Non avrai nulla e sarai felice

Oggi, in una notte del mondo in cui reale e virtuale, vero e falso, tendono a confondersi, esperienza e finzione, sogno e labirinto si intrecciano e plasmano un’umanità irriconoscibile.
Il nomade non è interessato alla proprietà, tanto meno alla stabilità; la sua identità mobile è fortissima benché “sui generis”. Egli reca con sé ogni cosa che gli appartiene fintanto che gli è utile: il gregge che lo sostenta, la tenda che lo protegge nel riposo. Ha pochi ricordi, nel senso che noi attribuiamo al termine. La sua meta è il viaggio. Così ci sta trasformando la postmodernità. Viviamo di emozioni, pulsioni, esperienze. La necessità più viva è essere sorpresi: per questo abbiamo bisogno di continue novità. Fintanto che il sistema riuscirà a provvederci di emozioni, saremo alla sua mercé, schiavi alla ricerca di lampi di felicità. Legati, inevitabilmente, alle “non cose”. Accoglieremo con soddisfazione una vita a nolo. Automobile in affitto, case abitate a giorni: il mondo di Uber e Airbnb. Accetteremo rapporti umani strumentali, sempre più veloci per la noia che incombe.
Essenziale resterà la relazione con gli apparati artificiali, specie lo smartphone, porta dell’infinito virtuale, l’unica proprietà che difenderemo gelosamente sino all’uscita del modello successivo, più rapido, più performante, soprattutto più simbolico. I simboli sono “non cose”. Ci leghiamo a d essi, non più agli oggetti della nostra vita. Libri, suppellettili, perfino abiti e gioielli, l’automobile, la casa e la terra, quelli che chiamiamo ricordi e hanno conferito senso e continuità alle nostre vite, sono legami, dunque pesi inattuali, orpelli di cui disfarsi sull’altare delle esperienze.
La libertà a cui aspira l’uomo-cifra è quella del consumo, immediato, costante, illimitato. L’economia dell’esperienza sostituisce l’economia delle cose. Perciò accettiamo e più ancora accetteremo una vita fatta di puntini, di scoppi di adrenalina, ossia di esperienze, desideri, stimoli sempre nuovi. Un moto perpetuo che finirà per estenuare. Jeremy Rifkin fu il primo a cogliere un salto cruciale: viviamo l’era dell’accesso, il concetto chiave della contemporaneità. Lorsignori ci obbligano alla connessione continua, all’ibridazione con gli apparati, a inseguire ogni mutamento, da abbandonare una volta “esperito”. Il cyberuomo non darà importanza al possesso e alla proprietà: il mondo fondato sull’accesso genera un’umanità del tutto diversa.
La lezione di Rifkin è stata recepita ai livelli più alti, che lavorano attivamente per espropriarci di tutto, a partire dalla nostra mente, per tenerci in pugno attraverso le “non cose”. Identità significa innanzitutto duratura relazione con persone, cose, luoghi; il possesso è per natura stabile, si fonda sulla persistenza. Nulla di più estraneo alla dromocrazia (dominio della velocità), al “tempo reale”. La nuova identità è fluida, mutevole, a partire dagli istinti sessuali e dalla percezione di sé. Fatica a immaginare qualsiasi cosa sia “per sempre”.
Ancor meno riconosce l’idea di trasmissione, il lascito che riceviamo e consegniamo alle generazioni successive. Tutti concetti legati alla stabilità, alla categoria di creatura stanziale che l’homo sapiens ha cucito su se stesso. L’uomo digitale non vuole storia e fa a meno della memoria. Vacilla l’idea di cultura, che è accumulo, deposito nel tempo e nello spazio di conoscenze e costumi che oltrepassano gli individui. La cultura trae origine nella comunità. Mercificata, commercializzata, munita del cartellino del prezzo, perde valore e distrugge la comunità, sostituita dalla community.
Tutto ciò inquieta, come la scarsa percezione delle modifiche antropologiche in atto, in attesa del salto ontologico, il passaggio al transumano. La finestra di Overton si spalanca nella direzione dell’uomo – il faustiano Homunculus forgiato dalle officine globaliste – che non ha nulla, dopo aver accettato con apparente indifferenza di non essere nulla. Sarà felice per un po’, di una soddisfazione animale e provvisoria, bisognosa di continue scosse. Poi scoppierà e rivorrà la scintilla divina che si è lasciato estirpare collaborando all’esproprio.
Tornare umani, tornare al reale, rigettare il virtuale, l’illusione fabbricata, la vita a noleggio, il nomadismo interiore e materiale, passerà, temiamo, per esperienze terribili. L’uomo ritroverà la sete di infinito, riprenderà a guardare in alto, a voler essere e voler avere. Ulisse tornerà a Itaca, ma troverà qualcuno ad aspettarlo?

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