L’arroganza degli scienziati

Colonna

Non ce l’ho proprio fatta più: dopo l’ennesima panoramica sugli scontri fra scienziati italiani sulla pandemia, mi sono sentito di scrivere un breve pezzo su clarissa.it, La scienza si fa partito.

Secondo me la causa è il potere acquisito dalla scienza contemporanea. L’avere assegnato a lei l’ultima parola persino nelle decisioni “politiche”. Entrando in politicis ovviamente gli scienziati si schierano partiticamente, presi subito al volo dai partiti che, non avendo più riferimenti ideologici convincenti, ricorrono alla scienza per darsi una linea.

Così quella patologia fra le tre sfere sociali di cui ha parlato così chiaramente Rudolf Steiner è oggi completa, la si vede con assoluta chiarezza.

Non ho parlato in quell’articolo della commistione con il potere economico, perché essa merita un discorso a parte: negli Stati Uniti se ne parla molto, per esempio rispetto ai conflitti di interesse che esistono fra i “valutatori” degli articoli scientifici, con la nota…

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Non solo Netflix

Ma ovviamente anche Facebook contribuisce alla narrativa che sembra riprodurre la società, ma di fatto la rimuove in nome di una sua rappresentazione convenzionale e sterilizzata:

 Ovviamente la società e i suoi rapporti disuguali non possono e non vengono mai chiamati in causa, per non permettere che vengano alla luce i sistemi strutturati di dominio, uno dei quali è appunto questa produzione di evasione, che tende a trasferire in maniera indiretta e subliminale una visione del mondo. Dunque non c’è solo il politicamente corretto, ma anche il narrativo corretto nel quale occorre cancellare l’esistenza di diritti sociali e di mantenere solo quelli strettamente individuali. Che anzi nega l’esistenza stessa di una società e dove le “regole” esclusivamente dettate dalla necessità del mercato, ovvero della natura ultima dell’uomo. Insomma una sorta di giusnaturalismo ideologico.

Tutto questo ovviamente non accade da ieri, ma da decenni, da quando la produzione in  serie di ogni tipo di comunicazione, in mano a pochissime persone, ha permesso di diffondere una visone del mondo che ha alla sua radice la disuguaglianza economica, la riduzione della libertà nei confronti del potere e la tendenziale mancanza di discriminazione nei confronti delle variabili non direttamente economiche, simulando una sorta di relativismo dei valori.

Facciamo la cosa sbagliata

Italexit

Se la modernità, per Immanuel Kant, fu la scommessa dell’umanità per abbandonare l’infanzia, la post modernità sembra un tempo in cui si torna a supplicare tutela e in cui si vuole incatenare l’umanità nel carcere di un’identità cristallizzata dalla condizione di vittime o di carnefici, come se il destino fosse fissato per sempre. Il contrario della pretesa progressista.
Una singolare eterogenesi dei fini: dalla liberazione proclamata, dal soggettivismo assoluto a un nuovo comunitarismo invalicabile delle vittime, degli umiliati e degli offesi. Il clima è velenoso, da fine impero; “che fare “è sostituito da “chi sono” in un mondo diviso programmaticamente tra innocenti e colpevoli ab initio, in cui la verità riguarda solo chi riesce a convincere di aver subito un’ingiustizia o di esserne il legittimo erede. Il cambiamento culturale si percepisce e ha ormai diretta incidenza nelle architetture istituzionali e nelle politiche pubbliche, tra azioni “affermative”, quote e discriminazioni “positive” a vantaggio delle ex vittime, condizioni assai comode in un’epoca sospesa tra due estremi: lo scetticismo generalizzato unito all’acritico desiderio di credenza, delega, affidamento nichilistico a chi impone che cosa si deve fare, pensare, essere.

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/la-vittima-l-eroe-del-nostro-tempo

Il diavolo probabilmente

Diceva l’esponente della rivoluzione conservatrice Arthur Moeller Van Den Bruck che la democrazia è la partecipazione di un popolo al suo destino. Non c’è popolo, non c’è destino nella fuga, nel riflusso, in un individualismo e in una sfera privata che la nostra epoca non permette. Ma un popolo ha un destino se si considera tale, se possiede il senso di se stesso. Quindi, basta con l’accettazione difensiva della narrazione altrui.

Non esiste un mondo a misura unica, assurdo considerarsi cittadini del mondo. La stagione migliore della destra è stata sempre all’insegna dell’amore della libertà come opportunità e responsabilità. Dunque, bisogna dare battaglia sul terreno delle leggi liberticide. Non ci possono essere parole, convincimenti, giudizi proibiti: solo la violenza va espulsa dal terreno pubblico. La spiritualità, la religione non sono fatti privati, come vuole la liturgia liberale, ma elementi costitutivi della condizione umana. La famiglia naturale è quella aperta alla vita, formata da uomo e donna, secondo il progetto di natura e biologia, fatto salvo il diritto degli adulti consenzienti di comportarsi come credono tra le lenzuola. I sessi sono due, non quattro, sette o ventidue. Gli uomini sono diversi tra loro per capacità, volontà, etnia razza: uguale è la dignità iniziale dell’essere umano. Le comunità che essi formano a partire dall’ appartenenza territoriale, culturale, linguistica, etnica, spirituale meritano di essere conservate e trasmesse alle nuove generazioni. La convivenza tra gli uomini non può essere regolata solo da norme contrattuali, La realtà esiste, è oggettiva e la natura supera la cultura: dunque l’uomo e la sua tecnica non sono padroni della vita, non possono decidere autonomamente al posto della biologia. Esistono alcune invarianze che diventano principi etici naturali, iscritti nel cuore dell’uomo.

Il legato culturale che possiamo attribuire alla destra è immenso: perché sprecarlo, barattarlo con la sola legge del denaro e del mercato? Soprattutto, perché la destra (politica) ha tanto fastidio per la cultura, ovvero per la diffusione della conoscenza, se uno dei suoi principi è (era?) la continuità, la volontà di trasmettere qualcosa? L’eredità non è un elenco di beni materiali da trasferire in proprietà, previo pagamento di un’imposta. Scriveva Tocqueville che il grado di libertà di una nazione può essere giudicato sulla base delle norme in materia di successione. Questo è senza dubbio vero se il criterio discriminante è l’avere, la materia. La destra ha sempre creduto più nell’essere che nell’avere, tenendosi a distanza dal materialismo. Almeno un tempo, prima di chiudersi nella gabbia liberale, che confonde ben-essere con ben-avere, merci, ossia prodotti, con beni, ciò che serve alla vita.

Disfacendosi del suo legato, ha offerto praterie immense della cultura agli avversari, trincerata nei listini di borsa e nella mistica dell’impresa. Ricordate le tre I di Berlusconi, Internet, impresa, inglese? Una penosa confusione tra mezzi e fini, la volontà di sciogliersi nell’indefinito globale a partire dalla lingua, le nuove tecnologie come scopi anziché mezzi con cui vivere meglio, conoscere di più, riflettere con cognizione di causa. Storia vecchia, purtroppo: l’egemonia sulla cultura, compresa da Antonio Gramsci come conquista progressiva delle coscienze, penetrazione nel profondo della comunità, è stata la chiave della sconfitta storica della Dc. Controllava le casse di risparmio e le camere di commercio, ma intanto il senso comune correva altrove, la società civile cambiava inesorabilmente i suoi principi.

DESTRA DEL DENARO; SINISTRA DEI COSTUMI. IL DIAVOLO, PROBABILMENTE.