Non ce l’ho proprio fatta più: dopo l’ennesima panoramica sugli scontri fra scienziati italiani sulla pandemia, mi sono sentito di scrivere un breve pezzo su clarissa.it, La scienza si fa partito.
Secondo me la causa è il potere acquisito dalla scienza contemporanea. L’avere assegnato a lei l’ultima parola persino nelle decisioni “politiche”. Entrando in politicis ovviamente gli scienziati si schierano partiticamente, presi subito al volo dai partiti che, non avendo più riferimenti ideologici convincenti, ricorrono alla scienza per darsi una linea.
Così quella patologia fra le tre sfere sociali di cui ha parlato così chiaramente Rudolf Steiner è oggi completa, la si vede con assoluta chiarezza.
Non ho parlato in quell’articolo della commistione con il potere economico, perché essa merita un discorso a parte: negli Stati Uniti se ne parla molto, per esempio rispetto ai conflitti di interesse che esistono fra i “valutatori” degli articoli scientifici, con la nota…
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Tra i pochissimi che in altro modo denunciarono la trasformazione della democrazia in dispotismo ci fu un filosofo assai noto soprattutto fuori d’Italia, che cominciò a scriverne sul manifesto: è Giorgio Agamben, più volte citato su queste pagine. Ora ha raccolto in un libretto “A che punto siamo? L’epidemia come politica” (ed. Quodilibet), la sua lucida e radicale critica dello stato d’eccezione imposto con la pandemia.
A suo dire, i tre sistemi di credenze su cui si fonda l’occidente – vale a dire il cristianesimo, il capitalismo e la scienza – si sono piegati a uno: il sistema scientifico-medico, che ha sviluppato una propria teologia, la paura del male e il timor di Dio, la sua liturgia e il culto obbligato. È la religione del nostro tempo e ai filosofi, dice Giorgio Agamben, tocca come in passato avversarla.
Come è potuto avvenire, si chiede, che un intero paese, senza accorgersene eticamente e politicamente sia crollato di fronte alla malattia? È accaduto perché gli uomini non credono più a nulla, tranne che alla nuda esistenza biologica, la nuda vita, da salvare a qualunque costo. Ma sulla paura di perdere la vita, nota Agamben, si può fondare solo una tirannia. Montaigne diceva che chi ha imparato a morire ha disimparato a servire: viceversa si è pronti a ogni schiavitù pur di salvare la pelle. Ma c’è un sottinteso che non è mai esplicitato: la vita non è solo biologia, nuda vita corporale, ma c’è altro, di essenziale. In altri tempi si sarebbe detto l’anima. Agamben, autore di un’opera monumentale sull’homo sacer, si spinge fuori dalle mura del pensiero imperante e pronuncia la parola giusta, finora rimossa: vita spirituale. Parola a lungo vietata, che ora Agamben (e Cacciari) riprendono a pronunciare. “Abbiamo scisso l’unità della nostra esperienza vitale, che è sempre inseparabilmente insieme corporea e spirituale”, in senso affettivo, culturale e non solo.
Ma chi è il responsabile di questo dispotismo fondato sulla paura? A parte le responsabilità della casta scientifico-sanitaria, è lampante e diretta la responsabilità della politica: il potere esecutivo, nota l’autore, si è sostituito al potere legislativo, il governo al parlamento e a ogni altro potere, sconfinando. E qui sarebbe facile ma ripetitivo ricordare le colpe di chi fonda il suo governo, il suo consenso e la sua durata, sull’emergenza per il virus. Il potere politico è l’utilizzatore finale dell’emergenza.
Una responsabilità parallela ce l’hanno i giuristi che non hanno eccepito nulla contro “l’uso sconsiderato dei decreti d’urgenza”. Vero, ma dire giuristi è un po’ generico: la responsabilità primaria tocca a quei giuristi che avevano potere di intervenire, dal Capo dello Stato alla Corte costituzionale.
Marcello Veneziani