Non solo Netflix

Ma ovviamente anche Facebook contribuisce alla narrativa che sembra riprodurre la società, ma di fatto la rimuove in nome di una sua rappresentazione convenzionale e sterilizzata:

 Ovviamente la società e i suoi rapporti disuguali non possono e non vengono mai chiamati in causa, per non permettere che vengano alla luce i sistemi strutturati di dominio, uno dei quali è appunto questa produzione di evasione, che tende a trasferire in maniera indiretta e subliminale una visione del mondo. Dunque non c’è solo il politicamente corretto, ma anche il narrativo corretto nel quale occorre cancellare l’esistenza di diritti sociali e di mantenere solo quelli strettamente individuali. Che anzi nega l’esistenza stessa di una società e dove le “regole” esclusivamente dettate dalla necessità del mercato, ovvero della natura ultima dell’uomo. Insomma una sorta di giusnaturalismo ideologico.

Tutto questo ovviamente non accade da ieri, ma da decenni, da quando la produzione in  serie di ogni tipo di comunicazione, in mano a pochissime persone, ha permesso di diffondere una visone del mondo che ha alla sua radice la disuguaglianza economica, la riduzione della libertà nei confronti del potere e la tendenziale mancanza di discriminazione nei confronti delle variabili non direttamente economiche, simulando una sorta di relativismo dei valori.

Facciamo la cosa sbagliata

Un pensiero su “Non solo Netflix

  1. Di Stefano D’Andrea

    ORATORI, COMUNICATORI, CAPI, POPOLO E PUBBLICO DEI CONSUMATORI.

    Un tempo in politica aveva un certo rilievo essere un ottimo oratore, qualità che emergeva nei comizi. Alcuni capi di partito lo erano. Altri erano solo buoni oratori. Altri ancora normali oratori.

    Tuttavia, nessun uomo di partito (di qualunque partito) e nessun cittadino appassionato di politica, avrebbe mai sostenuto che il segretario di un partito dovesse essere un dirigente anziché un altro, in ragione delle capacità oratorie del primo.

    Saper comunicare è qualcosa di diverso dall’avere qualità oratorie.
    Significa saper sollecitare gli istinti, saper mentire, saper essere reticente saper semplificare e banalizzare, soprattutto dire al pubblico ciò che vuol sentirsi dire, dunque parlare al pubblico dei consumatori (della politica) anziché al popolo.

    Eppure sono molti gli appassionati di politica che oggi credono che, dato un certo numero di dirigenti di un partito, il capo debba essere colui che sa comunicare.

    Non colui che abbia dimostrato di saper prevedere il futuro a breve e medio termine; non colui che abbia dimostrato si saper valorizzare le capacita dei militanti e promuovere un gruppo di valore, in una grande città, in una regione o al livello nazionale; non colui che abbia dimostrato di dare l’esempio; non colui che abbia dimostrato di non essere avido; non colui che è abile nelle trattative con gli alleati; non colui che abbia dimostrate di avere efficienti idee organizzative; non colui che ha tenuto unito il gruppo in un monento di crisi; non colui che abbia preso o concorso a prendere decisioni che si sono rivelate vincenti. Bensì colui che sa comunicare.

    Non c’è un altro argomento che dimostri come una grande maggioranza del popolo si sia trasformata in pubblico di consumatori che venerano la loro schiavitù, come riesce a dimostrarlo la delirante passione per la comunicazione o la sua valorizzazione, che in moltissimi distorce la mente e spinge ad abbandonare del tutto il buon senso.

    Chi adora o comunque vuol valorizzare la comunicazione adora o comunque promuove la propria schiavitù.

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