparse denunce e limitazioni siano figlie di un Complotto ordito dall’alto e poi diramato. C’è però una preoccupante sintonia, uno squallido allinearsi, un pericoloso conformismo che mette in fila l’università pubblica e quella privata, l’ateneo della Confindustria, i social, i poteri mediatici e il mondo di sinistra, fino ai tribunali. Dai lib ai dem, dai padroni ai compagni, l’arco è vasto e variegato, ma quando si tratta d’impedire la circolazione di messaggi differenti, s’accodano, s’intruppano.
È necessario suonare l’allarme, non abbiamo altra difesa che la denuncia aperta e mirata. A noi senza potere non resta che gridare tutte le volte che accade, finché la voce, il microfono e la salute ci accompagneranno.

P.S. La lista dei censurati da Facebook si allunga. Il giorno seguente la pubblicazione dell’articolo, giunge notizia che anche il profilo Facebook di Caio Mussolini è stato bloccato. “Non conosco il motivo per cui Facebook mi ha sospeso l’account personale per 7 giorni”, dice il Responsabile nazionale del laboratorio tematico Difesa di Fratelli d’Italia. “Questa polizia del pensiero è inaccettabile. Il grande fratello preconizzato da George Orwell ha preso forma con le big tech, che si sentono padrone delle nostre vite, dei nostri dati e delle nostre idee”.

Marcello Veneziani

estratto da https://www.ariannaeditrice.it/articoli/quella-brutta-aria-di-censura

Facilitatori

E dagli anni Novanta in avanti attraverso provvedimenti legislativi successivi che hanno introdotto le logiche – necessarie ma complementari – dell’inclusione, dell’integrazione, del dialogo scuola-famiglia – una strana eterogenesi dei fini ha come consentito al sistema scolastico di puntare più su questi nuovi obiettivi che su quelli tradizionali della formazione e della crescita culturale. La scuola italiana ha finito per aggiungere esperienze e progettualità, anche extra-scolastiche, tese a radicarsi nel territorio, a proporre la relazione scuola-lavoro e così via. Ma per una serie di fattori, anche contraddittori, la figura del docente si è progressivamente trasformata, soprattutto nella percezione collettiva e nelle famiglie, in quella di una sorta di sorvegliante e tutore dei giovani, in cui spesso le competenze richieste sembravano più quelle di un assistente sociale, infermiere, psicologo e animatore di comunità che in quella di educatore e formatore. Aggiungendo a ciò la perdita costante di prestigio sociale dell’insegnante e del professore, soprattutto a causa degli stipendi sempre più appiattiti in basso tanto che oggi il docente italiano guadagna meno di un operaio e con una remunerazione mensile che è la metà di un suo collega tedesco o francese. E non si può tacere in questo processo il ruolo del sindacato che per anni ha preferito impegnarsi sul facilitare l’ingresso in cattedra dei precari piuttosto che puntare sull’aumento degli stipendi. Nel complesso, il risultato è stato quello di abbassare l’attrattiva per la professione docente da parte di giovani laureati di qualità che hanno preferito professioni oggettivamente più remunerative.
Dati tutti questi fattori, il risultato, come sottolinea Sini, è stato quello di arrivare a una sistema scolastico in cui – tranne gli sforzi individuali dei singoli insegnanti – ha finito per eclissarsi il primato della formazione culturale dei ragazzi. Per dirla con una sola parola, al ruolo educativo e formativo dell’insegnante è andata sostituendosi la logica del “facilitatore”: “bestemmia pedagogica – a dire di Sini – che offende lo spirito degli alunni e che priva i cittadini del diritto all’accesso all’alta cultura”. Ovviamente, c’è professore e professore. E grazie a molti singoli la scuola italiana riesce ancora ad avere dei risultati. Ma nell’insieme è scomparsa la percezione pubblica e nell’immaginario del ruolo pedagogico e formativo dell’istituzione scolastica. Da cui il fatto che una porzione crescente e impressionante di studenti non sono più in grado di leggere e di comprendere testi di media difficoltà che non sanno scrivere correttamente e non sanno parlare decentemente, addirittura nei licei e ormai anche nelle università. Perché quello che si è soprattutto appannato è il percepire la scuola come il principale canale di accesso alla cultura e alla grande cultura. Si è invece puntato a pretese “competenze” introdotte recependo troppo velocemente linee guida e indicazioni europee oppure modelli anglosassoni senza un contesto adeguato e una metabolizzazione approfondita, tendendo a tralasciare o a porre in secondo piano quelle conoscenze che tutti i cittadini hanno diritto di essere aiutati ad acquisire.

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/docenti-facilitatori-e-giornalisti-opinionisti-il-declino-e-servito

Quelli che…

Quelli che proprio mi fanno morire sono quelli che, nel nome della ‘soluzione d’insieme’, della ‘visione globale’, pensano di saltare a piè pari le politiche locali o nazionali.
Su una grande quantità di temi (immigrazione, ecologia) una parte ampia di pensiero sedicente progressista pensa di stare già all’altezza di questi grandi temi una volta che hanno invocato una ‘soluzione globale’.
E su questa base guardano con disprezzo alle piccinerie locali o nazionali, perché loro sì che c’hanno l’occhio lungo: loro sanno che la soluzione o è globale o non è.
Una volta che si sono messi in questa posizione panoramica sono soddisfatti: il punto di vista è quello giusto, il resto sono dettagli, e chi si attarda a discuterli è un reazionario.
Certo, poi quando gli chiedi chi è che dovrebbe porre questi problemi globali in una dimensione globale nell’interesse globale, beh, le risposte sono vaghe, evasive, spesso la domanda stessa viene vissuta come una provocazione: “Insomma, io ti ho dato la cornice giusta, se poi insisti sui dettagli sei un provocatore.”
Quei pochi che accettano la domanda abbozzano cose patetiche come “la Comunità Internazionale”, l’ONU, l’UE.
Il meccanismo mentale qui è per me di particolare interesse, perché questi soggetti applicano (credo inavvertitamente) un’antica lezione marxiana, ma lo fanno solo per una metà, quella comoda.
Marx infatti è il pensatore che ha insegnato al mondo occidentale a pensare in termini di strutture sociali complessive, guardando al ‘sistema’.
Solo che poi Marx andava sempre anche a vedere come funzionava il sistema reale, nella storia corrente, e solo a quel punto suggeriva soluzioni.
Questi invece si limitano alla parte comoda, allo sguardo panoramico, che ha anche il vantaggio di far sentire superiori al volgo coinvolto nei dettagli della vita di tutti i giorni. E sbottano impazienti rispetto a quelli che insistono a capire come quella ‘volontà generale’ dovrebbe diventare ‘volontà operativa’. Son dettagli che turbano la loro serenità e comunque l’unica cosa di cui sono certi a priori è che la risposta non può certo essere quella bruttura storica che è lo Stato-nazione

Fonte: Andrea Zhok

Il prezzo come valore

Di Helen Buyniski, giornalista e commentatrice politica statunitense

“Il sistema scolastico pubblico americano potrebbe essere nei guai, tranne le sue migliori università”, afferma un articolo di Stacker, che paragona le dotazioni multimiliardarie di 50 college americani alla “ricchezza totale” delle nazioni del mondo, come stimato dal Credit Suisse.
L’elenco ha visto cinque università – tra cui Princeton, Stanford, Yale e l’Università del Texas System – battere oltre la metà delle 195 economie mondiali. In cima alla lista con la sua enorme dotazione di 38,3 miliardi di dollari è posizionata Harvard.
Forse più degli altri college della Ivy League, Harvard vende più di una laurea. Un’istruzione ad Harvard fornisce l’ingresso in ambienti esclusivi popolati da persone molto ricche e molto influenti, e la scuola si impegna molto per coltivare questa reputazione. La qualità dell’istruzione di Harvard è in qualche modo diminuita negli ultimi dieci anni, occupando ora il sesto posto secondo le classifiche del The Times Higher Education World University, ma la stessa azienda ha invariabilmente classificato la reputazione dell’istituzione come incontaminata, segnando un perfetto 100 sia per la ricerca che per insegnamento.
Mentre gli insegnanti di tutto il Paese organizzavano scioperi per i bassi salari ed i costi sanitari, le tasse universitarie sono aumentate quando Wall Street iniziava ad impacchettare i debiti dei prestiti agli studenti come prima impacchettava i debiti derivanti da mutui. Da quando sono stati introdotti gli “SLABS” (titoli garantiti da attività di prestito studentesco), l’ammontare totale del debito studentesco detenuto dagli studenti americani è raddoppiato.
Le scuole della Ivy League sono rimaste al sicuro dalla svalutazione dei diplomi accademici perché gli ex-alunni che occupano le posizioni di potere hanno concordato che le lauree devono rimanere preziose, un bene a prova di recessione per le persone benestanti comprensibilmente schizzinose in un’economia incerta. Proprio come il valore dell’arte moderna si basa sulle case d’aste che le vendono per milioni di dollari, le lauree della Ivy League hanno valore a causa del puro potere finanziario a sostegno delle istituzioni che le conferiscono. Leggi il resto dell’articolo