La colpa

Fonte: Andrea Zhok

L’altroieri l’amico Giorgio Bianchi doveva parlare presso un Istituto Tecnico milanese (che non nomino per carità di patria) dove era stato invitato.
E’ accaduto che, prima dell’incontro, 50 docenti dell’istituto abbiano firmato un documento per chiedere che l’incontro stesso non avesse luogo.
Nonostante ciò l’evento programmato si è tenuto egualmente, tuttavia ad esso hanno partecipato soltanto due classi, mentre l’incontro veniva funestato da “incidenti tecnici” (blackout, impossibilità di usare l’amplificazione, – cose che – a detta di un docente – non erano mai avvenute prima).
Durante l’evento i docenti presenti (si suppone inclusi quelli che avevano espresso la propria censura) si sono limitati a criticare nelle retrovie, guardandosi bene dall’intervenire pubblicamente.
Ecco, il quadro che qui emerge è un’immagine abbastanza rappresentativa della società e cultura italiana odierna.
Essa si presenta come caratterizzata da tre fattori dominanti:
1) il più assoluto conformismo: ci si informa su cosa è permesso pensare e cosa no da canali sorvegliati e bollinati dal padrone di turno, politico o economico;
2) l’impreparazione più totale sia in termini di formazione che informazione, che non mette in grado davvero di affrontare mai discussioni nel merito (quando lo si fa ci si limita alla retorica e agli attacchi personali);
3) il desiderio di far tacere ogni voce dissenziente o eccentrica attraverso un fuoco di sbarramento a priori.
A guidare la formazione (docenti) e l’informazione (giornalisti) sono oggi con rimarchevole frequenza personaggi privi di qualunque formazione o informazione che non sia stata accuratamente fltrata e manipolata, e simultaneamente privi di ogni coraggio intellettuale, quel coraggio che anche a fronte della disinformazione consentirebbe di ampliare l’orizzonte e di accedere, magari per gradi, ad una visione critica.
Di fronte ad una potenza di fuoco come quella mediatica odierna – con la sua ulteriore capacità di innalzare a modelli culturali e intellettuali delle figurine di pongo – ogni cittadino può trovarsi in una posizione di sviamento e accecamento.
E’ una disgrazia, ma non è ancora una colpa.
La colpa, la tara morale, emerge però nel debordante conformismo censorio, quell’atteggiamento che non solo cerca sempre soltanto di incistarsi  – allineati e coperti – sotto l’ombrello del potere di turno, ma che soccombe al terrore, incapace di reggere alcuna verità inattesa, e che perciò si sbraccia e sforza in tutti i modi per censurare gli altri, per denigrare, per impedire ad ogni difformità non prefiltrata di venire alla luce.
L’ignoranza non è una colpa, non necessariamente; la disinformazione non è una colpa, non necessariamente; ma la vigliaccheria che si erge a censura, questa sì che è una colpa, una colpa imperdonabile per chi di mestiere forma le menti altrui.

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L’uomo sciame

Ha approfondito il tema il pensatore tedesco coreano Byng Chul Han, per il quale lo sciame è la condizione dell’uomo del secolo XXI. Non più folla- neppure solitaria come per Davis Riesman- e neanche massa. Lo sciame è una molteplicità di soggetti che, pur avendo la possibilità di relazionarsi e comunicare attraverso la Rete, sono atomi solitari. La differenza con l’uomo-massa è che all’interno di una massa l’uomo perde la sua individualità, ma resta all’interno di un insieme comune. Nello sciame, che si muove secondo ritmi e itinerari sconosciuti ai singoli componenti, ciascuno resta solo, un puntino in corsa in una direzione che ignora. Lo sciame digitale non è una folla, non possiede un’anima o uno spirito. L’anima raduna e unisce: lo sciame è una macchia di individui isolati.

Scuola di guerra

Ora segnato il tracollo della diplomazia di fronte alla perentoria potenza delle armi, da quando una civiltà autoproclamatasi superiore ha stabilito che esistono guerre giuste, legittime e legali, qualsiasi giovanotto, in cambio di crediti formativi e con l’auspicio di scrivere un trattatello firmato dal suo professore, può accedere a una carriera invidiabile di promoter, collaboratore e propagandista di stragi in grande stile, operazioni predatorie, campagne di spoliazione di risorse e territori, incaricato di autorizzarle moralmente e di acquisire il consenso generalizzato a disonorevoli partecipazioni sopportate grazie alla condizione di accidiosa impotenza cui ci hanno condannati.

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Società tossica

Il Governo ha condotto una strategia che bisogna riconoscere di grande intelligenza – malefica, ma pur sempre astuta – per ridurre al massimo le difese cognitive e scatenare al massimo le risonanze emotive. Un vero e proprio lavaggio del cervello i cui risultati sono tuttora riscontrabili nella diffusione dei portatori di mascherine e nella generalizzata assenza di dubbi e di sospetti. C’è chi ha parlato – giustamente – di “lockdown cognitivo”, definendo quel fenomeno di annebbiamento, di allagamento della parte razionale, che comprende il senso critico, l’esame di realtà e la capacità di giudizio. E tutto è avvenuto con una tecnica di pressante e pervasiva induzione della paura. A questo punto, è stata posta in essere una seconda tattica, che alcuni decenni era individuata nella perversa formula “avanti al centro contro gli opposti estremisti”, e che in termini pratici significava dividere il popolo tra due fazioni antagoniste, mentre il potere perseguiva i propri scopi indisturbato. Nel caso della pandemia, c’è stata una separazione conflittuale tra i cittadini di serie A, buoni, responsabili, rispettosi del sistema e sottomessi alle sue intimazioni, e quelli di serie B, cattivi, irresponsabili, indisciplinati e resistenti alle prevaricazioni insensate. La terza fase – in una riduzione più comprensiva del complesso problema – è stata caratterizzata dalla procedura punitiva: dalle multe, alla censura mediatica, all’impedimento lavorativo, alla sospensione da parte degli Ordini professionali. Un’escalation persecutoria che non ha precedenti nella storia del Paese.

estratto da https://www.ariannaeditrice.it/articoli/pandemia-e-segregazione

Le nostre guerre

Facciamo un paragone con gli infamati “secoli bui”. I contadini e gli artigiani del Medioevo non avevano padroni sul capo, avevano la loro vita nelle proprie mani, nel tranquillo ruminare delle stagioni (le corvées che tanto scandalizzano i moderni erano roba ridicola come nota ancora Adam Smith). Non esisteva, per quanto a noi possa sembrare sorprendente, la disoccupazione. “Che cosa sarebbe successo in un’economia tradizionale, preindustriale, se su un campo su cui vivevano dieci persone si fossero accorti che otto erano sufficienti a coltivarlo tutto e al meglio, mentre il lavoro dei due, i ‘marginali’, era superfluo? Li avrebbero cacciati a pedate nel sedere dicendogli di andarsi a cercare impieghi più produttivi? Nient’affatto. Si sarebbero divisi il lavoro in dieci, approfittando del tempo così guadagnato, che non è ancora il nostro sinistro ‘tempo libero’, eterodiretto, per andare all’osteria, a giocare ai birilli, a corteggiare la futura sposa” (Cyrano se vi pare…). Noi abbiamo invece usato la tecnica per sbattere fuori dal mondo del lavoro quelli in sovrappiù, per andarsi a cercare impieghi ancora più subordinati, umilianti e feroci.
Nevrosi e depressione nascono con la rivoluzione industriale colpendo prima la borghesia (Freud) e in seguito l’intera comunità. Noi tutti oggi basculiamo fra nevrosi e depressione. Il fenomeno della droga, sconosciuto nel mondo premoderno, è sotto gli occhi di tutti. E fermiamoci qui, per pietas.
In un recente articolo sul Fatto (27/4) il sociologo De Masi ha richiamato Martin Heidegger che negli anni Trenta ha posto il problema cruciale dell’ambiguità della Tecnica che però va accoppiato, nel mio pensiero, all’Economia e alla Pubblicità il vero motore dell’intero sistema (basta collegare i servizi drammatici che ci vengono dall’Ucraina con gli spot televisivi che immediatamente li seguono per capire ciò che dico).
Ricorda De Masi sunteggiando Heidegger: “L’Occidente ha convogliato nello sviluppo tecnologico tutta la volontà di potenza dell’uomo, trasformandola in fine a se stessa. Così facendo ha trasformato il mondo in apparato tecnico e noi tutti in impiegati di questo apparato”. È ciò che da tempo, salendo sulle spalle robuste di Heidegger, sostengo anch’io. Sul tema si è esercitata anche una delle menti italiane più lucide, Umberto Galimberti (Psiche e tchne). Anche Galimberti è estremamente critico nei confronti della Tecnica, ma sostiene che la Tecnica è un fatto cui non ci si può opporre. Io sto sul versante opposto. Come lo scudiero de Il settimo sigillo di Bergman mi ribello.

Massimo Fini in https://www.ariannaeditrice.it/articoli/le-nostre-guerre-del-capitale

Drogati dal green pass

È successo con il Covid, sta succedendo con il conflitto che nessuno vuol far terminare, in modo da obbedire alle leggi del mercato e dello spettacolo. E così si conferma che è preferibile uniformarsi, per tutelarsi e per dichiarare la conformità con il format imposto per far parte della cittadinanza: se ci si comporta “civilmente” si potrà accedere a un riconoscimento, se si obbedisce a ordini ancorchè contradditori o autolesionisti si pretende una medaglia, magari sotto forma di Green Pass, di bolletta edulcorata a fronte del sacrificio per la patria degli altri, perché ormai dovere secondo i canoni imperiali è soverchiante rispetto al senso di responsabilità e di rispetto per sé e gli altri.