Gli umani pacificamente intenti alla loro vita quotidiana sono più pericolosi per la natura dell’esplosione simultanea di 200 bombe di Hiroshima (questa è stata la potenza di Chernobyl). E tuttavia, per un tragico contrappasso, sono anche le sole vittime dell’incidente: siamo noi, infatti, gli unici esseri viventi che non possono vivere a Chernobyl, perché moriremmo di cancro e non riusciremmo a riprodurci abbastanza in fretta per evitare l’estinzione. E anche qui c’è un insegnamento: via via che ci allontaniamo dallo stato naturale migliorano le nostre condizioni individuali (per dire, viviamo il doppio dei nostri cugini scimpanzè), ma peggiorano le nostre probabilità di sopravvivenza al di fuori della sfera tecnologica in cui siamo immersi fin dalla nascita (anzi, dal concepimento). L’apocalissi nucleare, che è poi il rovescio impaurito della nostra sfrenata ambizione prometeica a comandare l’universo, non è affatto un’apocalissi: tutt’al più è l’estinzione di una specie. La nostra.
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