Inquieta la idea stessa di mettersi a valutare se la vita, o una data vita, sia più conveniente o meno conveniente della morte. Inquieta cioè l’idea, in sé razionale, di chiedersi se, dato il mio stato di salute, mi convenga continuare a vivere oppure uccidermi o farmi uccidere. Disturba, insomma, l’idea che la vita non sia sempre desiderabile in sé stessa, come tale, ma che la sua preferibilità alla morte dipenda dalla sua qualità.
Infatti, se si apre la mente a questa idea, a questa valutazione, non si sa dove si arriverà. Anzi, vi dico io dove si arriverà; si arriverà a udire il suono della risposta del satiro immortale Sileno, che, forzato da re Mida a rivelare quale sia la cosa più desiderabile per l’uomo, sentenziò: “Stirpe miserabile ed effimera, figlia del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te sarebbe assai meglio non udire? Il meglio è per te assolutamente irrealizzabile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire presto”. La vita umana è sempre peggiore della morte: questo vuol dire Sileno. Sempre, e non solo quando ti tormenta una malattia incurabile, perché le sue sofferenze, nel complesso, superano sempre le gioie. Perciò la vita umana non ha senso. Una saggezza, questa, superficiale e fasulla, ma devastante e letale per le nazioni occidentali. culturalmente e spiritualmente svuotate e traviate dall’insegnamento e dall’esempio del clero cristiano, soprattutto di quello moderno.