Theodor W. Adorno, Minima moralia, Einaudi, Torino 1979, p.48 (inversione della formula hegeliana: “Il vero è il tutto”)
Theodor W. Adorno, Minima moralia, Einaudi, Torino 1979, p.48 (inversione della formula hegeliana: “Il vero è il tutto”)
Riprendendo la critica di Nietzsche all’intellettualismo, di cui Socrate fu maestro, Ortega afferma che il tema del nostro tempo consiste nel «sottomettere la ragione alla vitalità», nel «mostrare che sono la cultura, la ragione, l’arte, l’etica a dover servire la vita.» È una visione più ampia, più articolata quella proposta dal filosofo spagnolo, che parte dalla vita di ciascuno, dalla necessaria coesistenza con le cose, dal drammatico confronto tra io e mondo. La realtà non può che offrirsi in prospettive individuali, sicché «tutte le epoche e tutti i popoli hanno posseduto la loro congrua porzione di verità.» Ogni popolo ed ogni epoca, anzi ogni generazione (è questa una nozione fondamentale per Ortega, se si vuole davvero comprendere il perché della storia, che è di continuo e sempre mutamento) ha una propria sensibilità vitale, che le consente di raggiungere alcune verità e di non percepirne altre: «Da diversi punti di vista due uomini guardano lo stesso paesaggio. Eppure non vedono la stessa cosa. (…) Ognuno dei due uomini percepirà porzioni di paesaggio che non arrivano agli occhi dell’altro. Avrebbe senso che ciascuno dichiarasse falso il paesaggio dell’altro? Evidentemente no; è reale tanto l’uno quanto l’altro. E non avrebbe senso nemmeno che i due uomini, poiché i loro paesaggi non coincidono, si mettessero d’accordo e li giudicassero illusori. (…) La realtà, come un paesaggio, ha infinite prospettive, tutte egualmente veridiche ed autentiche. La sola prospettiva falsa è quella che pretende di essere l’unica.»
Oggi il razionalismo trionfa nello scientismo. Anticipando i rilievi critici mossi allo scientismo dai filosofi dell’ecologia (da Arne Naess a Rupert Sheldrake), Ortega trova le radici della fisica moderna e, più in generale, di un atteggiamento dello spirito che sopravvaluta la costruzione razionale a scapito della spontaneità e immediatezza della vita, nella filosofia di Cartesio: «L’entusiasmo di Cartesio per le costruzioni della ragione lo portò a realizzare un’inversione completa della prospettiva naturale dell’uomo. Il mondo immediato ed evidente che i nostri occhi contemplano, che le nostre mani palpano, che le nostre orecchie percepiscono, è composto di qualità: colore, solidità, suono ecc. Questo è il mondo in cui l’uomo era vissuto e vivrà sempre. Ma la ragione non è in grado di maneggiare le qualità. Un colore non può essere pensato, non può essere definito. Deve essere visto. In altre parole, il colore è irrazionale. Al contrario il numero coincide con la ragione. Attenendosi soltanto a se stessa, essa può creare l’universo delle quantità attraverso concetti dai contorni chiari e ben marcati. Con eroica audacia, Cartesio decide che il vero mondo è quello quantitativo, quello geometrico; l’altro, il mondo qualitativo e immediato, che ci circonda pieno di grazia e di suggestione, viene squalificato e considerato in un certo senso come illusorio.»
Da tale atteggiamento dello spirito, che avrebbe di lì a poco dominato nei salotti, nelle piazze e nei laboratori, nasce il temperamento rivoluzionario che vedremo all’opera nel 1789 e nel 1917. Se infatti ciò che conta è la ragione, se è solo la ragione che può decretare come dev’essere ogni istituzione politica, allora le istituzioni tradizionali sembreranno inette e ingiuste, e il passato e il presente potranno essere soppiantati da un futuro costruito a tavolino. Sennonché, chiosa il filosofo spagnolo, «incominciamo a sospettare che la storia, la vita, non possa né debba essere governata da princìpi, come accade nei libri di matematica. È un’incongruenza ghigliottinare il principe e sostituirlo con il principio.» La filosofia della ragione vitale, contro l’utopismo e il progressismo, ci permette di cogliere il senso della vita. E «il senso della vita non è altro che accettare ognuno la propria inesorabile circostanza e, nell’accettarla, trasformarla in una creazione nostra.»
estratto da https://www.barbadillo.it/91486-ortega-y-gasset-e-la-lotta-contro-le-false-verita-progressiste/
La medicina occidentale moderna è pertanto una medicina materialista, meccanicista, riduzionista, che non vede l’uomo nella sua totalità ed è quindi incapace d’inquadrare la dialettica salute/malattia nella giusta prospettiva. Un esempio pratico basterà a chiarire il concetto. Un uomo, ammalato di cancro in fase avanzata, e dato per spacciato dai medici, decide di curarsi da sé e si rivolge a un bravissimo naturopata, seguace del compianto iridologo Luigi Costacurta, a sua volta seguace del medico cileno Manuel Lezaeta Acharan. Rifiutando la chemioterapia e curandosi solo con prodotti e metodi naturali, ottiene di far regredire il tumore, tanto che i medici dell’ospedale quasi non credono al suo miglioramento. E tuttavia, ecco il punto, nessuno gli chiede cosa abbia fatto, o non fatto, nei mesi durante i quali l’hanno perso di vista; nessuno di essi manifesta la minima curiosità di sapere come si è curato. Il sapere è figlio della curiosità, ma pare che questa sia un oggetto sconosciuto presso i medici occidentali moderni. La sola spiegazione che hanno dato del fenomeno è stata che, ogni tanto, in casi statisticamente molto rari, avviene una regressione spontanea del tumore: e tanto ad essi basta. Non sono interessati a saperne di più; non hanno nulla da imparare oltre a ciò che hanno studiato all’università e che c’è scritto nei loro manuali diagnostici. Inutile dire che in questo modo la scienza smette di progredire e si fossilizza. Dove essa avrebbe potuto arrivare, compresa la sua branca medica, se si fosse liberata di questa presunzione autoreferenziale?
https://www.ariannaeditrice.it/articoli/dove-va-la-scienza-medica-di-cui-siamo-tanto-fieri
Diciamolo, noi stiamo vivendo l’epilogo di trent’anni di massacro sociale particolarmente diretto ai lavoratori italiani onesti, alla struttura produttiva, industriale e agricola del paese, presi di mira da una “burocrazia” che per default ci considera evasori. Una burocrazia che è espressione della mistificata “trattativa Stato-mafia”, in questo periodo rinsaldata dalla scarcerazione di 400 boss mafiosi e dall’entrata indiscriminata, pervicace, ossessiva e quotidiana di elementi clandestini sulle nostre coste aiutati dalla rete finanziaria di ONG finanziata da Soros e dall’Agence française de développement francese (ente pubblico protetto da fallimenti e insolvenze per gli aiuti allo sviluppo).
Per contrastare questo piano, bisogna contrapporne un altro, però vige una certa omertà, un misto tra fatalismo atavico e terrore esistenziale, peggiorato in tanti cittadini dalla situazione da incubo che ci è stata imposta e da cui sembra solo in questi giorni di poterci forse risvegliare, ma sempre con il tormento che l’incubo possa ricominciare. Chi ha soffiato sul fuoco infatti è ancora in sella, in tv, nei giornali, nei gangli delle istituzioni, al governo, e lo si vede in orwelliane circolari, decreti, allusioni. Come in un film dell’orrore si parla di scovare i positivi casa per casa, di trasportarli in strutture apposite, di treni covid, di distanziamento sociale a scuola ma anche in famiglia, di app di rintracciamento, e di ritorno alla normalità (?) solo in caso di vaccino. Il tutto mentre eminenti virologi ci dicono che il virus ha perso la sua carica e che stiamo acquisendo l’immunità di gregge, e le terapie intensive covid sono vuote.
Nicoletta Forcheri