Abbiamo un piano (inclinato)

Fonte: La Fionda

L’Italia è quel paese in cui, durante la pandemia, si è assistito ad uno tra i peggior bilanci sanitari (per numero di morti) ed economici (per PIL perso). Il peggiore tra i paesi sviluppati. Nonostante questo ci dipingiamo come modello per gli altri.

L’Italia è quel paese in cui una meritoria inchiesta giornalistica ha dimostrato che il Ministro della Salute ha mentito in parlamento sul fatto di aver contribuito ad insabbiare un rapporto scomodo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e di aver avallato (e partecipato ad) una ristesura concordata dello stesso per smorzare gli aspetti politicamente critici. Lo stesso paese in cui non c’era un piano pandemico aggiornato e quello che c’era non fu applicato, nonostante le raccomandazione dell’autorità sanitarie internazionali. In Italia, il Ministro della Salute resta saldamente al suo posto, mentre da più parti si invoca la censura o la chiusura nei confronti della redazione che ha promosso l’inchiesta, svelando i fatti.

L’Italia è quel paese in cui, pur in assenza di qualsiasi obbligo generalizzato alla vaccinazione, la legittima scelta di non vaccinarsi (con i vaccini europei) comporta (NB: solo per chi non ha i mezzi per pagare 15€ a tampone ogni 48h) la perdita di ogni dignità sociale, del lavoro e di ogni possibilità di svago o aggregazione nelle formazioni sociali che contribuiscono al pieno sviluppo della persona umana. Ciò avviene, peraltro, senza alcun riguardo ai diversi esiti del rapporto rischi/benefici per le diverse fasce d’età e di fragilità o esposizione al virus. L’Italia è quel paese in cui tutto è ritenuto legittimo “per dare un segnale” e “incentivare alla vaccinazione”, mentre abbiamo oltre l’80% di popolazione vaccinata.

L’Italia è quel paese in cui il centro e la sinistra hanno gridato per anni al pericolo fascista nei confronti di Forza Italia prima e della Lega poi ed è lo stesso paese in cui il centro e la sinistra governano oggi con Berlusconi e Salvini.

L’Italia è quel paese in cui durante la fase economicamente più travagliata della pandemia, i giornali, le televisioni e i partiti tutti, acclamavano in coro le progressive e solidaristiche sorti della UE che faceva arrivare umanitarissimi aiuti economici sotto forma di Recovery Plan. Ed è anche lo stesso paese in cui ci si accorge solo pochi mesi dopo che l’erogazione di quei fondi (peraltro, spiccioli ed in gran parte già nostri, come in una partita di giro) è strettamente vincolata all’approvazione di una serie di riforme (pensioni, privatizzazione servizi, giustizia, flessibilità del lavoro etc.) cui adempiere  volenti o nolenti, a prescindere dalla volontà popolare.

L’Italia è quel paese in cui si discute da oltre un secolo di “questione meridionale”, ma all’ora di investire i soldini si cambia Governo per assicurarsi che poco o nulla “sgoccioli” al Sud arretrato, mentre il resto d’Italia arraffa il bottino. Lo stesso paese in cui si pensa al Ponte sullo Stretto come ad una soluzione, mentre nel territorio siciliano i ponti (piccoli) crollano, mancano le autostrade e le rotaie ferroviarie, i cantieri delle incompiute sventrano per decadi le strade esistenti, l’incuria, la mancanza di manutenzione e l’abusivismo lasciano alle spalle disastri e morti ad ogni evento naturale o atmosferico di una certa entità.

L’Italia è quel paese così “democratico” che il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il suo governo hanno all’opposizione solo l’8% circa del parlamento e lo 0% dell’informazione mainstream e in cui Egli stesso potrebbe diventare Presidente della Repubblica senza soluzione di continuità, nella più total(itaria) acclamazione dei mezzi di informazione e dei partiti, solo un po’ scocciati che le cariche non si possano cumulare.

L’Italia è anche quel paese così “democratico” in cui il Ministro dell’interno ha lasciato che un branco di fascisti esagitati assaltasse la sede del maggior sindacato italiano mentre le proprie forze dell’ordine procedevano zelanti a colpire con manganelli e idranti manifestanti pacifici. Lo stesso Ministro dell’Interno che perculava il parlamento e l’intelligenza degli italiani nel tentativo di giustificare le azioni dei propri agenti infiltrati (che avrebbero semplicemente proceduto a spintonare un blindato “per valutare la forza ondulatoria del mezzo”). Lo stesso Ministro dell’Interno che oggi dispone “l’urgente e immediata attuazione” di restrizioni severe e senza precedenti alla libertà di manifestare e mostrare pubblicamente il proprio dissenso, non solo sulla gestione della pandemia ma “su ogni altra tematica”.

L’Italia finisce così per essere quel paese in cui la maggioranza dei miei concittadini sta avallando tutto questo. Attivamente, scagliandosi nella caccia alle streghe dissenzienti e/o perorando sempre la causa di volta in volta propinata dal Governo e, quindi, dai media. Oppure passivamente, girando lo sguardo dall’altra parte mentre tutto ciò accade.

La finestra di Overton è diventata un portone.

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Elogio della filantropia

Fonte: EreticaMente

Dice un antico proverbio arabo che quando il povero parla nessuno lo ascolta, ma se il ricco fa un peto la gente esclama: “che profumo sublime!”. Oggi non è diverso. Le persone più ricche del mondo ammorbano il pianeta con le loro flatulenze, ma la gente annusa con reverente ammirazione. Questo ha prodotto un generale discredito della filosofia. Il nesso tra i due fenomeni può non essere evidente, ma diventa chiaro non appena si consideri la fondamentale incompatibilità tra l’esser filosofi e l’esser enormemente ricchi.

Il filosofo, anche se non è un Diogene, dovrebbe guardare con un certo disincanto al denaro. L’uomo occupato ad accumulare ricchezze materiali vede invece la filosofia come una perdita di tempo, quindi di denaro. Il filosofo è uomo di astrazioni. Il capitalista è uomo pratico, d’azione, il suo cervello è nutrito con principi rigidamente utilitaristici. Non utilitarismo speculativo, fatto di concetti filosofici, ma istintivo, come quello di un predatore. Il suo pensiero non ammette astrazioni, a parte il calcolo di profitti e interessi.

Viviamo ormai in un’epoca in cui il vero e più influente maître à penser è il grande capitalista. E il prestigio di cui gode il suo magistero è pari al capitale di cui dispone. Il sistema capitalistico, con le sue regole, i suoi valori, i suoi obiettivi, è diventato più o meno consciamente modello di vita, profezia di progresso sociale, tutore di un’Umanità dipendente in tutto dal denaro. Poiché è dunque il pensiero delle persone più ricche, per le quali ‘speculazione’ ha un significato esclusivamente finanziario, a determinare i generali processi sociali, si produce nella società un vuoto culturale e umanistico.

Tuttavia, alcuni miliardari refrattari alle consolazioni della filosofia sembrano nobilitarsi oggi con l’esser filantropi, preoccupandosi attivamente del benessere dell’Umanità. Tale filantropia ovviamente non si nutre di ideali filosofici, e il benessere che si prefigge di ottenere non implica piaceri intellettuali o spirituali.

Secondo il Filantropo-capitalismo l’uomo non ha bisogno di metafisici, santi o filosofi, ma di banchieri, medici, tecnici, ingegneri. Non gli servono relazioni umane appaganti, libertà, armonia interiore, ma tecnologie più efficienti e sistemi di produzione più razionali. Che solo i beni monetizzabili favoriscano un vero progresso umano appare una verità lapalissiana, che non serve argomentare.

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Smagnetizzati

Questa è carne da cannone. Prima eliminerà noi, quindi si getterà nel pozzo della dissoluzione. I prossimi decenni saranno un incubo. Mai viste nella storia intere generazioni d’umani controllate con tale facilità. Sono posseduti, evidentemente, dato che ogni atto o pensiero non attinge a una tradizione o una personale rielaborazione d’essa, ma segue l’asfalto prestabilito di una road to nowhere. Per questo essi, benché laureati o dottorati in massa, appaiono così superficiali e passivi di fronte agli inganni; mancano proprio di quel retroterra di astuzie, annusamenti e pre-sentimenti che strutturava l’agire profondo dei loro antenati. I soldati di Bismarck obbedivano agli ideali sulla grande Prussia, i Crociati alla liberazione del Sepolcro di Cristo a quelli di qualche primate della Chiesa che in lui s’incarnavano; e, tuttavia, nonostante questo, nonostante l’ignoranza, l’analfabetismo o il plagio ideologico ch’essi subivano, riuscivano a mantenere una propria personalità indipendente, una sapienza peculiare e inattaccabile, a livello individuale o di comunità o di corporazione, poiché il passato pensava in loro vece. Cosa, oggi, del tutto impossibile agli Smagnetizzati.
Ciò che agghiaccia, peraltro, e non uso questo termine vanamente, è che tali Tecnopueri, tabulae rasae, non sono mossi da pulsioni intime e veritiere nemmeno negli atti una volta definiti passionali. Anche nel pianto o nella tragedia o nella presunta e gaia spensieratezza, danzano sulle note di un minuetto inautentico: esultano, si suicidano e s’accoppiano come agiti da una forza aliena che gl’impedisca la vera felicità. E come potrebbero esser felici se è stata estirpata la violenza dalle loro esistenze? Come può sussistere la gioia senza disperazione e sofferenza? O l’accensione celeste senza un plumbeo avello che ci richiami a sé, costantemente, nel rischio? Pensate, per un attimo, a quale sommovimento di gioia debordante ebbero nel petto i fanti nelle trincee della Prima Guerra, all’annuncio della pace. Quella, sì; quella era gioia. Gioia purissima, liberatoria, smeraldina, che apriva il cuore e la speranza. Nella pace così riconquistata crebbero splendidi memoriali, un’umanità rinnovata nella spinta alla vita, comandanti e capi, eroine e madri; questo il segreto. E poi? E poi la troppa pace ci infrollì e divenimmo avidi di violenza … tale violenza poteva, però, esercitarsi solo su sé stessi poiché il Potere, con premeditazione, ci precluse non solo il carnaio, ma lo scontro, l’insurrezione, la dura affermazione della individualità o della comunità. E ottenne tale miracolo grazie alla lenta cancellazione del passato, considerato un grumo di odio e regressione, e all’incisione di banali paradigmi di comportamento … poveri, sciocchi, di un irenismo stupidissimo … eppure efficaci poiché l’istinto era ormai dileguato. Credo che Stanley Kubrick avesse ben compreso l’arancia meccanica … la negazione della violenza, naturale nell’uomo, reca a poveri reietti alienati… il finale – l’istituzionalizzazione della violenza stessa – è sin troppo ottimistico: persino quella ci è negata oggi … ci si dirige verso la destituzione della società nel suo complesso: scuola, prigioni, polizia, droghe, sesso, eutanasia … la piattezza desertica dello psicopatico castrato ci attende …

estratto da https://alcesteilblog.blogspot.com/

Coerenza

L’apertura di un conflitto sociale inizia sempre con una scelta individuale: scioperare, andare in piazza, rifiutarsi, sono innanzitutto scelte – e responsabilità – personali, che solo dopo si trasformano in collettive. Chi lotta sa che l’impotenza e la frustrazione sono sentimenti diffusi, perché nella complessità politica ed economica di oggi è difficile che l’apertura di un conflitto con il potere porti a un cambiamento sociale nel breve termine. Ma il Green Pass, come prima la app Immuni, offriva questa possibilità. Quella di dire NO, di rifiutarsi di avallare con il proprio comportamento – scaricare e utilizzare il Pass – una pratica discriminatoria. Era una scelta politica che, ricordiamo, aveva nulla a che fare con l’insindacabile decisione di vaccinarsi, e non richiedeva certo un gran sacrificio: non andare al ristorante, a teatro, al cinema…

Molti cittadini, in numero maggiore rispetto a quelli che stanno riempiendo le piazze contro il Pass, ora si dichiarano contrari alla sua applicazione al lavoro; eppure, in una incoerenza che sembra non riguardarli, continuano ad avallare la discriminazione utilizzando il lasciapassare per riempire locali serali e ristoranti; non hanno modificato la loro condotta dopo il 16 settembre, quando il governo ha esteso l’obbligo al lavoro a partire dal 15 ottobre e l’asticella della discriminazione si è alzata. Lasciare vuoti ristoranti, cinema, teatri ecc. può diventare un’arma economica di pressione sul potere politico, oltre a rappresentare un atto di protesta collettiva e di coerenza personale.

Non si può né sperare né attendere una chiamata strutturata e organizzata, da sinistra, per questo conflitto: salvo poche realtà o singoli individui, la sinistra movimentista che si riempie continuamente la bocca della parola ‘discriminazione’, dichiarando di volerla combattere, si è appiattita sulle posizioni governative spedendo il cervello in vacanza. Sta, dunque, a ciascuno di noi. Scegliere.”

Da Contro il Green Pass. La posta in gioco: disciplina e sorveglianza, di Giovanna Cracco.