La colpa

Fonte: Andrea Zhok

L’altroieri l’amico Giorgio Bianchi doveva parlare presso un Istituto Tecnico milanese (che non nomino per carità di patria) dove era stato invitato.
E’ accaduto che, prima dell’incontro, 50 docenti dell’istituto abbiano firmato un documento per chiedere che l’incontro stesso non avesse luogo.
Nonostante ciò l’evento programmato si è tenuto egualmente, tuttavia ad esso hanno partecipato soltanto due classi, mentre l’incontro veniva funestato da “incidenti tecnici” (blackout, impossibilità di usare l’amplificazione, – cose che – a detta di un docente – non erano mai avvenute prima).
Durante l’evento i docenti presenti (si suppone inclusi quelli che avevano espresso la propria censura) si sono limitati a criticare nelle retrovie, guardandosi bene dall’intervenire pubblicamente.
Ecco, il quadro che qui emerge è un’immagine abbastanza rappresentativa della società e cultura italiana odierna.
Essa si presenta come caratterizzata da tre fattori dominanti:
1) il più assoluto conformismo: ci si informa su cosa è permesso pensare e cosa no da canali sorvegliati e bollinati dal padrone di turno, politico o economico;
2) l’impreparazione più totale sia in termini di formazione che informazione, che non mette in grado davvero di affrontare mai discussioni nel merito (quando lo si fa ci si limita alla retorica e agli attacchi personali);
3) il desiderio di far tacere ogni voce dissenziente o eccentrica attraverso un fuoco di sbarramento a priori.
A guidare la formazione (docenti) e l’informazione (giornalisti) sono oggi con rimarchevole frequenza personaggi privi di qualunque formazione o informazione che non sia stata accuratamente fltrata e manipolata, e simultaneamente privi di ogni coraggio intellettuale, quel coraggio che anche a fronte della disinformazione consentirebbe di ampliare l’orizzonte e di accedere, magari per gradi, ad una visione critica.
Di fronte ad una potenza di fuoco come quella mediatica odierna – con la sua ulteriore capacità di innalzare a modelli culturali e intellettuali delle figurine di pongo – ogni cittadino può trovarsi in una posizione di sviamento e accecamento.
E’ una disgrazia, ma non è ancora una colpa.
La colpa, la tara morale, emerge però nel debordante conformismo censorio, quell’atteggiamento che non solo cerca sempre soltanto di incistarsi  – allineati e coperti – sotto l’ombrello del potere di turno, ma che soccombe al terrore, incapace di reggere alcuna verità inattesa, e che perciò si sbraccia e sforza in tutti i modi per censurare gli altri, per denigrare, per impedire ad ogni difformità non prefiltrata di venire alla luce.
L’ignoranza non è una colpa, non necessariamente; la disinformazione non è una colpa, non necessariamente; ma la vigliaccheria che si erge a censura, questa sì che è una colpa, una colpa imperdonabile per chi di mestiere forma le menti altrui.

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/la-vigliaccheria

Razzismo

Di fronte a una refrattarietà al vaccino che viene presentata come una sorta di follia, una pazza e irrazionale sfiducia nella Scienza, si moltiplicano le descrizioni dei No Vax come un gruppo a parte. Come si sente risuonare in molte parole anche ai massimi livelli, essi non sono più cittadini come gli altri. Troviamo sui giornali “identikit dei No Vax” dove si va da condanne morali (egoisti) e peana sulla loro ignoranza, ad esplicite istanze di psichiatrizzazione.
Quest’ultimo passo è particolarmente significativo: trattando il soggetto dissenziente come un soggetto da indagare sotto il profilo della terapia psicologica o della psichiatria, ora esso non è più considerato una persona autonoma, ma diventa un oggetto di studio, non è più un soggetto mosso dalle proprie ragioni, ma un oggetto che reagisce a cause interne, da disinnescare. Nella concettualità moderna, questa è la mossa finale nella costruzione di un gruppo destinato a divenire un capro espiatorio: i suoi partecipanti vengono separati dall’umanità ordinaria, vengono disumanizzati. O vengono disumanizzati in termini morali (si sprecano le invettive, le espressioni di disgusto, le minacce anche da parte di personaggi prominenti), o vengono disumanizzati in termini mentali (non sono davvero padroni delle proprie azioni, ma vittime di pulsioni oscure, pregiudizi o distorsioni cognitive; sono malati che non sanno di saperlo e che, a maggior ragione, meritano un trattamento sanitario obbligatorio.)
Le analogie di questa dinamica psicologica con eventi drammatici del ventesimo secolo, eventi che ritenevamo superati per sempre, è sorprendente, come è sorprendente che gente che fa a gara a darsi reciprocamente medaglie di antifascismo non lo veda minimamente. È ovvio che contesti e premesse sono diverse, lo sono sempre, visto che la storia non si ripete mai identica. Però questo non deve distogliere lo sguardo dalle analogie. Quando in questi casi sento brandeggiare l’argomento che in quei tempi bui si parlava di pregiudizi irrazionali, come il “razzismo”, mentre oggi è la Scienza a parlare contro l’Irrazionalità, non posso che ricordare sommessamente che il “Manifesto della Razza” del 1938 venne firmato da alcuni tra i più eminenti scienziati dell’epoca, che nelle università c’erano cattedre di “scienze della razza”, e che il “razzismo scientifico” è scomparso solo con gli esiti della seconda guerra mondiale.

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/identikit-del-no-vax-o-del-come-costruire-un-capro-espiatorio

Neo Lingua

Dovremmo essere stanchi di una neo lingua a cui si deve gran parte del vuoto che ci circonda, piena di parole vuote, prive di una semantica, generiche, vaghe e vacue che hanno prima depistato, durante gli ’80 e ’90 svalutando il linguaggio della politica e dell’ideazione sociale e poi disabituato le menti al pensiero fornendo semplicemente delle formule che lo simulano. E’ proprio su questa base di primitivizzazione del linguaggio, ridotto a segnali poco specifici e quasi agrammaticali i quali esonerano dalla necessità di analizzare e distinguere che si deve gran parte della difficoltà nel comprendere il mondo che ci circonda al di là delle formule che vengono fornite come istruzione per l’uso della vita di ciascuno. Che poi gran parte di questa neolingua si fondi sull’inglese è ovvio per via dell’egemonia culturale, ma anche naturale trattandosi del sistema linguistico più ridotto ed elementare di tutta l’area indoeuropea. Anzi alcuni linguisti non lo classificano nel novero delle lingue flessive. Basta leggere qualcosa in rete o semplicemente guardare la televisione spazzatura, quindi la quasi totalità di essa, per rendersi conto che con una trentina di parolette tipo wow, smart, strong, outfit, look, fusion, anni 80, e via dicendo si può costruire tutta un’epopea del vuoto quotidiano. Non si tratta di un linguaggio povero, si tratta in realtà di un non linguaggio, di un sistema di segni che in sé non consente nessuna comprensione del mondo così come non si può costruire né una filosofia né una letteratura basandosi sui segnali stradali. Ecco perché le persone non riescono a comprendere ciò che accade loro e questo è tanto più vero quanto più cresce il livello nominale di acculturazione perché generalmente questo consente una migliore separazione dal reale e dalla fatica quotidiana. Dico nominale perché spesso abissi di inimmaginabile ignoranza sono nascosti dietro manufatti parolai prefabbricati. Il fatto stesso che sia così’ difficile far comprendere l’importanza del linguaggio nell’ideazione, nella lotta e nell’opposizione, ma più basilarmente nella comprensione del mondo, è proprio dovuto alla mancanza di una “lingua” capace di esprimerla.

leggi tutto su https://ilsimplicissimus2.com/2021/07/24/green-pass-vergogna153313

Il ministero della wiki-verità

Questo piccolo casino è stato portato alla mia attenzione dall’esperto di Wikipedia della Consent Factory, King Ubu (o König Ubu in tedesco). Come suggerisce il nome del suo mestiere, il dovere di re Ubu è quello di controllare periodicamente la mia pagina di Wikipedia e assicurarsi che nessuno vi abbia pubblicato nulla di falso, diffamatorio o semplicemente strano. Naturalmente, quando ha visto come i ministri della Wiki-Verità stavano punitivamente “modificando” la mia pagina con la scusa della “neutralità”, ha tentato di contattarli. Il tentativo non è andato bene. Non voglio annoiarvi con tutti i dettagli cruenti, ma, se siete curiosi, sono qui sulla pagina “talk” CJ Hopkins  (che re Ubu riferisce di avere copiato e archiviato, cosa che trovo un po’ paranoica, ma in fondo non sono un esperto di tecnologia informatica).Guardate, normalmente non vi annoierei con le mie questioni personali, ma il mio caso è solo l’ennesimo esempio di come la “realtà” venga manipolata al giorno d’oggi. Nei circoli anti-establishment in cui mi muovo, Wikipedia è nota per questo genere di cose, e se ci pensate non c’è nulla di cui stupirsi. È una piattaforma perfetta per manipolare la realtà, diffondere la propaganda pro-establishment e danneggiare la reputazione delle persone, una tattica piuttosto popolare ai nostri giorni. Il punto è che, quando si cerca qualcosa su Google, Wikipedia è di solito il primo risultato che si trova. La maggior parte delle persone pensa che quello che leggono sulla piattaforma è, in linea di principio, basato su fatti e tenta quanto meno di essere “oggettivo”… e molto di quello che c’è scritto in effetti lo è, ma molto altro no.Se il nome “Philip Cross” non vi ricorda nulla, forse dovreste dare un’occhiata alla sua storia prima di consultare acriticamente Wikipedia. Al 14 maggio 2018 (quando Five Filters ha pubblicato questo articolo su di lui e il suo servizio presso il ministero della Wiki-Verità), Cross aveva modificato Wikipedia per cinque anni consecutivi, tutti i giorni della settimana, incluso Natale. Cross (ammesso che sia una persona vera e non un complotto di un servizio di intelligence) è specializzato nel modificare maliziosamente gli articoli che riguardano gli attivisti pacifisti e altre persone anti-establishment. La storia è troppo lunga per raccontarla qui, ma date un’occhiata a quest’altro articolo di Five Filters. Se siete interessati, questo è un buon punto di partenza.Oppure, se non avete tempo per farlo, continuate a leggere e usate il mio caso come esempio.Ora, secondo Ubu, la modifica punitiva della mia pagina da parte del Ministero, in modo da renderla più “neutrale” è cominciata quando questo specifico Ministro (“Greyfell”) ha scoperto che (a) esistevo e (b) ero un eretico di sinistra. “Grayfell”, a quanto pare, è estremamente interessato a mantenere un’immagine positiva degli Antifa, la cui voce su Wikipedia modifica attivamente, e il cui onore e integrità difende valorosamente, non solo da conservatori e stupidi neofascisti, ma apparentemente anche da nefasti autori di sinistra e autori di satira politica come me.

estratto da http://vocidallestero.it/2019/11/08/il-ministero-della-wiki-verita/
J. C. Hopkins è un pluripremiato drammaturgo, romanziere e autore satirico politico americano, che vive a Berlino. Le sue opere sono pubblicate da Bloomsbury Publishing (Regno Unito) e Broadway Play Publishing (USA). Il suo romanzo di debutto, Zona 23, è pubblicato da Snoggsworthy, Swaine & Cormorant Paperbacks. Può essere contattato presso cjhopkins.com o consentfactory.org.

Il miglior schiavo

Il quadro politico-culturale italiano, specchio peraltro di quello occidentale, è sempre più desolante.
Esiste una potente macchina di fabbricazione del consenso che sta cercando di livellare ogni divergenza cognitiva per costringerla dentro la cornice del pensiero unico.
I padroni del discorso controllano quasi tutto, e da tempo stanno cercando di controllare, dietro virtuosi pretesti, anche l’ultima ridotta dell’informazione divergente, la rete.
Ennesimo e ultimo tentativo in ordine di tempo: l’iniziativa di pochi giorni fa – auspice la senatrice Liliana Segre – che istituisce una commissione parlamentare per identificare e contrastare in rete gli hate-speech e le fake-news. Ovvero, tradotto in mandarino, i discorsi d’odio e le notizie fraudolente.
L’aura morale che circonda la Segre, scampata alla Shoah, ha lasciato ben poco spazio alla possibilità di obiezioni ragionevoli contro una misura di per sé ambigua, foriera – se portata a coerenti conseguenze – di mordacchie varie e pesanti alla libertà di espressione.
La quale peraltro è regolamentata da dispositivi legali (la querela per diffamazione o ingiurie) che già le impongono una certa autoregolamentazione.
C’è un problema di anonimato, è vero, ma i commenti anonimi (quelli di coloro che si nascondo dietro pseudonimi) dovrebbero essere trattati alla stessa stregua delle lettere anonime; e in ogni caso sarebbero più opportune misure che evitino l’anonimato in rete, così che ognuno si assuma la responsabilità di ciò che scrive e si conceda un attimo di riflessione prima di scriverlo.
La verità è che i veri diffonditori seriali di notizie fraudolente sono proprio i media ufficiali, TV e giornali.
L’elenco degli esempi è lungo, anche solo a limitarci al primo scorcio di questo secolo, e le conseguenze sono state e sono sotto gli occhi di chiunque voglia vedere: milioni di morti, paesi devastati, atrocità (vedi tra l’altro alle voci Iraq, Libia, Siria, Afghanistan, Yemen…).
Non mi risulta che la propalazione in rete dell’allarme per le scie chimiche o altre amenità sia mai stata altrettanto letale. Eppure, fra coloro che si preoccupano della salute mentale degli internauti, nessuno che denunci la più grave questione della manipolazione operata dall’informazione di sistema.
Sentivo ieri in TV, ancora una volta, parlare dei tentativi russi di influenzare il voto in Occidente, tema che riemerge immancabilmente alla vigilia o all’indomani di elezioni.
A fronte di questa ipotetica e mai provata attività, non ho mai visto nessuno scandalizzarsi per le ingerenze americane, quelle sì concrete, conclamate e grevi: Obama che appoggia Renzi a proposito del referendum sulla riforma costituzionale, o sostiene i bremainer contro i brexiter, o ancora foraggia la rivoluzione colorata ucraina; Trump che invita Farage ad allearsi con Johnson, contro il partito del bremainer e per evitare che Corbyn instauri il “socialismo” in UK…
Sono discrasie non ascrivibili a psicopatologie intellettive ma a precisi disegni di pesante orientamento della consapevolezza popolare. Il Sistema sa bene che nei limiti del possibile è sempre più economica ed efficiente la manipolazione cognitiva che la costrizione fisica.
Parafrasando Goethe: per il Sistema non esiste miglior schiavo di chi si ritiene libero senza esserlo.

Mauro Poggi

in https://mauropoggi.wordpress.com/2019/11/03/il-miglior-schiavo/

Il nemico

Purtroppo siamo vittime di una concezione agonistica della società (infatti la politica è piena di metafore sportive (nel senso deteriore del termine).

I politici stessi la incoraggiano perché per loro è il modo più facile di eludere i problemi e ottenere consensi.

Come fa sempre rilevare Noam Chomsky, si guardano bene però dall’affrontare il problema di fondo: lo sfruttamento dell’uomo e della natura a fini di profitto.

Questo per dire che (pagando) abbiamo fatto togliere la pubblicità che è la principale forma di distrazione e di propaganda.

Ringraziando il centinaio di lettori che ci ha seguito finora, auguriamo a tutti buona lettura!

 

Stratagemmi dialettici

Torna d’attualità l’eristica di Schopenhauer, la dialettica come stratagemma. Per usare il lessico del pensatore prussiano, capirne i meccanismi è squarciare il velo di Maya, “il velo ingannatore che avvolge gli occhi dei mortali”. La lettura dei suoi 38 stratagemmi dialettici è un istruttivo disvelamento di ciò che ascoltiamo ogni giorno da politici, pubblicitari, imbonitori, persuasori di ogni risma, con l’avvertenza che, secondo il pensatore tedesco, la dialettica non si occupa della verità oggettiva, riservata alla logica, ma è semplicemente l’arte di ottenere ragione. Compito del sapiente è quindi presentare e analizzare gli inganni della slealtà, “affinché nelle dispute reali li si riconosca e li si annienti subito”.

Diventa facile scoprire quante volte siamo sviati, coscientemente ingannati, dall’azione di chi porta l’affermazione avversa fuori dai suoi limiti, per esagerarla o estenderla oltre il suo significato, addirittura universalizzarla o intenderla sotto tutt’altro aspetto per meglio confutarla. Ci si può servire di premesse false per dimostrare la propria tesi, incalzare con domande continue per confondere l’avversario e trarre le conclusioni dalle stesse affermazioni della controparte, il metodo socratico privato della ricerca morale della verità.

Tutti espedienti che il lettore si accorge di aver subìto in innumerevoli occasioni, come lo stratagemma comunissimo di provocare a freddo l’ira dell’avversario per screditarlo e provocarne le reazioni inconsulte. E’ una strategia di cui si serve il potere culturale, largamente utilizzata nell’imposizione del linguaggio politicamente corretto, che sceglie i termini con cui designare le idee, le cose, i principi. Si introduce nel significato ciò che si vuole dimostrare, in senso favorevole o contrario. L’oratore tradisce la sua intenzione nei nomi che dà alle cose, in base all’orientamento e all’obiettivo che si prefigge.

Per Schopenhauer, funziona egregiamente l’impertinenza, specie se l’avversario è timido, più ancora la contraddizione, vera o presunta, imputata all’avversario, che può precipitare nell’ira. Lo stratagemma numero 18, assai utilizzato, invita a interrompere il discorso altrui quando se ne intravvede la fondatezza. Il suo corollario è rigirare la frittata, ovvero la diversione, andare fuori tema per sviare il discorso. Poi c’è il sofisma, che Schopenhauer consiglia di non controbattere, ma di assecondare ricorrendo a un contro argomento altrettanto sofistico e apparente. E’ buona norma esagerare la tesi avversa e trarne false conseguenze. Un tiro brillante è ritorcere contro il rivale l’argomento utilizzato.

Il momento più atteso dal sofista è quello dell’ira suscitata da un’affermazione. E’ il segno che l’avversario vacilla, dunque occorre non dargli tregua. Se si ritiene di avere dinanzi un pubblico poco colto il miglior partito è di avanzare obiezioni che destino l’ilarità dei presenti. Si raccomanda la petizione dell’autorità di uomini illustri, giacché, nota Schopenhauer “la gente ha rispetto per gli esperti di ogni genere”. Le loro tesi, se riusciamo a convincere che sono universalmente accettate, fanno un grande effetto sulle masse, “pecore che vanno dietro al montone dovunque le conduca”.

Questo è un punto su cui riflettere, poiché chi detiene il potere culturale e mediatico è padrone delle parole. Diventa difficilissimo attribuire a termini quali democrazia, libertà, progresso, tolleranza, razzismo, significati diversi da quelli comuni in un certo contesto e periodo storico. I molti, capì Platone, hanno molte opinioni, ma solo alcuni sono in grado di distinguere, discernere. “Io lo dico, tu lo dici, ma alla fine lo dice anche quello. Dopo che lo si è detto tante volte, altro non vedi se non ciò che è stato detto”, è il motto che Goethe pose in esergo alla Teoria dei Colori. La ripetizione di una menzogna può trasformarla in verità.

Un altro espediente che sperimentiamo quotidianamente consiste nel ricondurre il discorso avverso a categorie odiate o screditate, il che consente di non aprire neppure il dibattito. Quell’opinione è “fascista”, “comunista”, “reazionaria” a seconda del bersaglio da colpire. Non ci preoccupiamo troppo, quindi, quando l’attacco verte su queste pregiudiziali: è il segnale che temono il dibattito e intendono spegnerlo con le accuse che Leo Strauss chiamò “reductio ad Hitlerum”, ossia inserire l’antagonista nel novero di chi non è degno di aprire bocca. L’ultimo e definitivo stratagemma è ricorrere all’insulto. E’ la risorsa di sa di avere torto o è in difficoltà. Diventando insolenti, perfidi, oltraggiosi, grossolani, si fa appello alle forze dell’animalità e si colpisce nella vanità e nell’istinto. Gli esempi non mancano.

Schopenhauer si spoglia alla fine dei panni del manualista scettico e torna il pensatore provvisto di senso morale. Consapevole che la volontà di averla vinta, la brama e l’interesse di ottenere ragione non si fermano dinanzi alla menzogna, alla falsificazione e all’ingiuria, invita a discutere solo con chi ha abbastanza intelletto, ama la verità e sa ascoltare. Una vana pretesa nel mondo di Facebook, dei sondaggi d’opinione, di un’umanità persuasa di essere in grado di capire e decidere su tutto, folle che sono masse e mai popoli in cammino. La triste arte di averla vinta, cioè mentire ed ingannare è da sempre scienza comune di chi esercita o ambisce al potere. Nell’epoca della post verità, di masse che seguono “liberamente” il pastore e credono “consapevolmente” nel verbo di chi comanda, riecheggia il detto del cardinale Carafa: il popolo vuole essere ingannato, quindi che sia ingannato. ROBERTO PECCHIOLI

L’articolo L’ARTE DI AVERLA VINTA (impararla dai radicali) proviene da Blondet & Friends.

Di chi possiamo fidarci?

Da quando giornali e TV hanno perso il monopolio dell’informazione è un fiorire di esperti che si affannano a spiegarci quale sia il nostro bene (ma soprattutto, come nel caso del libro in questione) a diffidare di quanto possiamo leggere su Internet.

Poi però a pagina 86 del medesimo leggiamo:

Nel migliore dei casi, l’università dovrebbe mirare a dare ai suoi laureati una formazione soddisfacente in una materia, la volontà di continuare ad apprendere per il resto della loro vita e la capacità di assume-re il proprio ruolo di cittadini capaci nella società. Invece per molti l’università è diventata, nelle parole di un laureato di un istituto californiano noto per la sua dissolutezza, “quei magici sette anni tra la scuola superiore e il tuo primo impiego da magazzinìere”. Il college non è più un passaggio alla cultura della maturità ma solo una tattica per ritardare l’inizio dell’età adulta; in alcuni casi, ciò vale tanto per il corpo docenti quanto per gli studenti.
Una parte del problema è che ci sono troppi studenti e per molti di loro l’università non è il posto giusto. Secondo la nuova cultura del-l’istruzione negli Stati Uniti, tutti sono in grado di andare al college e devono farlo. Questo cambiamento culturale è centrale per la fine della competenza, dal momento che con la proliferazione di corsi per soddisfare la domanda le scuole diventano diplomificì i cui titoli sono in realtà più indicativi, di un livello di apprendistato che di istruzione, due concetti profondamente diversi che si confondono sempre più nell’immaginario collettivo. Nei casi peggiori, i titoli non confermano né il livello di istruzione i né quello di formazione, bensì la partecipazione. Ridotti ai minimi termini, attestano solo il puntuale pagamento della retta.

La situazione italiana, anche in questo campo, si è rapidamente adeguata al modello americano , tanto che il ministro Paolo Savona, nel suo discorso di presentazione del DEF ha potuto dire:

Allora, credo che l’onorevole Brunetta e anche l’onorevole Padoan sappiano che se la disputa la facciamo sui modelli econometrici non ne usciamo più fuori. I modelli econometrici che dicono una cosa sono numericamente pari ai modelli econometrici che ne dicono un’altra. La battaglia non può avvenire sui modelli econometrici (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Lega-Salvini Premier) ovviamente rimbeccato da

IVAN SCALFAROTTO (PD). Ma cosa dice, Ministro, è una follia! (1)

Per farla breve le conclusioni rimangono quelle del post precedente: la costruzione di una identità richiede sicuramente un curriculum scolastico con solide basi umanistiche e una pratica politica sul territorio.


  1. https://www.maurizioblondet.it/paolo-savona-vi-spiego-la-bonta-del-def/

 

Chi comanda in Italia?

Ponte Morandi Genova

Nelle società democratiche, la funzione della stampa e delle reti radiotelevisive sarebbe appunto quella di fungere da contraltare al potere politico e a quello giudiziario, informare correttamente l’opinione pubblica ed evitare che decisioni importanti passino sopra le teste dei cittadini, senza che questi se ne rendano conto. Ebbene, quel che sta accadendo in Italia e in questa Europa fetente dei Soros e dei Juncker, è l’esatto contrario: giornali, radio e televisioni, tutti rigorosamente sul libro paga delle grandi banche e delle multinazionali, fanno di tutto perché il lavaggio del cervello dei cittadini sia completo, perché i popoli siano ridotti a una massa bruta di mucche da mungere senza pietà, e perché la loro umiliazione sia spinta fino a indurli a ringraziare i loro carnefici per le politiche spietate che li stanno massacrando, tagliando sempre più il costo del lavoro e importando nuovi schiavi negri da far lavorare per quattro euro al giorno al posto degli operai europei troppo sindacalizzarti, che hanno l’ardire di voler lavorare solo otto ore al giorno e di rifiutare persino il paterno bracciale elettronico, che l’azienda vorrebbe mettere loro al braccio per poterli seguire amorevolmente in tutte le incombenze della giornata. In una società democratica, quindi, l‘informazione, e specialmente quella pubblica, cioè le televisioni Stato, dovrebbero svolgere la funzione di dar voce a chi governa, e mostrare correttamente quel che sta facendo per il proprio Paese; e dar voce anche a chi è all’opposizione, affinché possa criticarlo e contestarlo, ma sempre nel rispetto della volontà popolare: che è, fino a prova contraria, quella uscita dalle urne. Ora, le urne il 4 marzo scorso hanno sancito che otto italiani su dieci non volevano più saperne di governi a guida Pd, che non erano d’accordo con le politiche della sinistra, che non erano d’accordo con la linea della neochiesa bergogliana dell’accoglienza indiscriminata. E invece che cosa fanno i mezzi d’informazione, praticamente al cento per cento? Danno voce e spazio all’opposizione, ma non danno né voce, né spazio a chi sta al governo; cioè a chi è stato votato da otto italiani su dieci (e che, se si tornasse a votare domani, prenderebbe ancora più voti, soprattutto la Lega, precisamente perché sta facendo le cose che sta facendo, e che sono, caso raro nella nostra tradizione politica, proprio le cose che si era impegnato a fare in campagna elettorale). Non si creda che le cose vadano molto diversamente nel resto del mondo. Nella madre di tutte le democrazie, gli Stati Uniti d’America, il presidente Trump, eletto regolarmente e con un netto margine di voti, subisce, fin dal giorno della sua elezione l’ostracismo generalizzato dei mass media, che lo dipingono come una specie di pazzo criminale e che fanno di tutto per delegittimarlo, per ridicolizzarlo, per ridurlo all’impotenza; fra le altre cose, danno il massimo risalto alle procedure per l’impeachment con cui i suoi avversari politici vorrebbero levarlo di mezzo per via giudiziaria. Non importa quel che dice Trump; non gli si concede spazio sulle reti televisive; importa solo quel che dicono i suoi più accesi detrattori. Noi, da parte nostra, paghiamo lo stipendio a giornalisti come Giovanna Botteri, che stanno a  New York per raccontarci non quel che accade negli Stati Uniti, ma quel che essi vorrebbero che accadesse, cioè la caduta ignominiosa di Trump, il suo processo, la sua condanna alla berlina, la distruzione del suo programma, la dissoluzione di ciò che egli rappresenta. Alla faccia del piccolo dettaglio che decine di milioni di cittadini americani lo hanno votato; e che lo hanno votato esattamente per fare quel che ora sta facendo, o sta cercando di fare. Oppure prendiamo la Francia. Qualcuno si ricorda che in quel Paese, pur di impedire che la volontà popolare mandasse al governo, pacificamente e democraticamente, la signora Le Pen, tutti gli altri partiti, d’accordo con le grandi banche, fecero una grande ammucchiata e tirarono fuori da qualche casa di cura psichiatrica il signorino Macron? Una cosa mai vista e mai udita in nessun Paese democratico: destra e sinistra che si uniscono per impedire il responso legale delle urne, per calpestare la volontà popolare. Almeno, fino a qualche anno fa, si badava a salvare le apparenze. Ma ora i poteri forti si sentono minacciati, e diventano feroci; mostrano i denti, e non per finta. Si preparano ad azzannare. Non sia mai che gli italiani abbiano l’impudenza di voler sapere, e perfino capire, come ha fatto il ponte Morandi a venir giù in quel modo; e chi e come, adesso, dovrà fare la relativa inchiesta. Non sia mai che vogliano sapere e capire come mai la Diciotti è andata a rimettersi, e a rimettere il nostro Paese, nella stessa identica situazione di un mese e mezzo fa, cioè sotto ricatto morale e con i riflettori di tutto il mondo puntati addosso, per vedere quanto cattivi saremmo stati con i poveri profughi. Non sia mai che i cattolici vogliano sapere e capire che ci fa in Vaticano un signore argentino il quale, oltre  ad aver protetto e coperto i peggiori predatori sessuali e i più abominevoli sodomiti che infangano, con la loro pestilenziale presenza, la Chiesa cattolica, sta demolendo scientemente, giorno per giorno, mese dopo mese, la dottrina e la morale  cattoliche. Infine, non sia mai che agli italiani venga il capriccio di sapere e capire chi comanda sul serio, qui…

estratto da http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/storia-e-identita/identita-delle-nazioni-sovrane/6680-chi-comanda-in-italia