Mal di scuola

Per decenni la scuola è stata concepita come una sorta di ‘riserva indiana’ per semioccupati od occupati malpagati e frustrati, senza nessuna considerazione per il merito e la passione per il proprio lavoro (gli scatti erano solo per anzianità). Molti dei ‘babypensionati’ vengono dalla scuola e spesso erano i migliori, con una vocazione autentica per la loro delicatissima professione. Si tenga presente che il lavoro dell’insegnante scrupoloso non si esaurisce in aula ma, soprattutto per alcune materie, lettere e filosofia in particolare, continua a casa con la correzione dei compiti e la preparazione della lezione del giorno successivo. I migliori, alla lunga, hanno pensato che non ne valesse la pena e sono andati a spendere il loro talento altrove, gli altri che talento non avevano sono rimasti a scaldare i banchi.

A tutt’oggi ogni nuovo ministro della Pubblica Istruzione elabora un suo piano di studi puntualmente sconfessato dal suo successore. Non funziona così, non può funzionare così. Anche se oggi tutto va a gran velocità (che, sia detto di passata, è uno dei drammi della vita moderna) un piano di studi va pensato con vista lungimirante, per almeno due o tre generazioni. Se il mitico ‘classico’ di Gentile ha potuto resistere decenni è perché Gentile aveva guardato avanti e soprattutto aveva ben in testa che la scuola ti deve dare, oltre alle nozioni, gli strumenti per capire la realtà. Perché capire è più importante di sapere.

Tutti i recenti tentativi di riforma hanno cercato di adeguare la scuola alle nuove realtà. E’ inevitabile, ma si è troppo forzato sull’attualità. La scuola si deve occupare soprattutto dell’inattuale, Eraclito, Platone, Bacone se non li incontri a scuola poi non li incontri più. L’attualità ci entra ed esce da tutte le orecchie.

Ma la distruzione o la semidistruzione definitiva di ogni capacità di comprensione e del far propria una vera cultura, e questo riguarda l’intera popolazione, giovanile e adulta come rileva l’Ocse, viene dalla tecnologia digitale. Su internet puoi trovare tutto, subito. Incameriamo una serie infinita di nozioni, ma è un generico sapere sul sapere. Paradossalmente da questo punto di vista le cose andavano meglio in era preindustriale. Scrive Johan Huizinga ne La crisi della civiltà che è del 1935: “L’uomo comune diventa sempre meno dipendente dalle proprie facoltà di pensiero e di espressione. Il contadino, il marinaio, l’artigiano di una volta, nel tesoro delle sue conoscenze pratiche trovava anche lo schema spirituale con cui misurare la vita ed il mondo. Anche dove l’individuo sia animato da un sincero impulso verso il sapere e la bellezza, dato l’ossessivo sviluppo dei mezzi di diffusione meccanica dello scibile, difficilmente potrà sottrarsi alla noia di ricevere, bell’e confezionati o strombazzati, giudizi e nozioni”.

Massimo Fini

 

Iper-informazione

Domande al premio Nobel per l’economia Daniel Kahneman
Quali sono i bias cognitivi?

I bias cognitivi sono numerosi, ma esaminiamo qui i più rilevanti, che adottiamo quando siamo sommersi da una marea di informazioni tra le quali districarsi, come avviene nel caso dei social network.

A giocare un ruolo da protagonista è senz’altro il bias di conferma, ossia la tendenza a ricercare e prediligere le informazioni che confermano le nostre credenze iniziali. Esperimenti psicologici hanno dimostrato come gli individui raccolgano o ricordino le informazioni in modo selettivo e interpretino prove ambigue a sostegno della loro posizione preesistente. L’azione di tale bias provoca un eccesso di fiducia nelle opinioni personali e impedisce persino di mutare posizione di fronte a prove contrarie evidenti. Alla base di questo automatismo mentale c’è sia l’attitudine a credere che si realizzi qualcosa in cui speriamo (wishful thinking) sia la limitata capacità umana di rielaborare le informazioni. Inoltre, per il singolo individuo è certamente meno oneroso convalidare le proprie idee iniziali piuttosto che impegnarsi in una faticosa analisi comparativa e scientifica che ne testi la validità.

A rafforzare questo comportamento concorre un altro bias, quello dello status quo, una distorsione valutativa legata alla resistenza al cambiamento, per cui si tende a non prendere decisioni che possano alterare lo stato attuale, anche se potrebbero essere conveniente. Ogni cambiamento è percepito come una perdita.

A influenzare le nostre opinioni c’è poi il bias di ancoraggio, che porta a legarsi a un’informazione iniziale con cui si è venuti a contatto, considerata come “ancora”, per formulare giudizi successivi durante il processo decisionale. I contenuti affini a essa tendono a essere assimilati, mentre quelli che si discostano solitamente vengono allontanati.

Effetti analoghi al bias di conferma sono indotti dal bias di gruppo, che induce a sopravvalutare le capacità e il valore del proprio gruppo, qualunque natura esso abbia (sociale, culturale, ecc.) e a sminuire e discriminare qualsiasi gruppo estraneo. Questo errore cognitivo genera l’attitudine, molto frequente negli ambienti culturali e accademici, a favorire persone appartenenti al proprio gruppo e a escludere persone esterne, evitando così il confronto e rafforzando le proprie credenze.
Effetto camera d’eco

L’azione congiunta di tali bias ha una portata esplosiva all’interno del micro cosmo dei social, divenuto proiezione del mondo reale. La mole infinita di contenuti veicolati non solo non aumenta il livello di conoscenza dell’utente, ma al contrario porta a rafforzare le proprie idee iniziali e a identificarsi con un gruppo virtuale che le rappresenta.

Anziché approfondire e analizzare in modo comparativo argomentazioni diverse dalle proprie, si tenderà a ignorarle e perfino a denigrarle. Si viene così a creare il fenomeno delle “camere d’eco”, ossia delle campane di vetro in cui i preconcetti personali sono amplificati dalla comunicazione e dalla ripetizione degli stessi messaggi all’interno di un sistema chiuso. Dentro una camera d’eco gli utenti possono trovare informazioni che convalidano le loro opinioni preesistenti e attivare il bias di conferma.
Questo fenomeno rafforza le credenze e le radicalizza, senza nulla aggiungere all’informazione e alla conoscenza. Il risultato è l’oltranzismo ideologico al quale assistiamo e partecipiamo, in cui il dibattito e il confronto politico sono stati sostituiti dalla tifoseria e della violenza verbale. Non vi è alcuno spazio per elaborare un pensiero critico e svincolato dai bias, vince la legge tribale.

https://www.controinformazione.info/bias-cognitivi-e-camere-deco-la-trappola-dei-social/