Era il titolo di un flim di Altman , di cui NON parliamo; risaliamo invece al 1990: The Bonfire of the Vanities
di Brian De Palma, da un soggetto di Tom Wolfe. The Bonfire of the Vanities comparve nelle sale cinematografiche degli USA nell’estate del 1990. Nonostante un cast di tutto rispetto – Tom Hanks, Morgan Freeman, Bruce Willis, tra gli altri – e la fama dell’allora rampante De Palma, risultò essere un flop, tanto dal punto di vista commerciale che da quello critico. Difficilmente la critica cinematografica di quegli anni avrebbe potuto apprezzare un film che non si limitava a porre a nudo il materialismo, l’ipocrisia, la bassezza morale della upper class newyorkese, ma gettava una luce fosca sui miti dell’America liberal. Tom Hanks, alias Sherman McCoy è infatti un brooker di Wall Street, uno dei “padroni dell’universo”. Commetterà un errore, e ne pagherà le conseguenze, scelto quale vittima sacrificale da un procuratore roso dal veleno dell’ambizione politica: si necessitava di una vittima per placare lo scontento sociale dei diseredati, delle vittime, delle minoranze. Chi meglio di un privilegiato maschio bianco, peraltro fedifrago e legato alla finanza? Un’accusa retta sulla menzogna, sul calcolo politico, sull’ipocrisia, su infamanti accuse di razzismo che finiranno per intaccare persino la rispettabilità di un giudice nero, chiamato a decidere sul processo. Sarà proprio il giudice, interpretato da Morgan Freeman – quasi una controfigura del futuro giudice Clarence Thomas – a smascherare l’arrivismo dei procuratori e i miti di una presunta giustizia sociale, pronta a travalicare la legge e il buon senso, la decenza più elementare, per affermarsi.(1)
In Italiano si chiamò “Il falò delle vanità” e ne trovate ampio riassunto su Wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Il_fal%C3%B2_delle_vanit%C3%A0_(film)); il film fu un clamoroso insuccesso in America probabilmente perché troppo in anticipo sui suoi tempi.
Si tratta di uno scontro di civiltà. Un doppio scontro di civiltà. Quello tra la civiltà del diritto – liberale nell’accezione più nobile del termine – con tutte le sue procedure, le sue formalità sostanziali, le sue tradizioni forgiate nei secoli e basate sulla oggettività della prova, e quella del sentimentalismo soggettivista, della volontà individuale, del sentire individuale che diventa legge. Del #lovewins, insomma. E poi quello, non meno radicale, tra due visioni opposte dell’America e della società

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