Vale la pena ricordare la notevole prestazione intellettuale di Hans Jonas, pensatore tedesco allievo di Martin Heidegger. Pur non uscendo dalle angustie del materialismo, Jonas resta uno dei pochi filosofi morali del nostro tempo e la sua opera maggiore, Il Principio Responsabilità (1979), pone l’uomo occidentale, accecato dall’idea di progresso, davanti alla scelta decisiva se restare un essere morale o lasciarsi agire dalla tecnica. Jonas ebbe anche il merito di individuare le radici gnostiche della modernità. Il suo punto di partenza è la constatazione che “il fare dell’uomo è oggi in grado di distruggere l’essere del mondo” Proprio il problema ambientale, accennato all’inizio di queste note con riferimento all’ ambigua categoria di responsabilità etica d’impresa, ispirò a Jonas un’intensa riflessione morale e bioetica sulla libertà e responsabilità di ciascun uomo nell’era tecnologica.
Il filo conduttore è la convinzione che nel rapporto alienato con la natura vada ricercata una delle prime cause della crisi della civiltà occidentale. Con l’avvento della potenza tecnologica si creano le condizioni affinché tale conflitto sfoci nell’irreversibile alterazione della condizione umana, attraverso l’ingegneria genetica e la distruzione dell’equilibrio della biosfera. Di qui la necessità di estendere la responsabilità morale a ciascun uomo di oggi e di domani, la cui esistenza è minacciata dall’esito nichilistico della tecnica. Il “principio responsabilità” intende porsi come una riformulazione dell’imperativo categorico di Kant in termini contemporanei: “agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra”.
Concedendo all’uomo la libertà, afferma Jonas, Dio ha rinunziato alla sua potenza. Un paradosso cui si può replicare ricordando che è l’atteggiamento dell’uomo occidentale moderno, privato del senso del male e della trascendenza, ad aver messo in crisi il suo rapporto con il mondo, rendendolo incapace, per l’egemonia del materialismo predatorio, di cogliere la trama, innanzitutto morale, della relazione con il creato. Va quindi ribadito con forza, dinanzi alle maschere e agli equilibrismi verbali del tipo della “responsabilità sociale d’impresa”, che alla fine sono sempre persone di carne e ossa a prendere le decisioni, anche quelle apparentemente guidate dal determinismo economico e “tecnico”.
Roberto Pecchioli
Le ragioni non sono affatto misteriose: un Paese che distrugge il proprio sistema educativo, degrada anche la sua informazione pubblica, manda al macero le proprie librerie e trasforma l’insegnamento in veicolo di svago ripetitivo a buon mercato, diventa cieca, sorda e muta. Apprezza i punteggi nei test più del pensiero critico, preferisce l’addestramento meccanico al lavoro, la standardizzazione dei testi e dei test e finisce per apprezzare la singola abilità nel far soldi. Sforna prodotti umani rachitici, privi della capacità e del vocabolario per contrastare gli assiomi e le strutture dello stato e delle imprese. Trasforma uno stato democratico in un sistema feudale di padroni e servi delle imprese. Innesca un circolo vizioso dove la meccanicità del sistema allontana gli insegnanti migliori portando ad ulteriore meccanicità e così via.
https://ilsimplicissimus2.com/2019/12/26/scuola-conciata-per-le-feste/
Masse predisposte ad assorbire una narrazione del mondo irenica (cioè inconsapevole dei conflitti), da lotofagi, assieme al pensiero unico e unificante secondo cui questo ordine del mondo sarebbe l’unico praticamente e razionalmente possibile, quindi giusto e immodificabile, anzi da difendere contro chiunque lo contesti, proprio come nel platonico mito della caverna.
25.12.2019 Marco Della Luna
Proprio nel 1989 Nicola Matteucci ricordava come già negli anni Settanta «nei paesi dell’Est si riscopriva, per l’esperienza vissuta del totalitarismo e della sua “grande menzogna” ideologica, il fondamento stesso dei grandi principi dell’eredità liberale, che è la libertà di coscienza: per l’individuo essa è la vera realtà, nella quale si radicano i valori con cui arricchire il mondo umano» (La rinascita del liberalismo, ora in Id., Il liberalismo, il Mulino, Bologna 2005, p. 44). Citava alcuni grandi nomi della dissidenza anticomunista, in particolare boema e polacca: Václav Bělohradský, Václav Havel, Leszek Kolakowski, Czeslaw Milosz, Jan Patočka, e di essi Matteucci sottolineava la capacità di ripensare l’individuo «con una profondità di analisi ignota ai pensatori occidentali» (ibid.).
Nel novembre del 2008 Václav Havel rispondeva così ad Adam Michnik, che lo intervistava per il quotidiano da lui diretto, “Gazeta Wyborcza”:
Da un lato le cose vanno sempre meglio, ogni settimana esce un nuovo modello di telefono cellulare. Tuttavia per poterlo usare servono istruzioni particolareggiate. Così, invece dei libri, leggi le istruzioni del telefono, e nel tempo libero guardi la televisione, dove un giovane bello e abbronzato in una réclame grida di essere felice perché ha il costume da bagno della tale marca. Con lo sviluppo di questa civiltà globale del consumo aumentano le persone che non creano nessun valore aggiunto. Si tratta di mediatori, di agenti di pubbliche relazioni. Apparentemente hai una grande scelta di prodotti al supermercato, ma a ben guardare questa varietà è fittizia. Spariscono di esistere i centri di aggregazione sociale, i piccoli negozi e i locali storici. E questo si accompagna alla distruzione dell’ambiente naturale. Tutto questo mi sembra molto pericoloso e non sono in grado di dire se la nostra civiltà metterà giudizio senza grandi sconvolgimenti. In ogni caso avverto la necessità di una qualche rivoluzione esistenziale. Qualcosa deve cambiare nella coscienza delle persone. E per correggere questa situazione non basta qualche trucco tecnocratico. Nel mondo di oggi la personalità politica perde di significato. Conta solo la prospettiva a breve termine. Sia a destra sia a sinistra domina l’ideologia della crescita. Alla perenne ricerca del successo, i politici non riescono a opporsi al culto della novità, del cambiamento, del progresso e della crescita. In questo non sono altro che il prodotto della società da cui provengono. Neanche io vedo in giro grandi autorità morali o spirituali. In ogni modo, per non essere totalmente scettico, continuo a credere nelle organizzazioni di cittadini, nelle associazioni, nelle iniziative delle persone. […] Una società civile diversificata, a mio avviso, è una delle migliori forme di difesa dagli effetti pericolosi del progresso.
Václav Havel (1936-2011)
https://www.barbadillo.it/87002-focus-1989-2019-dallesperienza-del-dissenso-a-est-la-forza-per-rigenerare-loccidente/
Il mondo globalizzato è sorto e si evolve attraverso la manipolazione dell’informazione e della cultura di massa. L’immagine virtuale si sostituisce al mondo reale, la percezione mediatica si sovrappone e annulla la verità obiettiva dei fatti. E’ tuttavia mia opinione che accanto alla censura ufficiale si è diffusa una nuova autocensura individuale e sociale ormai generalizzata. I rapporti umani sono improntati a convenzioni sociali sostitutive di valori etici in cui quasi nessuno più crede. La dimensione del futuro è stata rimossa nella psicologia collettiva. Si vive del qui ed ora, nell’immediatezza fine a se stessa dell’eterno presente. L’istinto di sopravvivenza, dinanzi alla prospettiva traumatizzante di un futuro oscuro se non tragico, ha generato una inconscia volontà di non sapere, definibile anche come colpevole menzogna o fuga dalla realtà. E’ infatti più comodo ed accattivante aderire ad una piacevole virtuale menzogna, piuttosto che prendere coscienza di una drammatica realtà e assumersi quindi responsabilità etico – morali, che metterebbero in luce la nostra miseria spirituale. Si produrrebbero in tal caso crisi di coscienza che avrebbero effetti traumatizzanti sia negli individui che nella società. Tale forma di autocensura collettiva non costituisce forse il maggiore ostacolo alla diffusione dell’informazione e della cultura alternativa?
https://www.ariannaeditrice.it/articoli/dietro-le-quinte