Pietas

Se dico che provo pietà per chi si trova in una situazione drammatica, ecco che si può annusare un mio profilo superbo, chino dall’alto in basso, o un mio profilo svilente, perfino schifiltoso. Se invece dico di provare pietas verso la medesima situazione, ecco che le campanelle d’allarme non si accendono, anzi si alzano le sopracciglia sorprese, guarda che urbanità, è vicino al dramma ma che finezza, non si sente nemmeno odore.

Una soluzione comoda, efficace, accessibile. Che riesce a ripulire un concetto in cui è scomodo stare, che permette di evitare di rappresentare la reale ambiguità della pietà e il conflitto della commiserazione, di glissare con passo dotto sulla sfida contro sé che spesso la pietà rappresenta.

Insomma, oscillando fra una consistenza propria da motto dittatoriale e una consistenza impropria da imbiancatura di convenienza, forse ‘pietas’ è una di quelle parole da tenere schedate nella nostra questura interiore.

https://unaparolaalgiorno.it/significato/pietas

Raffaello

Eneide II 721-724 “Detto così, distendo sulle larghe spalle e sul collo reclino una coperta, la pelle d’un fulvo leone, e mi sottopongo al peso; alla destra mi si stringe il piccolo Iulo, e segue il padre con passi ineguali” (trad. Luca Canali

Fabianesimo

In conclusione, lo “stakeholder capitalism del XXI secolo” del professor Schwab sembra delineare una sorta di “socialismo benevolo”, un’evoluzione su scala planetaria di quel mito evergreen che è lo Stato assistenziale dei Paesi dell’Europa settentrionale. La collaborazione stretta tra grande finanza, big-tech, media e capitalismo clientelare è, ovviamente, necessaria alla realizzazione del progetto: promesse di “salute” e “sicurezza”, garantite dall’alto (nella forma di maggiori sussidi pubblici e di “reddito universale di cittadinanza”); più tasse, meno libertà (e meno responsabilità), meno privacy e meno scelta individuale. Un “socialismo liberale”, insomma, un po’ gnostico e un po’ fabiano, che intende mantenere la sovrastruttura liberal–democratica, ridotta però a un guscio vuoto, mentre le risorse e le decisioni importanti sono destinate ad essere sempre più accentrate presso “tecnici” e “competenti”, presso “cabine di regia” sempre più lontane. Una prospettiva distopica che ricorda più quella evocata nel Nuovo mondo di Aldous Huxley (1894-1963) che non quella paventata in 1984 di George Orwell (1903-1950). Quos Deus perdere vult, dementat prius: qualsiasi progetto contrario alla natura dell’uomo e all’ordine delle cose è destinato inevitabilmente al fallimento finale, ma può tuttavia arrecare dei seri danni, per molti anni a venire.

http://www.opinione.it/societa/2021/12/21/maurizio-milano_stakeholder-capitalism-a-global-economy-that-works-for-progress-people-and-planet-klaus-schwab/

Razzismo

Di fronte a una refrattarietà al vaccino che viene presentata come una sorta di follia, una pazza e irrazionale sfiducia nella Scienza, si moltiplicano le descrizioni dei No Vax come un gruppo a parte. Come si sente risuonare in molte parole anche ai massimi livelli, essi non sono più cittadini come gli altri. Troviamo sui giornali “identikit dei No Vax” dove si va da condanne morali (egoisti) e peana sulla loro ignoranza, ad esplicite istanze di psichiatrizzazione.
Quest’ultimo passo è particolarmente significativo: trattando il soggetto dissenziente come un soggetto da indagare sotto il profilo della terapia psicologica o della psichiatria, ora esso non è più considerato una persona autonoma, ma diventa un oggetto di studio, non è più un soggetto mosso dalle proprie ragioni, ma un oggetto che reagisce a cause interne, da disinnescare. Nella concettualità moderna, questa è la mossa finale nella costruzione di un gruppo destinato a divenire un capro espiatorio: i suoi partecipanti vengono separati dall’umanità ordinaria, vengono disumanizzati. O vengono disumanizzati in termini morali (si sprecano le invettive, le espressioni di disgusto, le minacce anche da parte di personaggi prominenti), o vengono disumanizzati in termini mentali (non sono davvero padroni delle proprie azioni, ma vittime di pulsioni oscure, pregiudizi o distorsioni cognitive; sono malati che non sanno di saperlo e che, a maggior ragione, meritano un trattamento sanitario obbligatorio.)
Le analogie di questa dinamica psicologica con eventi drammatici del ventesimo secolo, eventi che ritenevamo superati per sempre, è sorprendente, come è sorprendente che gente che fa a gara a darsi reciprocamente medaglie di antifascismo non lo veda minimamente. È ovvio che contesti e premesse sono diverse, lo sono sempre, visto che la storia non si ripete mai identica. Però questo non deve distogliere lo sguardo dalle analogie. Quando in questi casi sento brandeggiare l’argomento che in quei tempi bui si parlava di pregiudizi irrazionali, come il “razzismo”, mentre oggi è la Scienza a parlare contro l’Irrazionalità, non posso che ricordare sommessamente che il “Manifesto della Razza” del 1938 venne firmato da alcuni tra i più eminenti scienziati dell’epoca, che nelle università c’erano cattedre di “scienze della razza”, e che il “razzismo scientifico” è scomparso solo con gli esiti della seconda guerra mondiale.

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/identikit-del-no-vax-o-del-come-costruire-un-capro-espiatorio