Per comprendere le ragioni della salienza di questa sfera bisogna comprendere cos’è successo di catastrofico nella cultura contemporanea. Le nuove generazioni non riconoscono alcuna realtà al mondo sociale, culturale, storico, religioso. Tutte queste sfere che hanno rappresentato il centro di gravità delle lotte dei secoli e millenni passati sono scomparse in una dimensione di irrealtà, che non ha più nessun aggancio effettivo con le loro vite.
Questa trasformazione ha naturalmente motivazioni profonde e di lungo periodo, su cui non possiamo soffermarci, dipendenti dall’imporsi progressivo di un’ontologia “naturalista” e di un’etica “relativista” nel percorso di egemonizzazione della ragione liberale.
Sommersi mediaticamente da una tempesta di frammenti “culturali” privi di alcuna connessione e di alcuna rilevanza operativa che gli piovono addosso da ogni parte, essi hanno recepito come lezione fondamentale che storia, cultura, società, politica, ecc. sono dimensioni sfuggenti, inintelligibili e arbitrarie, dimensioni irreali in cui magari si muovono ancora alcuni adulti – sempre meno – ma che non rappresenta qualcosa che è possibile prendere sul serio.
Le loro esistenze sono state integralmente destoricizzate e desocializzate. Il mondo del passato è la noia irrilevante dei libri di storia, e siccome ogni presente è destinato a diventare il passato di domani, anche ogni loro azione presente non si muove più nel senso di “orientare la storia”, perché la storia non esiste.
“Realtà” in modo preminente, legittimata dalla nostra intera ontologia, è solo la “natura”, che si profila come concreta e presente, “vera”.
Sarebbe erroneo però immaginare che ci sia una qualche definita immagine o un’articolata conoscenza di ciò che sarebbe, o dovrebbe essere, “natura”. E qui fa capolino l’aspetto davvero tragico di questa metamorfosi delle coscienza. Da un lato, solo ciò che appartiene alla sfera “naturale” è propriamente “reale” e dunque solo questa sfera può ancora accendere qualche animo o qualche passione. Tuttavia, com’è ovvio che sia, “natura” è in effetti sempre solo l’accesso a determinate idee, storicamente sviluppatesi, di “natura”. Ma essendo scomparsa dall’orizzonte ogni coscienza storico-culturale, lo schermo attraverso cui vedono la “natura” non è percepito come tale: la “realtà” residua, la “natura” per cui vale ancora la pena combattere è di volta in volta un’immaginicola correntemente di moda, senza che di ciò si abbia alcuna contezza. Il sistema culturale della “produzione di contenuti di moda”, agente fuori scena, fornisce uno spicchio di mondo che viene percepito come realtà naturale, massimamente concreta, qualcosa che “rifugge le complessità e fumisterie della storia e della cultura”.
Così, ci troviamo di fronte a soggetti che pensano di “star dicendo la loro” perché lottano per l’autointerpretazione e autodeterminazione dei propri genitali, o perché imbrattano tele contro il riscaldamento climatico, o perché rivendicano i diritti di Bambi.
Naturalmente ciascuna di questa tematiche potrebbe avere modi critici e intelligenti di essere trattata, ma il punto cruciale sta proprio qui: qualunque trattazione critica dovrebbe valutare questi temi in rapporto al sistema di relazioni storiche, sociali, economiche, culturali, ecc. in cui si colloca. Ma proprio questo è ciò che è impossibile, precluso, perché significherebbe entrare in quella dimensione di complessità di cui non solo ignorano l’esistenza, ma misconoscono proprio la rilevanza.
Così, quelle residue energie di giovanile contestazione, in attesa di essere definitivamente spente negli ingranaggi lavorativi, si sfogano su bersagli mobili forniti e alimentati da un apparato mediatico-informativo di cui neppure sospettano l’esistenza. Burattini di altri burattini. Burattini senza fili sì, ma solo perché oggi funziona meglio un telecomando.
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Molti anni dopo, Zygmunt Bauman avrebbe parlato di società liquida. In natura ciò che è liquido si disperde oppure assume la forma del contenitore, ossia di chi guida e orienta i processi sociali. Per Riesman sono tre le tappe storiche attraverso le quali è passato l’uomo: l’individuo guidato dalla tradizione; quello “introdiretto” (inner-directed) e infine, la personalità eterodiretta (other-directed), standardizzata, seriale, conformista, quindi accettabile dal gruppo sociale di appartenenza. E’ il risultato peggiore dell’egualitarismo. Una società di individui non è pianificabile se non convincendola che bisogna essere “come tutti gli altri”. Conseguito questo risultato, la società si è già arresa, autoconsegnata al padrone del gregge.
Nelle società di ieri la maggior parte era guidata dalla tradizione. Erano sufficienti idee rigide, stabili da una generazione all’altra, non era necessario cercare nuove soluzioni poiché pochi erano i nuovi problemi. Le grandi trasformazioni generate dalla rivoluzione industriale produssero un individuo dall’indole più flessibile, guidato dal suo foro interiore, un soggetto che manteneva determinati principi e alcuni valori fondamentali, ma, immerso in una realtà mutevole, non ricorreva più a regole fisse. Ognuno tendeva a formare i propri criteri, decidendone il corso in ogni nuova situazione. Non esisteva un percorso segnato, ma l’individuo possedeva ancora una bussola per orientarsi. L’accelerazione del cambiamento tecnologico e la cultura di massa hanno determinato l’apparizione del soggetto guidato da altri, che ha rotto con il passato e manca di principi per formare i suoi criteri: si limita all’imitazione dell’ambiente. Non ci sono più valori stabili ma idee in rapido mutamento; tutto è in balia delle mode o dell’influenza dei media. La fase adolescenziale, con la sua irresistibile influenza del gruppo dei pari e delle loro pulsioni emotive, si estende simbolicamente al resto della vita, dando origine a un tipo umano il cui obiettivo primario è l’approvazione. Si estende un’infantilizzazione di massa che disprezza l’esperienza in quanto inservibile nel mutamento tecnologico. L’individuo ha smarrito la bussola, ma gli è stato fornito un radar per rilevare dove si trovano gli altri. Per Riesman il mondo eterodiretto della folla solitaria è una sorta di risposta evolutiva: la flessibilità come processo di adattamento a un mondo sempre più mutevole. Gli mancava, inevitabilmente, la prospettiva per prevederne le conseguenze. L’eccessiva flessibilità genera personalità malleabili, facilmente plasmabili dal potere, una massa amorfa che assume forme capricciosamente cangianti. Questi soggetti si considerano liberi, dalla mente aperta, ma sono facile preda dell’ambiente, dei mass media, dei persuasori più o meno occulti, dei gruppi di pressione. La loro flessibilità è apparente poiché, una volta convinti, assumono un atteggiamento dogmatico, aggressivo con chi non condivide l’opinione del momento. Farsi guidare dall’ ambiente conduce a un mondo di contraddizioni: la folla solitaria.
La mancanza di ancore spiega la naturalezza con cui oggi si accetta l’allarmante rottura dei principi che sorreggono lo Stato di diritto: l’eguaglianza davanti alla legge, la libertà individuale, la limitazione del potere. Emergono sempre più leggi che violano questi principi, regole che accordano diritti speciali per determinati gruppi, ovvero nuovi privilegi. La pandemia ha offerto una radiografia della mancanza di principi e della flagrante disconnessione dal passato, anche prossimo. Il confinamento dell’intera popolazione, escluso perché controproducente in tutti i piani di contrasto alle epidemie e in quanto violazione dei diritti fondamentali, è stato imposto a cascata in un paese dopo l’altro, semplicemente perché altri governi così avevano deciso: una decisione chiaramente eterodiretta. L’instabilità dei criteri ha prevalso senza che la maggioranza ne fosse consapevole. In una prima fase, una massa chiassosa ha approvato la privazione dei diritti dei non vaccinati. Una volta ottenuta la vaccinazione di massa, con esiti contraddittori e ricatti evidenti, la stessa folla ha premuto affinché continuassero le restrizioni. Ha anche mostrato indifferenza per le esperienze del passato, accettando in modo minaccioso, isterico e furioso, l’idea che una semplice mascherina fosse in grado di fermare un virus respiratorio. L’umanità di ieri sapeva che non è vero.
Decenni, secoli di conoscenze accumulate sono svanite dinanzi alla schiacciante intimazione – diffusa a reti e testate giornalistiche unificate – a credere in pseudo dogmi scientifici i cui testimonial in camice bianco sono spesso contraddittori, inattendibili, gravati da vicinanza alle multinazionali farmaceutiche e compromissione con il potere politico. Le masse infantilizzate hanno rapidamente dimenticato che le proposizioni scientifiche non sono verità assolute ma acquisizioni provvisorie passibili di confutazione. Le personalità “intro-dirette” sono risultate una minoranza, sia pure non trascurabile, rispetto a una vasta massa acritica nutrita di parole d’ordine mediatiche. Di qui l’impossibilità di comprensione reciproca e lo smarrimento di fronte all’instabilità e all’intransigenza della folla. L’individuo guidato dal suo foro interiore è più equilibrato, libero e critico. Condivide alcuni principi e valori con il gruppo, ma ha principi a cui non rinuncia. Sebbene controcorrente, è meno manipolabile perché l’adesione a convinzioni radicate agisce come freno agli istinti, all’influenza emotiva dell’ambiente, dei media, dei governanti e dei gruppi di pressione. Senza adeguati elementi di giudizio, provenienti dalla cultura, dalla comunità e dalle convinzioni personali, gli individui finiscono prigionieri di dogmi, slogan, consegne senza senso ma di fascino immediato, diventando disponibili a cancellare ogni passato, definito malvagio e sbagliato. David Riesman non avrebbe immaginato che la folla da lui analizzata avrebbe un giorno reclamato la rimozione delle statue di Thomas Jefferson, padre della nazione americana.
Le generazioni postmoderne, insieme con l’animus del gregge, soffrono la sindrome di Peter Pan, la condizione psicologica di chi è incapace di crescere, diventare adulto e assumere responsabilità. Il dramma è che questa malattia che infantilizza, rende vulnerabili e deboli, è epidemica perché eterodiretta dal potere che ci vuole omologati, capi di bestiame con il codice a barre. In balia del presente e dell’”ultima” moda, canne al vento o foglie morte, paghi di essere “come tutti gli altri”: Peter Pan e la banda dei bambini sperduti.
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