di Riccardo Paccosi
Dagli inizi degli anni ’10 del secondo millennio sino a oggi, abbiamo visto susseguirsi tre diverse narrazioni ideologiche:
a) l’austerity, che ha interrotto e invertito il processo di cetomedizzazione nelle società occidentali;
b) un nuovo ecologismo legato alle aziende della green economy e promosso da istituzioni sovranazionali come il FMI, incentrato principalmente sul tema dei consumi di massa (e quindi sul tenore di vita dell’ex-ceto medio);
c) la Shut-In Economy generata dall’emergenza pandemica, che riprende sia il tema austeritario che quello della sostenibilità.
Tre strategie diverse, un unico phylum ideologico.

Il tratto comune, difatti, è rappresentato dalla necessità di un impoverimento di massa e dall’assumere lo stato di crisi permanente proprio del capitalismo a levatrici d’una nuova teleologia del mondo.
In sostanza:
a) l’austerity ha fatto assurgere lo stato d’eccezione – collegato a emergenze e crisi come il rischio default degli Stati – a condizione permanente;
b) il nuovo ecologismo neoliberale ha riportato all’insostenibilità non tanto dei modelli di accumulazione, quanto dei consumi di massa alla base, ponendo quindi le basi per un ragionamento neo-malthusiano sulle risorse;
c) la Shut-In Economy e il paradigma del distanziamento sociale, traggono le conseguenze da queste premesse per organizzarle in una società trans-umanista in cui:
- la scienza sanitaria domini sulla politica in quanto latrice di verità assoluta;
- la telematizzazione e le misure di bio-tracciamento tolgano all’uomo e alle sue relazioni sociali – ormai insostenibili rispetto alle risorse disponibili – il ruolo di telos della storia;
- l’apparato tecnologico-macchinico che garantisce tutto questo, assurga a orizzonte finalistico della riproduzione del sistema sociale.