Il parlamento ungherese ha adottato una serie di emendamenti costituzionali che hanno suscitato scalpore nell’Unione europea. I deputati ungheresi hanno approvato l’inserimento nella Legge fondamentale dello stato della definizione di famiglia dove questa viene considerata fondata sul matrimonio e sul rapporto tra genitori e figli, dove la madre è una donna e il padre è un uomo. Nell’Europa “civilizzata” di oggi, quella del genitore 1 e genitore 2, scrivere ed enunciare queste leggi naturali biologiche viene considerato un passo rivoluzionario!
Peggio ancora, i legislatori ungheresi hanno specificamente indicato che il loro paese protegge il diritto dei bambini all’autodeterminazione in base al genere con cui sono nati. Nessun cambio di genere viene ammesso per i minori fino al compimenti della maggiore età.
Guai a voi! Hanno tuonato i guardiani dell’ideologia Gender di Bruxelles.
Non esiste una cosa del genere nei “valori fondamentali” dell’Europa! Questo è un sabotaggio contro la libertà dell’individuo, che può essere orientato sessualmente come vuole e quando vuole. Indignazione anche per causa degli emendamenti costituzionali sull’educazione basata sui valori della cultura cristiana che, nell’ambiente di Bruxelles, non suonano meno di provocatori. Questo è oscurantismo! Hanno tuonato i guardiani del politicamente corretto.
ITALIANI E UNGHERESI durante il Risorgimento
Il “no,, di Kossuth – L’inviato di Gioberti – Stefano Turr e la spedizione dei Mille – Morte gloriosa di Tukory – Proclama garibaldino per l’indipendenza ungherese
L’inizio del rapporti politici fra l’Italia e l’Ungheria durante il Risorgimento ha una data gloriosa: quella della primavera sacra del 1848. Dopo le Cinque giornate di Milano, il Governo di Vienna, fedele alla vecchia massima del divide et impera, avrebbe volentieri concessa — sia pure col recondito ‘pensiero di ritorglierla non appena ciò fosse possibile senza troppi pericoli — qualche soddisfazione al patrioti ungheresi, che il 15 marzo avevano dimostrato a Pesth di essere padroni della piazza. Ma la nuova costituzione, frettolosamente preparata sul modello di quella belga, non appariva una garanzia sufficiente; perciò il capo dei liberali ungheresi, Luigi Kossuth, aveva chiesto senz’altro a Vienna la facoltà di costituire un esercito nazionale di 200 mila uomini. In quei frangenti non si poteva rispondere con una negativa assoluta, e perciò il Governo austriaco fece sapere a Kossuth, che accettava la proposta, ma ad una condizione: quella che le prime prove del nuovo esercito ungherese fossero fatte subito nella Lombardia e nel Veneto, per soffocarvi la rivoluzione italiana e per combattere le truppe del Piemonte. Kossuth oppose un netto rifiuto, spiegato poi in un prodclama diffuso clandestinamente a Pesth.
Un proclama, una lirica
Fratelli italiani — diceva il proclama —, non dubitate della amicizia degli ungheresi. Pugnando per la libertà, noi non possiamo nutrire verun sentiménto di odio contro di voi, che intrepidi combattenti versate il vostro sangue in questi gloriosi combattimenti ».
Il proclama di Luigi Kossuth fu conosciuto in Italia quando la prima fase della guerra era terminata. Esso giunse fra noi accompagnato da una stupenda lirica dedicata all’Italia da Petòfi, il Tirteo ungherese.
Sulla fine del 1848 Vincenzo Gioberti, presidente del Consiglio dei Ministri del Piemonte, si mise segretamente in relazione con Kossuth e Bratiany per stringere una alleanza politica e militare con gli insorti ungheresi. Quale rappresentante del Piemonte presso Kossuth fu inviato il colonnello Alessandro Monti, bresciano, con la precisa missione di riconoscere ufficialmente l’Ungheria indipendente e di gettare le basi per una collaborazione politica e militare.
Il Colonnello Monti, benché richiamato dal successore del Gioberti, raggiunse Kossuth nel maggio del 1849 ed assunse il comando di quella Legione italiana, che combattè eroicamente fino alla disfatta completa della insurrezione ungherese, vinta non dalle truppe austriache, ma da quelle russe. Alessandro Monti fu poi con Adriano Lemmi, uno degli intermediari fra Mazzini e Kossuth, relegato a Kutahia.
Le forche innalzate dall’Austria ad Arad, le fosse colme di cadaveri di parioti ungheresi e di volontari della Legione italiana, strinsero ancor più i legami fra gli elementi rivoluzionari delle due nazioni. La relazione sulla catastrofe ungherese, scritta da Kossuth nell’esilio di Viddino, circolò subito in Italia, anche nel Lombardo Veneto e nelle Legazioni, dove chi possedeva una sola copia del libretto rischiava ad ogni istante la testa. Una edizione ita-liana dell’opuscolo, tradotto dallo studente Giuliano Landucci di Pisa, potè anche essere pubblicato a Firenze, sotto gli occhi delle truppe austriache del Wimpfen e del Kollovratth, con l’aggiunta di note che avrebbero procurato serissimi guai al traduttore ed all’editore sotto un Governo che non fosse stato quello assai mite del Granduca Leopoldo II.
Il popolo, più delle altre classi sentì la tragedia ungherese, ed accolse ovunque come fratelli i magiari forzatamente arruolati nell’esercito austriaco. Del resto le diserzioni di costoro erano frequenti in Lombardia, in Toscanae nelle Legazioni. Una volta, anzi, per salvare un popolano condannato a morte, un intero plotone di hónved disertò in Romagna, e potè essere messo fuori pericolo soltanto mercè l’astuzia dei pa trioti nostri, e l’abnegazione di quella sublime figura di sacerdote italiano, che fu Don Giovanni Verità.
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Manca il guizzo eccentrico, la giocata inattesa; superare un difensore è divenuto una questione da centometristi più che da prestipedatori o da giocolieri. Le finte, il bluff, la costruzione cartesiana sono sostituiti o dalla foga da gorilla oppure da un tatticismo sfiancante. Raramente riesce uno stop, difficile vedere un lancio superiore ai venti metri. Il dribbling è preterito, abbondano le mischie e le capocciate adrenaliniche, il passaggio a caso, il cosiddetto pressing (alto, medio, basso) per cui gli attaccanti si trasformano in difensori per poi arrivare sfiatati, nonostante il doping, e sbagliare cross di dieci metri o appoggi e tiri relativamente elementari. I fondamentali languono nel cassetto della memoria, a favore di un presunto approccio scientifico di cui si fatica a rintracciare la radice ultima.
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