Centralità del cibo

Magna cura cibi, magna virtutis incuria.
Dove c’è gran cura del cibo, è grande l’incuria per la virtù.
Ammiano Marcellino, Storie, 16,5,2

E’ un dato di fatto che sui media il cibo viene ormai subito dopo lo sport: dai canali dedicati fino alle TV generaliste le trasmissioni di cucina si sono ritagliati spazi sempre più ampi e gli chef sono assurti al rango dei divi del pallone .

Eppure la qualità del cibo è messa in pericolo dal sistema di distribuzione  (se un prodotto è buono sparisce dagli scaffali del supermercato per il suo alto costo), dal sistema di produzione (pesticidi e fertilizzanti a iosa) e dagli accordi internazionali (TTIP già in dirittura di arrivo).

A questo va ovviamente aggiunto l’inquinamento industriale, lo smaltimento dei rifiuti tossici, i residui di radioattività degli esperimenti ed incidenti nucleari, che rendono problematico il consumo di qualsiasi alimento.

estratto da: http://www.bondeno.com/2015/09/18/centralita-del-cibo

Neo-colonialismo

In un suo articolo Luciano del Vecchio, fa notare come la colonizzazione passi anche attraverso l’uso ed abuso dell’inglese (vedi il recente “Job act”, che certo non si giustifica per la mancanza di parole sostitutive dell’italiano); per ragioni che mi sfuggono un nutrito gruppo di commentatori contesta “su basi scientifiche” tale tesi.

Per non rifare il manzoniano dibattito sulla questione della lingua, vediamo di analizzare il problema di fondo che è quello della esportazione dell’ american way of life ai popoli asserviti (neocolonialismo), trasponendo l’esempio sull’abbigliamento.

Quando, nei primi anni ’80 andai negli USA, ebbi modo di notare (oltre ai numerosi poveri che rovistavano nei bidoni della spazzatura) come in Italia anche chi comprava i vestiti al mercato fosse mediamente più elegante e vario degli americani che vestivano casual e in modo uniforme.

Inutile che vi descriva come, visto che qui, adesso tutti vestono con felpe, scarpe “da ginnastica”, t-shirt anche d’inverno e berretti da baseball con visiera (anche i pensionati sulle panchine).

Da noi che le producevamo, ed eravamo famosi nel mondo per questo, non si trovano più scarpe in pelle con la suola di cuoio,( che duravano  una vita, erano igieniche e si potevano risuolare) a meno di non farsele fare su misura con mille e più euro.

Idem dicasi per l’abbigliamento “classico” da uomo, giacca, pantaloni gilet che ormai solo i parlamentari si possono permettere; ovviamente gli stessi guasti sono stati prodotti anche nel campo della moda femminile in cui eravamo leader indiscussi, assieme ai francesi.

Concludendo, mi sembra ovvio che dalla colonizzazione abbiamo più perso (e continuiamo a perdere molto velocemente) che guadagnato; e naturalmente chi guadagna sono le multinazionali a spese del nostro tessuto economico industriale, che va disgregandosi con la nostra complicità.

 

Si fa presto a dire tonno

Oggi ho mangiato del tonno*, così diceva infatti la descrizione degli ingredienti; incuriosito ho cercato su wikipedia e ho scoperto:

Già gli antichi praticavano su larga scala la pesca del tonno, soprattutto a Gibilterra e nell’Ellesponto. In Sicilia era praticata lungo le coste del trapanese. La tecnica di pesca varia a seconda del luogo e della stagione.

Specie

Tabella con le dimensioni delle specie

Altri tonni

Oltre alle specie appartenenti a questo genere vengono comunemente chiamate tonno anche queste specie:

Uso alimentare

Le varie parti del tonno (ventresca, filetti, bottarga, musciame, lattume, cuore, buzzonaglia) vengono utilizzate per la preparazione di piatti che ne prevedono l’uso crudo, come nel sushi o nel sashimi, e cotto. Infine il tonno viene conservato, sott’olio o al naturale (in acqua salata), generalmente confezionato in scatolette metalliche o vasetti di vetro.

Normalmente in Italia i tonni maggiormente commercializzati sono il tonno pinna gialla (yellowfin) che è una specie oceanica molto diffusa e per questo di prezzo in genere più basso e il tonno rosso (bluefin) tipico del Mediterraneo, ma in via di estinzione.

Le due carni hanno notevoli differenze nutrizionali, la tabella che segue si riferisce a 100 g di carne cruda delle due specie [1],:

Specie Valore energetico grassi proteine carboidrati fosforo
Tonno rosso 144 kcal 5 g (di cui 1,3 g Omega3) 23 g 0 254 mg
Tonno pinna gialla 108 kcal 1 g (di cui 0,2 g Omega3) 23 g 0 191 mg

Il consumo di tonno contaminato da batteri senza alterazioni organolettiche può dare origine alla cosiddetta sindrome sgombroide (HFP, histamine fish poisoning), una reazione gastro-enterica con sintomi simil-allergici che insorgono da 10 minuti a qualche ora dall’ingestione dell’alimento contaminato (in media dopo 90 minuti), riconducibili all’istamina (una sostanza che stimola l’infiammazione) in esso contenuta. I sintomi si risolvono spontaneamente nell’arco di qualche ora e possono durare fino a 48 ore. Raramente si hanno quadri sintomatici gravi.[1]

Per la cronaca, i 90 minuti sono passati e il Katsuwonus (così si chiamava il tonno) non ha prodotto effetti indesiderati