Lo stato di eccezione

Gli stati moderni sono governati de facto da oligarchie finanziarie e dopo la breve stagione democratica del secondo dopoguerra ora stanno implementando forme di controllo di radicalità un tempo impensabili. 

Sul piano tecnologico e repressivo gli stati contemporanei sono oggi in grado di esercitare livelli di controllo storicamente inediti. 

L’unico limite all’esercizio di questo controllo, potenzialmente illimitato, è rappresentato dal guscio residuo dello “stato di diritto democratico”, che richiede qualche scusa pubblicamente spendibile per poter essere esercitato. 

La forma di questa scusa è il “richiamo alle armi” di fronte al “pericolo comune”. 

Sia la “guerra” che la “pandemia” sono istanziazioni classiche di tale “pericolo comune” illimitato, che richiede decisioni centrali inflessibili e indiscutibili “per il bene comune”, che ha legittimità a silenziare ogni richiesta e protesta, che ha il diritto di spezzare ogni volontà insufficientemente “responsabile”. Durante la pandemia abbiamo di fatto vissuto un assaggio di “legge marziale” ufficiosa. E credere che l’attuale guerra – in fase di progressiva escalation – sia vissuta come un problema da parte delle oligarchie economiche al potere è un patetico errore. Chiedersi di fronte alle marionette che ci governano “com’è possibile che non si rendano conto che ci portano sempre più in basso” presuppone ingenuamente che non ci vogliano in basso.

L’oggetto primo della pulsione capitalista è sì il denaro, ma in quanto potere, non in quanto “mezzo per il consumo”. Sono i morti di fame a pensare al denaro soprattutto come un mezzo per soddisfare desideri, per ottenere beni. Per i vertici del sistema il denaro è sempre disponibile in vasta eccedenza rispetto a qualunque consumo concepibile, mentre il suo ruolo effettivo consiste nell’assicurare gradi di influenza e potere. 

Tirando le somme, il quadro prevalente (almeno) in Occidente è il seguente: oligarchie finanziarie – abitate al loro stesso interno da gruppi leader – tirano le fila della politica in vista di una forma di controllo e indirizzo centrale inedito nella storia precedente. Essi hanno l’interesse dominante a fomentare una condizione di “pericolo comune permanente”, che tolga di mezzo ogni opposizione, innanzitutto mentale. 

Qui la lezione di Orwell resta più lucida e attuale che mai: una condizione di guerra permanente è un desideratum fondamentale per le èlite mondiali. Si tratta di una condizione da cui possono trarre solo vantaggi in termini di potere e controllo, e come ricorda Orwell, il potere non ha bisogno di ulteriori motivazioni. Che ci sia o non ci sia un qualche ulteriore “piano complessivo” (“depopolamento”, “transumanesimo”, ecc.), questo è contendibile e inessenziale: probabilmente per alcuni c’è, per altri no. Su ciò ci possono essere divergenze. Ma sull’interesse nel mantenere un controllo assoluto, che metta al riparo questa nuova casta da ogni pericolo “eversivo”, da ogni minaccia alle proprie posizioni consolidate, su ciò la convergenza è assicurata. 

Ciò che il presente e il futuro ci riservano è una spinta continua, un rinfocolamento costante di una condizione di “guerra permanente”: guerra per procura o guerra sotto casa, guerra metaforica a qualche virus o guerra preventiva a qualche cataclisma incipiente. 

Questa è la forma del meccanismo storico in cui siamo entrati. 

E non illudiamoci: saperlo di per sé non ci rende meno succubi, deboli, impreparati o impotenti.

Andrea Zhok

Sulla questione del merito

Sulla questione del merito, tornata in voga in questi giorni, destra e sinistra fondano le rispettive posizioni sull’individuo e non, come invece va fatto, sulla comunità. L’obiettivo non dovrebbe infatti essere quello di elevare il singolo, ma quello di elevare la comunità, realizzando un sistema educativo e sociale capace di mettere i cittadini nelle condizioni migliori per creare valore aggiunto alla comunità, elevando la Patria.
Da un lato, c’è la destra, orientata giustamente alla valorizzazione di chi si contraddistingua per la capacità di mettere a frutto i propri talenti, con impegno e dedizione. Ma questa destra vorrebbe farlo senza rimuovere o limitare gli ostacoli economico-culturali che impediscono a chi nasca e cresca in condizioni oggettivamente inidonee alla sue propensioni innate – rispetto alle quali, come ci ha insegnato Platone, non c’è una necessaria corrispondenza tra genitori e figli – di esprimere le proprie potenzialità.
Dall’altro, c’è la sinistra, orientata giustamente a rimuovere le disuguaglianze a monte, le condizioni di iniquità oggettive che, a seconda della estrazione socio-economico-culturale, quindi anche territoriale, in una parola di ambiente, penalizzano o premiano il singolo in maniera aprioristica, quindi ingiusta. Ma questa sinistra vorrebbe farlo eliminando la gerarchia di qualunque ordine e grado, cioè livellando verso il basso la comunità, soffocando i talenti, quali che siano a seconda degli ambiti, secondo la logica – altrettanto iniqua – del sei politico.
A ciò una postilla: leggo, da una parte e dall’altra, che la madre delle questioni sarebbe l’elevazione culturale del singolo, la quale passerebbe attraverso un’istruzione necessariamente teoretico-intellettuale. Ma perché mai si dovrebbe, ad esempio, soffocare il talento di chi abbia una propensione per la manualità e scarsa attitudine all’astrazione, costringendolo a sgobbare sui libri?
L’obiettivo di una società equa e con una corretta gerarchia sociale, non è quello di realizzare una società di intellettuali, per usare un’iperbole, ma quello di mettere ciascuno nelle condizioni migliori – e non mi parlate delle borse di studio, l’equivalente di un cerotto per arrestare l’emorragia di un’arteria – per esprimere le proprie potenzialità a beneficio di sé e, soprattutto, della comunità.

Davide d’Iintino inhttps://www.ariannaeditrice.it/articoli/sulla-questione-del-merito

Civilizzatori

Per quello che riguarda la politica degli Stati gli anglosassoni da sempre questi rivendicano un ruolo di leader del mondo e di “civilizzatori” a cui spetta di guidare gli altri paesi verso un modello che è essenzialmente il loro ed imporre quindi le loro regole. Un modello incompatibile con altre forme di civiltà e di cultura per quanto siano millenarie.
Nel contesto geopolitico attuale, l’affermazione di Blinken è collegata al conflitto russo-ucraino e alla crisi dei rapporti tra Cina e Taiwan, così dicono, che a loro spetta dirimere i conflitti anche se sono stati loro stessi ad istigarli ed a loro compete di imporre la “Pax americana” sulla base degli interessi strategici di Washigton.
Tuttavia, si potrebbe ricordare che la Cina come civiltà, possiede una propria ontologia, che ha più di mille anni e si basa su una visione opposta che è quella della tradizione confuciana. Dall’altra parte dell’Eurasia, in modo simile la Russia, con la sua visione spirituale ordodossa del mondo, fatta propria da presidente Putin e dal suo enturage, si dimostra del tutto incompatibile con la ideologia massonica e la mentalità primatista anglosassone. Non per nulla la contrapposizione fra Occidente e Russia non è soltanto di carattere geopolitico ma anche di carattere ideologico e morale.
In netto contrasto con la visione anglosassone, Putin, nei suoi discorsi, ha esaltato la tradizione spirituale della Santa Madre Russia toccando concetti di ordine morale e storico, menzionando l’attitudine neocolonialista dell’Occidente e sua pretesa (tipicamete anglosassone) di voler imporre il suo modello e dettare le regole al resto del mondo, senza averne diritto.
Attualmente esiste una lotta fra queste visioni ontologiche. La stessa ontologia anglosassone è superata e non corrisponde al momento strategico attuale. Tuttvia sfruttando il vantaggio competitivo nel controllo dei canali di informazione, gli Stati Uniti e l’Occidente che si è unito a loro stanno cercando di capovolgere il buon senso. È in questo modo che riescono a prolungare per qualche tempo l’agonia dell’ideologia primatista anglosassone, spacciata per “democrazia” quando in realtà si riferisce all’egemonia elitario-liberale degli Stati Uniti.
Quello che emerge dagli avvenimenti attuali è il chiaro rifiuto a questa visione che viene opposto dalla gran parte dei paesi del mondo. La “tutela” degli USA non è più gradita nè accettata nei grandi paesi emergenti che cercano un poprio percorso di sviluppo e di stabilità.
Presto gli statunitensi e i loro vassalli dovranno farsene una ragione.

Dottrine politiche

Fonte: Massimo Fini

Alcuni lettori e anche qualche mio fan, per così dire, personale mi chiedono come mai nel mezzo di una battaglia elettorale e di elezioni che si pretendono decisive per la democrazia e il suo stesso futuro io mi occupi invece di Afghanistan. Potrei rispondere, per dirla con Battiato, che “mi butta giù” dovermi occupare di personaggi come Carlo Calenda, Matteo Renzi, Matteo Salvini e persino di Silvio Berlusconi, un “delinquente naturale” come l’ha definito la nostra Magistratura condannandolo per una colossale evasione fiscale, una carriera malavitosa cui va aggiunta una ripugnante truffa ai danni di un’orfana minorenne di entrambi i genitori e altre imprese di questo tipo da cui s’è salvato godendo di nove prescrizioni. E che continua ad essere ancora oggi, a 85 anni, un perno della politica italiana.  Un fenomeno che non avrebbe diritto di cittadinanza in nessun altro Paese europeo. Ma sarebbe ingiusto perché in questa mischia furibonda sono coinvolte anche delle persone perbene e con tutti i titoli per governare il nostro Paese.
Il motivo è un altro: non credo alla democrazia rappresentativa (Sudditi. Manifesto contro la Democrazia). Credo solo alla democrazia diretta, quella immaginata del ginevrino Rousseau.
La democrazia esisteva quando non sapeva di essere democrazia. Nell’ancien régime l’assemblea del villaggio, formata da tutti i capifamiglia, in genere uomini ma anche donne se il marito era morto, decideva su tutto ciò che riguardava il villaggio. Scrive Albert  Soboul, uno dei maggiori storici degli anni che precedono e seguono la Rivoluzione Francese: “l’assemblea votava le spese e procedeva alle nomine; decideva della vendita, scambio e locazione dei boschi comuni, della riparazione della chiesa, del presbiterio, delle strade e dei ponti. Riscuoteva ‘au pied de la taille’ (cioè proporzionalmente) i canoni che alimentavano il bilancio comunale; poteva contrarre debiti ed iniziare processi; nominava, oltre i sindaci, il maestro di scuola, il pastore comunale, i guardiani di messi, gli assessori e i riscossori di taglia”(La società francese nella seconda metà del Settecento). Un’altra importante attribuzione l’assemblea l’aveva in materia di tasse reali, era infatti l’assemblea che ne fissava la ripartizione all’interno della comunità e la riscossione. Rigorose  e puntigliose erano anche le forme di partecipazione.  L’assemblea era convocata, almeno alla vigilia del giorno stabilito, dal sergente di giustizia o dal guardiano delle messi. Andava di porta in porta, di uscio in uscio. L’assemblea era anche annunciata alla predica della messa parrocchiale. In tutti i casi il tamburo e la campana chiamavano gli abitanti all’assemblea, che un sergente bandiva ancora, ad alta voce, all’uscita della messa o dei vespri. Sotto la presidenza del giudice locale, del sindaco o di un esperto che esponeva la questione all’ordine del giorno, l’assemblea deliberava, poi votava ad alta voce. L’assiduità era un dovere.
Certamente, se siamo in Francia, gli abitanti del villaggio non partecipavano alle decisioni che si prendevano a Versailles, ma le decisioni che si prendevamo a Versailles ci mettevano anni prima di arrivare al villaggio e nel frattempo i contadini decidevano per conto loro, per cui si può dire che l’assemblea del villaggio godeva di un’ampissima, e quasi totale, autonomia.
 Questo sistema, che era in uso non solo in Francia ma in buona parte dell’ Europa, e che aveva sempre funzionato benissimo, si incrinerà sotto la spinta degli interessi e anche della smania regolatrice della borghesia (smania che ci affligge ancor più oggi dove lo Stato è presente in quasi tutte le nostre attività).  Due anni prima della Rivoluzione francese un decreto Reale stabilisce che non è più l’assemblea del villaggio a decidere autonomamente ma elegge da 6 a 9 membri che prendono provvedimenti in suo nome. Era nata la tragedia della democrazia rappresentativa.

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/non-credo-alla-democrazia-rappresentativa

Adesso basta!

Fonte: Matteo Brandi

Basta, davvero, basta. Vi si possono dare tutte le attenuanti possibili, dalla propaganda martellante allo stato comatoso della scuola, ma adesso con le vostre reazioni isteriche vi meritereste un sonoro ceffone.
Siete la generazione più sfruttata e umiliata della Storia della Repubblica italiana. Avete un decimo delle possibilità dei vostri padri e devi vostri nonni di trovare un lavoro, comprare casa e vivere una vita dignitosa. Passate da uno stage all’altro, saltellando da un contratto a tempo determinato all’ennesimo lavoretto sottopagato. Dovreste schiumare di rabbia, dovreste essere pervasi da una voglia di riscatto enorme, e invece che fate? Strillate al fascismo perché Giorgia Meloni ha vinto le elezioni?
Vi rendete conto di come siano riusciti a farvi volgere lo sguardo verso una montagna di fesserie? State perdendo tempo ed energie, ogni giorno. Tempo ed energie che non torneranno più. Dovreste stare in piazza a reclamare salari dignitosi, politiche per il sociale, interventi sulla sanità e sul sistema scolastico. E invece pensate che la rivoluzione passi per un asterisco o uno schwa, ripetendo a pappagallo gli slogan imparati seguendo qualche prezzolato influencer su Tik Tok.
Bambini, è tempo di crescere. Basta seguire Fedez e la Ferragni! Basta informarvi su Breaking Italy e Cartoni Morti! Basta guardare il mondo da dietro le lenti colorate di Netflix e Amazon!
Piantatela di partecipare alla gara a chi si sente più offeso e discriminato, finitela con i piagnistei del politicamente corretto! Cosa c’è di giovane nell’accettare la censura? Volete davvero sapere cosa non ha “genere”? La disoccupazione non ha genere, la povertà non ha genere, il precariato non ha genere.
Invece di chiacchierare, letteralmente, del sesso degli angeli, dovreste preoccuparvi degli argomenti cruciali. Se c’è una deriva autoritaria in Italia è quella che avete sopportato fino ad adesso. Ed è una deriva a cui la Meloni aggiungerà l’ennesimo tassello, come i suoi predecessori. Chi ha ficcato il pareggio di bilancio in Costituzione trasformando lo Stato in una azienda? Chi ha approvato il Jobs Act e la legge Fornero? Chi ha piegato l’intero paese a vincoli di spesa nemici del benessere sociale? Dove siete stati in questi anni?
Siamo ad un passo da una guerra mondiale, l’Italia sta vivendo anni di stagnazione economica, un intero paradigma è sul punto di saltare in aria. E voi dovreste essere lì, sulla breccia, e non con la bandiera arcobaleno in mano, bensì con quella italiana. A rivendicare il vostro ruolo in questo momento storico, come protagonisti, non come spettatori e replicanti!
Invece molti di voi danno per scontato che dovranno andare all’estero per costruirsi un futuro, magari dopo essersi bevuti la storiella di quanto sia bello non avere radici ed essere insipidi cittadini del mondo. Vi vogliono deboli, vi vogliono arrendevoli e voi li accontantate. Perché?
Non sono le generazioni precedenti ad aver vissuto al di sopra delle loro possibilità, è la vostra a vivere al di sotto delle proprie. Questo è il grande crimine a cui state contribuendo con il vostro spaventoso convenzionalismo. Siete vittime e collaborazionisti in egual misura.
Avete due possibilità: o vi svegliate o verrete svegliati. Nel primo caso sarete in grado di cambiare il corso degli eventi, riscattando un’intera generazione. Nel secondo, statene certi, il risveglio che vi aspetta sarà parecchio doloroso.

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/basta-davvero-basta

Bocciati

Bocciati

Redazione

17 settembre 2022

Test di Medicina: boom di bocciati

Un plotone di bocciati. La metà degli studenti, che hanno affrontato il test di Medicina, non ha raccolto nemmeno il punteggio minimo, pari a 20. Il ministero dell’Università ha pubblicato i punteggi delle prove: alla fine, gli idonei sono stati 28.793 rispetto ai 38.715 dell’anno scorso. Gli iscritti, stavolta, erano 65.378 (hanno partecipato 56.775) contro i 63.972 del 2021 (all’epoca parteciparono 55.117).

Tirando le somme, il risultato non è incoraggiante: la metà dei partecipanti non ha superato le prove. E ciò è avvenuto in un quadro dove il punteggio minimo per entrare era inferiore rispetto a quello richiesto lo scorso anno. Stavolta, il test di accesso a Medicina – quasi 15mila i posti – portava in dote una modifica sostanziale. Nei quesiti (60) è stato dato maggiore spazio alle materie disciplinari, meno invece alla cultura generale e alla logica.

Pertanto, cento minuti per 23 quesiti di biologia, 15 di chimica, 13 di fisica e matematica, quattro di competenza di lettura e conoscenze assimilate negli studi, cinque di logica e problemi. Il prossimo anno l’ammissione ai corsi sarà diversa: la riforma del ministro Maria Cristina Messa vedrà un percorso che partirà al quarto anno della scuola superiore, grazie a corsi di orientamento e prove d’esame che potranno essere ripetute.

http://www.opinione.it/societa/2022/09/17/redazione_test-medicina-bocciati-ministero-universit%C3%A0/

Il sole dell’avvenire

Tutto ciò che sento essere il bene è il bene, e tutto ciò che sento essere il male è il male.” L’esaltazione di una falsa coscienza ipersoggettiva – legge di se stessa – ha la conseguenza di invertire l’ordine naturale, se così piace all’homo deus, orientato h.24 dalla comunicazione e dalla psicologia sociale. Non era davvero questo il sole dell’avvenire. Le masse popolari avevano creduto al socialismo in nome dell’uguaglianza (e dell’invidia sociale) ma nella cornice di una dimensione collettiva e comunitaria. L’ internazionalismo – lo rivela la parola stessa – non proponeva la fine delle identità e delle appartenenze, come il globalismo liberalcapitalista, ma la volontà di farle convivere senza la smania di possesso e di potere, ovvero, in definitiva, degli “spiriti animali” del capitalismo (Schumpeter).  Il sole dell’avvenire non conosceva l’anomia – ossia, per Emile Durkheim – il drammatico salto tra aspettative e realtà, come nel continuo mutamento delle società moderne.
L’epoca in cui è derisa l’esperienza di ieri – residuo dell’oscurità – e unico Dio è il progresso unito alla volontà soggettiva (eterodiretta), ha capovolto ogni valore e credenza consolidata per erigere un edificio in perenne costruzione privo di fondamenta. Di revoca in revoca, di inversione in inversione, tutto ciò che è stato sempre vero e ovvio diventa il male da abbattere spietatamente. Il sole dell’avvenire ha bruciato i suoi banditori sino a trasformarsi in luce che abbaglia e acceca.
Ex Occidente lex, ma legge è quello che noi decidiamo sia tale. Se questo tempo afferma che la neve è nera e il sole sorge ad occidente, così sia. La natura non cambia le sue regole, come immutabile è la biologia. Il sole dell’avvenire diventa il buio dell’arroganza dell’uomo d’occidente, che dà credito a menzogne mascherate da straordinarie scoperte sfuggite agli uomini di tutti i tempi e di tutte le civiltà.
Scriveva il poeta Juan Ramòn Jiménez. “E’ verità, adesso. / Ma è stata talmente menzogna, / che continua ad essere impossibile, sempre.”  Il sole d’Occidente è il tramonto di una civiltà con un grande avvenire dietro le spalle.

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/il-sole-dell-avvenire-sorge-a-occidente

Eurasismo

Il geopolitico inglese Halford Mackinder, morto nel 1947, aveva sviluppato l’idea (ripresa da molti altri dopo di lui, a cominciare da Carl Schmitt), di una opposizione fondamentale tra le potenze marittime e quelle terrestri, le prime rappresentate successivamente dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti, le seconde dal grande continente eurasiatico, il cui «cuore», l’Heartland, corrisponde alla Germania e alla Russia. Secondo Mackinder, chi controlla l’Heartland controlla il mondo. È con questa convinzione che Zbigniew Brzezinski, in La grande scacchiera (1997), ha potuto scrivere che «l’America deve assolutamente impadronirsi dell’Ucraina, perché l’Ucraina è il perno del potere russo in Europa”. Una volta che l’Ucraina sarà separata dalla Russia, la Russia non sarà più una minaccia». Questo facilita la comprensione delle posizioni politiche di Aleksandr Dugin, che vede nel confronto tra Ucraina e Russia non solo una «guerra fratricida», ma anche la proiezione militare di una guerra ideologica che va ben oltre i confini, una guerra mondiale tra democrazie liberali, oggi in crisi, che si considerano in ordine all’idea di Stato universale e portatrici di decadenza, e democrazie illiberali in ordine all’idea di continuità storica dei popoli che vogliono mantenere la propria socialità e sovranità.

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/l-eurasismo-di-aleksandr-dugin-e-incompatibile-con-il-nazionalismo

Progressismo

Questa variante – oggi dominante – del progressismo, che potremmo chiamare progressismo nuovista o eliminazionista, divenne prevalente nel positivismo di fine ‘800, e di nuovo a partire dagli anni ’50 del XX secolo, prima negli USA e poi in Europa. Qui il “bene” viene identificato automaticamente con il superamento del vecchio, del dato. Chi si oppone a questo movimento viene immediatamente stigmatizzato come arretrato, nostalgico, reazionario. Essere “aggiornati” (up to date), che si tratti di gadget tecnologici o capi d’abbigliamento o mode politicamente corrette, è ciò che si richiede per essere dalla parte del bene. Mettere ciò in discussione viene letto automaticamente come segno di sanzionabile ottusità.
Questo atteggiamento potrebbe far sorridere per la sua superficialità, se non fosse che tale superficialità è coniugata con la più potente forza della contemporaneità ovvero il capitale. Così come il capitale, per svilupparsi liberamente, esige la rottura di ogni radicamento e di ogni vincolo non negoziabile, così l’impianto del progressismo nuovista (o eliminazionista) edifica un’etica della cancellazione del passato in ogni sua forma.
Di ciò fa parte naturalmente ciò che è venuto agli onori della cronaca come “cultura della cancellazione” (CANCEL CULTURE), con le sue performance di spettacolare imbecillità, ma più gravemente ancora ne fa parte una cultura che assume il medesimo atteggiamento di cancellazione e superamento nei confronti di qualunque ordinamento naturale, percepito istintivamente come un vincolo insopportabile. La cultura “transumanista” occupa un ruolo importante in questa cornice, in quanto esprime la nevrosi costitutiva di un’epoca che non è più affatto in grado di percepire il valore nel dato, nel reale, nel naturale, ma soltanto nell’idea fantasticata del loro superamento. Anche la natura umana, in cui si radicano necessariamente tutte le nostre inclinazioni morali e tutte le nostre posizioni di valore, viene concepita come qualcosa di infinitamente manipolabile, adattabile, superabile. Che ciò tolga da sotto i piedi ogni criterio di bene e male non viene percepito come un problema, visto che la ragione liberale ha dall’inizio tolto il bene e il male dal piano dei contenuti obiettivi.
Sul piano culturale e teorico è abbastanza semplice mostrare l’insostenibilità strutturale del progressismo eliminazionista in tutte le sue varianti, tuttavia tale concezione è e resta il terreno ideologico prediletto dei ceti che cavalcano le spinte del capitale, e questo vi conferisce una sorta di egemonia epocale. Il movimento del capitale è la tendenza di un potere di principio di accrescersi indefinitamente. Chi progetta la propria esistenza sulla scorta dell’idea “pre- (o post-) umana” di accrescimento indefinito non può che nuotare come un pesce nell’acqua in tutte le concezioni che vagheggiano il perenne superamento, il perenne al di là, l’oltre, il di più, in quanto tali.
Questi soggetti abbracciano con pari entusiasmo progetti di ingegneria sociale o di ingegneria genetica, ed essendo organicamente privi di ogni riferimento valoriale diverso dal “nuovo” e dall’“oltre” non sono neppure in grado di percepire gli aspetti distruttivi e degenerativi di ciò che propongono.
Su questo piano la nostra epoca sta assistendo ad una vera e propria contrapposizione antropologica, irriducibile. Questa contrapposizione oggi è diventata politica.
Da un lato troviamo chi sostiene una spinta strutturalmente eliminativa delle eredità storiche e naturali, percepite come fardelli di cui liberarsi, e dall’altro chi resiste a tale spinta in quanto percepisce storia e natura come fonti primarie di valore.
Dagli esiti di questo confronto culturale e politico, che ha anche un fondamentale aspetto geopolitico, dipenderà la direzione dell’umanità futura.

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/progressismo-transumanesimo-e-ingegneria-sociale

Contro la scuola

Eh si, la strada era tracciata, grazie al binomio Draghi-Bianchi che ha proseguito l’opera instancabile della dismissione dell’istruzione anche a governo decaduto:  competenze esecutive a discapito del sapere e del pensiero critico, digitalizzazione coatta, apprendistato, consolidamento della famigerata alternanza scuola-lavoro tutto nel contesto di quei “patti territoriali di comunità” nei quali la Comunità alla faccia di Olivetti è retrocessa all’aziendalismo, al marketing, alla mercatizzazione in sostituzione della cittadinanza.