Informazioni su apoforeti

Unione Associazioni Culturali

Federico Faggin

oggi alle 17e30 a Mirandola Federico Faggin in conferenza al Parco della memoria, nell’ ambito del festval della memoria

Origini e formazione

È figlio del filosofo Giuseppe, traduttore delle Enneadi di Plotino. I suoi genitori erano originari di Isola Vicentina ma abitavano a Vicenza dove Federico è nato. Dal 1943 al 1949 la sua famiglia si trasferì a Isola Vicentina a causa della guerra poi ritornò ad abitare a Vicenza. Dopo avere conseguito nel 1960 il diploma di perito industriale, specializzato in radiotecnica, all’Istituto tecnico industriale “Alessandro Rossi” di Vicenza, iniziò subito ad occuparsi di calcolatori presso il Laboratorio di Ricerche elettroniche dell’Olivetti a Borgolombardo, all’epoca tra le industrie all’avanguardia nel settore, contribuendo alla progettazione e infine dirigendo il progetto di un piccolo computer elettronico digitale a transistori con 4 Ki × 12 bit di memoria magnetica.

Lasciata l’Olivetti nel 1961, s’iscrisse al corso di Fisica presso l’Università degli Studi di Padova, dove si laureò summa cum laude nel 1965 e dove venne subito nominato assistente incaricato. Insegnò nel laboratorio di elettronica e continuò la ricerca sui flying spot scanner, l’argomento della sua tesi. Venne quindi assunto, nel 1967, dalla SGS-Fairchild (oggi STMicroelectronics) ad Agrate Brianza, dove sviluppò la prima tecnologia di processo per la fabbricazione di circuiti integrati MOS (Metal Oxide Semiconductor) e progettò i primi due circuiti integrati commerciali MOS.

Faggin decise di stabilirsi negli USA e nel 1970 passò alla Intel, qui Ted Hoff e Stanley Mazor avevano proposto una nuova architettura per la realizzazione di una nuova famiglia di calcolatrici della società giapponese Busicom che allora utilizzava un modello ispirato al Programma 101 della Olivetti. Ted Hoff semplificò l’architettura della Busicom, che usava memorie seriali e quindi un maggior numero di componenti, in un’architettura più generale che utilizzava le memorie RAM appena sviluppate dalla Intel, riducendo a 4 chip il design originale della Busicom che richiedeva 7 chip. Hoff pensava che la CPU potenzialmente potesse essere realizzata in un chip ma non era un chip designer e la sua proposta rimase ferma allo stadio di architettura a blocchi finché Faggin venne assunto per sviluppare e dirigere il progetto del primo microprocessore, il 4004 (inizialmente denominato MCS-4), contribuendo con idee fondamentali alla sua realizzazione…

Il 19 ottobre 2010 Faggin ha ricevuto la Medaglia Nazionale per la Tecnologia e l’Innovazione (National medal of technology and innovation) direttamente dalle mani del presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama, per l’invenzione del microprocessore.[4][5]

Unico italiano presente al Computer History Museum di Mountain View[6], nel 2011 ha fondato la Federico e Elvia Faggin Foundation, una organizzazione no-profit dedicata allo studio scientifico della coscienza attraverso la sponsorizzazione di programmi di ricerca teorica e sperimentale presso università e istituti di ricerca statunitensi.[7] Nel 2015 la Fondazione Federico e Elvia Faggin ha stabilito una cattedra di Fisica dell’Informazione presso l’Università della California, Santa Cruz (UCSC) per sostenere lo studio di sistemi complessi, biofisica, scienze cognitive e matematica nel tema unificatore della fisica dell’informazione.

Il 27 novembre 2019, su iniziativa del Presidente Sergio Mattarella[8], Faggin ha ricevuto la massima onorificenza della Repubblica Italiana con la nomina a Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana

Nel 2022, nel libro “Irriducibile. La coscienza, la vita, i computer e la nostra natura” ha proposto una teoria sulla coscienza secondo la quale essa sarebbe un fenomeno puramente quantistico, unico per ognuno di noi in quanto, in base al teorema di non clonazione quantistica, non è riproducibile, per cui nessuna macchina potrà mai ricrearla (non è riduciblie a meccanismi) e continua a esistere anche in seguito alla morte del corpo. La teoria è basata sugli studi del professor Giacomo D’Ariano che rifondano la teoria quantistica su principi informativi.[9]

estratto da Wikipedia

Chiacchiere

Fonte: Franco Cardini

La nostra Felicissima Era Politca e Mediatica è, come tutti sanno, distinta in tre Età: l’Età dell’Oro, Aurea Proles; l’Età dell’Argento, Argentea Proles; l’Età di Merda, Excrementitia Proles.
Durante la Prima Età, padrone del sistema di valori e delle coscienze era il Professore: un Infallibile Padreterno, tipo Giovanni Spadolini o Umberto Eco. Nessuno o quasi osava contraddirlo. Era il tempo delle Tribune Politiche.
Nella Seconda Età, giunsero i Conduttori Televisivi. Non usavano più l’alto linguaggio accademico o il pertinente linguaggio politico, bensì il gergo del Bar dello Sport: ad esempio redigendo continuamente tavole dei Buoni e dei Cattivi, di chi stava dalla Parte Giusta e chi da quella Sbagliata della Storia. E molti fra i Padreterni e le Mammesantissime dell’Età precedente, se volevano sopravvivere e avere al loro fettina di visibilità (sovente interrotta dall’autorevole parere dei Conduttori), dovevano adeguarsi. Era il tempo dei Talk Shows.

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Realismo

Le prese di posizione di Trump contro la guerra che è ormai l’unica ragione di esistenza dei sedicenti democratici americani, ma direi dell’occidente stesso incatenato al non senso di emergenze artificiali, ha probabilmente causato il disperato intento di toglierlo dalla prossima gara elettorale con le inconsistenti accuse che gli vengono mosse da un procuratore di Soros. Niente guerra, niente emergenza, niente futuro per la cupola di potere che se l’è mangiato nei due ultimi decenni. Però bisogna essere realisti, la mossa nonostante la sua evidente pretestuosità e si potrebbe dire illegalità, finirà molto probabilmente per risultare vincente visto che i democratici, intendo gli elettori, saranno probabilmente sensibili a questa vicenda e si recheranno alle urne in numero maggiore di quanto non si potesse immaginare prima di questa vicenda: non bisogna mai dimenticare che sono caduti mani e piedi nell’assurda narrazione del Russia Gate, mentre i trumpiani fronte a questo uso strumentale della giustizia non si sono nemmeno sognati di protestare, cosa abbastanza significativa. Se poi anche questo non bastasse a mantenere la Casa Bianca nelle mani dei soliti noti non sarebbe difficili tirare fuori dal cilindro una qualche epidemia per trasferire il voto dai seggi alla posta oppure ai sistemi elettronici grazie a cui qualsiasi risultato può essere ampiamente manipolato per mettere le “cose a posto”. Semmai ci si potrebbe augurare che comunque ottenga la nomination da parte del Gop e da quella tribuna riesca ad organizzare

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Tecnica vs natura

Come annotava già Ernst Junger negli anni 50 del secolo scorso:
“Emblema di un percorso verso un abisso sconosciuto, la tecnica viola, mediante la teorizzazione e la possibile applicazione del processo di fecondazione artificiale, persino il tabù del diritto ad avere un padre, ponendosi così al muro del tempo, dove spira il vento inquietante delle svolte epocali. E’ il principio stesso che anima questo nuovo tipo di riproduzione e non la sua estensione a essere più gravido di conseguenze, per il nostro destino, di quanto non lo siano state due guerre mondiali”.
Sono questioni che non riguardano solo i cattolici o i soli credenti, ma che coinvolgono la cultura, l’antropologia, i legami sociali, l’idea di dignità della persona, elementi prepolitici e prereligiosi, su cui si basa l’idea di comunità e, in ultima analisi, l’idea stessa di democrazia fondata sul consenso e la libertà di uomini e donne liberi, liberi anche di amare, ma non di ridurre a prodotto merceologico un bambino.

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Un gaio nichilismo

L’orizzonte umano coincide col piacere del singolo
È proprio questa l’essenza della “società radicale”, che non può che assumere una forma tecnocratica, inevitabile, per dirla con Del Noce, «in una realtà in cui i valori etico-politici sono sostituiti da criteri strumentali: è la società della massima oppressività possibile, quella il cui fondamento è il principio pragmatico esteso a tutti i rapporti sociali, in cui tutto sembra passare in via privilegiata per il diritto assoluto degli individui al soddisfacimento dei propri desideri». Se la natura diviene, in altre parole, solo un oggetto per l’uomo, e se la società viene pensata solo nei termini dei vantaggi che essa può assicurare al piacere del singolo, allora il problema di un valore “trascendente” della natura e della società – la religione, la morale, la prospettiva nazionale – appare come privo di senso. La sinistra postmarxista raggiunge così la perfetta negazione della trascendenza, il rifiuto dell’esperienza immediata e della consapevolezza della realtà, sia per ciò che riguarda la natura, sia per ciò che riguarda la società: il mondo e l’uomo emergono soltanto come ciò che appaiono e la misura concreta che li avvince al soggetto umano è soltanto il soddisfacimento dei suoi bisogni e desideri. Non c’è, anche in questo, una prefigurazione dell’orizzonte liquido, sradicato, indifferenziato, politicamente corretto e “sostenibile” degli scenari a noi contemporanei?

di Riccardo Arbusti – 01/03/2023

Scuola 4.0

Stavolta la fonte, lo abbiamo visto, non fa nemmeno finta di assumere le sembianze di un prodotto della democrazia. La riforma, che di fatto è una rivoluzione, porta il marchio del PNRR e tanto basta per travolgere nell’orgia digitale, con la forza del ricatto, contenitori e contenuti, persone e cose, storie e identità.
A quei docenti tanto miopi da eccitarsi per il denaro in arrivo, che non andrà certo ad aumentare gli stipendi semplicemente perché la nuova scuola non avrà più bisogno di loro, occorre domandare se si siano presi la briga di leggere il documento di cui si fanno solerti esecutori e se, quindi, se abbiano un’idea della sorte che li attende. Transiteranno per la mansione intermedia di facilitatori tecnologici ed erogatori di istruzione (finta), per approdare presto alla disoccupazione per inutilità sopravvenuta, sostituiti da più efficienti robot: che infatti hanno il pregio di non ammalarsi, non protestare, non cambiare idea, non deragliare dalla strada segnata. L’intelligenza artificiale sta scaldando i motori e, se quella naturale va in vacanza, occuperà tutti gli spazi rimasti incustoditi.
ContiamoCi! (comunicato qui sotto) chiede allora al ministro cosa ne pensi e cosa intenda fare. Chiede a docenti, genitori, cittadini tutti che abbiano a cuore i più giovani e il nostro futuro, di opporsi con forza alle lobby rapaci del digitale smaniose di impossessarsi dei luoghi, delle menti, delle intimità. Chiede di reagire con determinazione a questo sopruso impacchettato in carta regalo, perché lo scempio cui stiamo assistendo non lascerà molti sopravvissuti.

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Il relativismo

Il relativismo è considerato un bene conquistato dall’attuale società del pugno di mosche, in contrasto a quella fondata sui gerarchici, inequivoci, duraturi valori tradizionali. Come in questa sussistevano le solidità identitarie e sociali, all’opposto nell’attuale, transumanistica, dominano i pensieri e le idee propri di un ordoindividualismo a tutto esteso. L’aveva già detto Zygmunt Bauman nel 1999 (1).
La persona, entità base della comunità, che poteva analogicamente relazionarsi a tutto il mondo, è divenuta individuo, entità incapace di comunità se non digitali, virtuali, dall’identità effimera, in quanto aggregata al momento della bisogna, spesso del piacere o dell’interesse personale. Un essere che con due soldi è stato convertito in consumatore e, in quel solo modo, a sua insaputa soppesato. Poi, algoritmicamente anticipato, paurosamente reso prevedibile, digitalmente sempre più sorvegliato.

Lorenzo Merlo in Controinformazione.info

Gli analfabeti loquaci

Sono già lì, belle pronte, tutte le risposte, le versioni ufficiali, diffuse dall’ apparato di comunicazione e intrattenimento, massimo responsabile dell’analfabetismo di ritorno da cui siamo sopraffatti. Il ministero dell’educazione francese è in gravi difficoltà ad arruolare insegnanti. I candidati ignorano la lingua francese, spesso la grammatica e l’ortografia. Non comprendono le domande poste dagli esaminatori, quindi non sono in grado di rispondere. Gli insegnanti di matematica non sono capaci di eseguire i calcoli e applicare le formule che dovrebbero trasmettere agli allievi.
Gli analfabeti di ritorno sono loquaci in quanto convinti di padroneggiare una conoscenza – cultura è parola grossa – sempre più limitata e specialistica, che sembra fornire loro speciali diritti a strologare su qualsiasi argomento. Lo specialismo è l’istruzione settoriale, strumentale del cosiddetto esperto, un soggetto che finisce per sapere tutto su nulla, tanto piccolo è il suo angolino di conoscenza. Il problema – in una società complessa – è che si finisce per ignorare qual è il nostro posto nella catena sociale e perfino che la catena esiste.
Viene ignorata la trasmissione del sapere, eccetto il campo limitato di ciò che riguarda il nostro mestiere o professione. Si parla di cultura della cancellazione, ma è un ossimoro: non vi è cultura senza trasmissione, relazione tra passato e presente. L’analfabetismo raggiunge così i più alti livelli, ammantato di larghezza di vedute, tolleranza e rispetto. In Inghilterra le istituzioni universitarie invitano (ossia obbligano) a non usare la parola Natale, da sostituire con la tortuosa locuzione “festività di fine anno”. Nessun accenno al perché si fa(ceva) festa, al peso, alla storia delle parole. In inglese Christmas è molto chiaro: resta solo la foga di cancellare se stessi, la vergogna di ciò che si è.
Non era così in passato, quando almeno si sapeva di non sapere e si aveva l’umiltà di ascoltare. Oggi un’arrogante ignoranza disprezza ogni approfondimento, rifiuta il confronto, si esprime per luoghi comuni con i termini orecchiati nel linguaggio disincarnato della sottocultura di massa. Il modello preferito è Twitter: centoquaranta battute al massimo, spazi compresi. Di qui l’incomprensione reciproca, l’assertività obbligata, la preferenza per concetti banali, stereotipati, o, al contrario, l’ingiuria e la menzogna sfrontata. Parliamo per slogan senza interesse per la verità: calano dall’alto le parole d’ordine, gli analfabeti loquaci le ripetono stupiti che qualcuno non sia d’accordo, usi altri linguaggi, risponda a criteri, significati e principi che non essi capiscono poiché ignorano le parole e i costrutti mentali con cui sono formulati.
Lo intuì George Orwell: in 1984 il Ministero della Verità, oltre a capovolgere i significati, lavora alla cancellazione del vocabolario. Chi non conosce le parole, non possiede più il pensiero. Il ragionamento non riesce più a esprimere un’opposizione, elaborare critiche (cioè giudizi) e neppure manifestare un consenso ragionato.
Forse oggi non sarebbe possibile un romanzo come La versione di Barney, che pure è del 1997. Barney Panofsky, produttore televisivo di successo, decide di scrivere la sua autobiografia per liberarsi da una vecchia accusa di omicidio. Elabora cioè la ”versione” della sua stessa vita, l’interpretazione di ciò che ha fatto e di quello che è. Nel mondo dal linguaggio distorto e impoverito, esiste la versione unica, da credere e ripetere con i medesimi termini, declinati al presente, con cui ci è stata fornita. La nostra loquacità è tutta al presente, vive nell’istante; ignora il passato e non si cura del futuro.
Soprattutto, evita di meditare. Per questo è in declino la filosofia, esercizio del pensare, porre domande diverse dalle FAQ, cercare risposte, rintracciare significati. In più, la filosofia ha il torto di “non servire”, quindi è disprezzata dall’homo consumens; inoltre utilizza e inventa molte parole, i “significanti”, ciascuno diverso dall’altro, per esprimere compiutamente distinti stati d’animo, idee, sensibilità, risvolti e sfumature, che hanno bisogno di un lessico ricco e preciso. L’odierna ignoranza soddisfatta predilige la risposta rapida – Quick response, QR, il codice digitale simile a una macchia.
Di riduzione in riduzione, domina l’abstract, il compendio semplificatorio. Perché leggere l’Amleto o la Divina Commedia? Meglio un riassunto, possibilmente entro le centoquaranta battute di un “cinguettio”. La prova? Ecco un tweet sui Promessi Sposi: “il matrimonio di una coppia etero di contadini è avversato da un nobile. Nonostante guai e peste, alla fine si sposano.” Tutti abbiamo fretta, ma non si impara né si comprende se non con pazienza e costanza. Molti contenuti in rete, anche su temi complessi, hanno in epigrafe il tempo di lettura, quasi le scuse preventive per far “perdere tempo” al lettore.
Perdere tempo, ecco un mantra contemporaneo: l’analfabeta ha sempre fretta, non può essere importunato con complicazioni, riflessioni, pensieri diversi dall’attimo. Egli sa già tutto quello che “serve”, per il resto c’è lo smartphone, la persona elettronica che lo ha sostituito. Basta una ricerca su Google – rigorosamente limitata alla prima pagina – ed ecco la soluzione, la conoscenza illimitata. Il nome del colosso di Mountain View deriva da Googol, termine che indica un numero pari a dieci alla centesima potenza, la cifra corrispondente a uno seguito da cento zeri. Chi se ne frega, ciò che conta è che, con un tocco sullo schermo, saprò qualsiasi cosa mi interessi, risolverò ogni problema, con un tempo di risposta (il nuovo significato di “latenza”) pressoché impercettibile.
Pazienza se non uso più la memoria, se non ragiono, se non cerco più, nei file dell’intelletto, le risposte alle domande e tantomeno impegno la riflessione, stimolo la ricerca, il pensiero meditante, cioè giudicante. Non è per caso che l’homo sapiens occidentale sta perdendo intelligenza: diminuisce il nostro Q.I. di circa mezzo punto all’anno. Diventiamo più stupidi e più ignoranti, allo stesso ritmo con cui dimentichiamo parole e concetti e non sappiamo più esprimere la complessità dell’animo.
Non perdiamo però nulla in supponenza e loquacità, supportate da una credulità inversamente proporzionale alla conoscenza. Detestiamo i maestri e più ancora chi esprime dubbi sulla “versione di Barney” obbligatoria. Siamo tornati alla caverna di Platone, ombre scambiate per realtà. Sconcerta la convinzione di avere capito tutto, di vivere in un progresso continuo, il fastidio rancoroso con cui viene accolta qualsiasi obiezione o richiesta di spiegazione. Peggio ancora se si cerca di esprimere un concetto estraneo che revoca in dubbio certezze mai discusse nel foro interiore.
Correggi un saggio, recita un proverbio orientale, e questi diventerà più saggio. Correggi uno sciocco, e ti farai un nemico. Nulla è più terribile di un’ignoranza attiva, scriveva Goethe. Ed esibizionista, aggiungiamo noi. Si addice agli analfabeti loquaci una frase di Abramo Lincoln: meglio tacere e dare l’impressione di essere stupidi, piuttosto che aprire bocca e togliere ogni dubbio.

Roberto Pecchioli

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La sinistra atlantica

Messi in soffitta la lotta di classe, il marxismo e il conflitto servo-padrone, sulle piste della Scuola di Francoforte, la sinistra ha abbandonato le classi subalterne. Per niente rivoluzionarie, scoprì infastidito Adorno: vogliono semplicemente migliorare la loro condizione. Sono conservatrici e condividono con altri gruppi sociali la “personalità autoritaria” da estirpare. Marcuse immaginò la “liberazione” – concetto omnibus assai caro alla sinistra, che diffida delle libertà concrete e le odia – nella forma della sessualizzazione della vita, del vivere esperienze (diventate dipendenze) di ogni tipo senza limiti o vincoli etici, della negazione fine a se stessa. La porta era aperta per l’uomo a una dimensione, il cui esito è il pensiero negativo, il transito verso il soggettivismo e il nichilismo. La trionfante cultura della cancellazione, l’odio di sé che pervade l’Occidente che si spoglia di sé, è l’inveramento del “grande rifiuto”, il vangelo ateo imposto da Marcuse.
L’intellettuale e politico comunista Gyorgy Lùcacs definì un abisso l’esperienza francofortese. “Vissero in una lussuosa suite del metaforico Grand Hotel Abyss, dal quale potevano dedicarsi a contemplare il vuoto che si apriva sotto di loro, la crisi della modernità che stavano accelerando, seduti in comode poltrone tra pasti eccellenti e intrattenimenti artistici”.
Il cambiamento senza fine oscura la visuale. Ad esempio impedisce la vedere l’abisso di sorveglianza totalitaria dell’abolizione del denaro contante, di cui la sinistra è sfegatata sostenitrice, in nome di falsità, come la lotta all’evasione fiscale. La presbiopia progressista impedisce di vedere le grandi evasioni fiscali – società finanziarie, fondi, giganti della tecnologia – concentrando il rancore e l’invidia sociale contro artigiani e professionisti. La sinistra, custode del positivismo giuridico, proclama le “regole” ma nei fatti smantella la presunzione di innocenza, architrave del diritto, per compiacere il femminismo più radicale. “Io ti credo, sorella”, gridano contro la violenza sessuale, un crimine odioso che tuttavia non può portare a condanne senza prove. In Spagna, per il reato di lesioni con uguale prognosi, l’imputato maschio subisce una condanna doppia rispetto alla donna. Si cominciano a richiedere ricusazioni dei giudici sospettati di non credere nella “prospettiva di genere”. Sarebbe ridicolo se non fosse drammatico.

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Non avrai nulla e sarai felice

Oggi, in una notte del mondo in cui reale e virtuale, vero e falso, tendono a confondersi, esperienza e finzione, sogno e labirinto si intrecciano e plasmano un’umanità irriconoscibile.
Il nomade non è interessato alla proprietà, tanto meno alla stabilità; la sua identità mobile è fortissima benché “sui generis”. Egli reca con sé ogni cosa che gli appartiene fintanto che gli è utile: il gregge che lo sostenta, la tenda che lo protegge nel riposo. Ha pochi ricordi, nel senso che noi attribuiamo al termine. La sua meta è il viaggio. Così ci sta trasformando la postmodernità. Viviamo di emozioni, pulsioni, esperienze. La necessità più viva è essere sorpresi: per questo abbiamo bisogno di continue novità. Fintanto che il sistema riuscirà a provvederci di emozioni, saremo alla sua mercé, schiavi alla ricerca di lampi di felicità. Legati, inevitabilmente, alle “non cose”. Accoglieremo con soddisfazione una vita a nolo. Automobile in affitto, case abitate a giorni: il mondo di Uber e Airbnb. Accetteremo rapporti umani strumentali, sempre più veloci per la noia che incombe.
Essenziale resterà la relazione con gli apparati artificiali, specie lo smartphone, porta dell’infinito virtuale, l’unica proprietà che difenderemo gelosamente sino all’uscita del modello successivo, più rapido, più performante, soprattutto più simbolico. I simboli sono “non cose”. Ci leghiamo a d essi, non più agli oggetti della nostra vita. Libri, suppellettili, perfino abiti e gioielli, l’automobile, la casa e la terra, quelli che chiamiamo ricordi e hanno conferito senso e continuità alle nostre vite, sono legami, dunque pesi inattuali, orpelli di cui disfarsi sull’altare delle esperienze.
La libertà a cui aspira l’uomo-cifra è quella del consumo, immediato, costante, illimitato. L’economia dell’esperienza sostituisce l’economia delle cose. Perciò accettiamo e più ancora accetteremo una vita fatta di puntini, di scoppi di adrenalina, ossia di esperienze, desideri, stimoli sempre nuovi. Un moto perpetuo che finirà per estenuare. Jeremy Rifkin fu il primo a cogliere un salto cruciale: viviamo l’era dell’accesso, il concetto chiave della contemporaneità. Lorsignori ci obbligano alla connessione continua, all’ibridazione con gli apparati, a inseguire ogni mutamento, da abbandonare una volta “esperito”. Il cyberuomo non darà importanza al possesso e alla proprietà: il mondo fondato sull’accesso genera un’umanità del tutto diversa.
La lezione di Rifkin è stata recepita ai livelli più alti, che lavorano attivamente per espropriarci di tutto, a partire dalla nostra mente, per tenerci in pugno attraverso le “non cose”. Identità significa innanzitutto duratura relazione con persone, cose, luoghi; il possesso è per natura stabile, si fonda sulla persistenza. Nulla di più estraneo alla dromocrazia (dominio della velocità), al “tempo reale”. La nuova identità è fluida, mutevole, a partire dagli istinti sessuali e dalla percezione di sé. Fatica a immaginare qualsiasi cosa sia “per sempre”.
Ancor meno riconosce l’idea di trasmissione, il lascito che riceviamo e consegniamo alle generazioni successive. Tutti concetti legati alla stabilità, alla categoria di creatura stanziale che l’homo sapiens ha cucito su se stesso. L’uomo digitale non vuole storia e fa a meno della memoria. Vacilla l’idea di cultura, che è accumulo, deposito nel tempo e nello spazio di conoscenze e costumi che oltrepassano gli individui. La cultura trae origine nella comunità. Mercificata, commercializzata, munita del cartellino del prezzo, perde valore e distrugge la comunità, sostituita dalla community.
Tutto ciò inquieta, come la scarsa percezione delle modifiche antropologiche in atto, in attesa del salto ontologico, il passaggio al transumano. La finestra di Overton si spalanca nella direzione dell’uomo – il faustiano Homunculus forgiato dalle officine globaliste – che non ha nulla, dopo aver accettato con apparente indifferenza di non essere nulla. Sarà felice per un po’, di una soddisfazione animale e provvisoria, bisognosa di continue scosse. Poi scoppierà e rivorrà la scintilla divina che si è lasciato estirpare collaborando all’esproprio.
Tornare umani, tornare al reale, rigettare il virtuale, l’illusione fabbricata, la vita a noleggio, il nomadismo interiore e materiale, passerà, temiamo, per esperienze terribili. L’uomo ritroverà la sete di infinito, riprenderà a guardare in alto, a voler essere e voler avere. Ulisse tornerà a Itaca, ma troverà qualcuno ad aspettarlo?

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