La narrativa sulla crisi

A partire dagli anni Novanta si accentuerà, da parte dei principali organi di informazione italiani, una narrativa colpevolista, che attribuirà all’eccesso di spesa pubblica e di corruzione l’eccesso di debito pubblico degli anni Ottanta. Il tutto mettendo giovani contro vecchi, figli contro padri, sostituendo lo scontro generazionale alla vecchia contrapposizione tra capitale e lavoro. Tale narrativa, di matrice neoliberista, servì a far ingerire ai lavoratori italiani la pillola amara dell’austerità, che si concretizzerà sposando la costituzione materiale di Maastricht (1992). Da allora si ebbero drastici tagli di spesa previdenziale, privatizzazioni a prezzo di saldo delle industrie pubbliche, precarizzazione del lavoro, aumento della tassazione indiretta e sul lavoro , soppressione definitiva del meccanismo di tutela dei salari dall’inflazione, blocco del turnover nella pubblica amministrazione. Politiche che inflissero al Paese una stagnazione economica ventennale che culminerà, dal 2008, in una crisi economica più devastante, in termini di perdita di produzione e occupazione, di quella patita durante la depressione del 1929.

 

RIFERIMENTI

Sulla relazione tra cambio forte e crescita del debito pubblico in Italia negli anni dello SME si veda Augusto Graziani, I conti senza l’oste, Bollati Boringhieri, 1997 e Lo sviluppo dell’economia italiana, Bollati Boringhieri, 2000.

Per tutti i dati sulle principali grandezze macroeconomiche (PIL, tasso di inflazione e disoccupazione, etc) negli anni Ottanta si veda il contributo di Michele Salvati, Occasioni Mancate, Laterza, 2000.

Sulla dinamica della nostra finanza pubblica in una prospettiva storica si rimanda a Piero Giarda, Dinamica, struttura e governo della spesa pubblica: un rapporto preliminare, 2011 e al rapporto “Spesa dello stato dall’Unità d’Italia” a cura della Ragioneria dello Stato.

Sulle posizioni critiche di Federico Caffé sullo SME si rimanda al paper di Alberto Baffigi, L’economia del benessere alla sfida della tecnocrazia e del populismo: il pensiero democratico di Federico Caffé, 2016.

Sul “divorzio”tra Banca d’Italia e Tesoro si veda B. Andreatta, Il divorzio tra tesoro e bankitalia e la lite delle comari, Il Sole 24 ore, 26 Luglio 1991.

 

Federico Stoppa

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Il regno del cigno nero

da flickr

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Il cigno nero, la crisi ( ossia recessione-stagnazione più disoccupazione e disinvestimenti, migrazione, instabilità, incertezza di prospettive) permane, compie otto anni e non si intravede alcuna uscita da essa.

Da un lato, permane perché è la conseguenza del nuovo tipo di economia, cioè dell’economia finanziaria che opera ormai apertamente attraverso la costruzione e lo svuotamento delle bolle, come strumento di aumento e di concentrazione del reddito e del potere, anche politico, nelle mani di chi la gestisce. Dall’altro lato, permane perché è uno strumento di riforma della società, della legge, dell’uomo, nel senso che consente a chi la gestisce di ridurre a chi la subisce, sostanzialmente col suo consenso, i diritti di lavoratore, di risparmiatore, di utente dei servizi pubblici, di partecipazione politica: di cittadino, in una parola. Quindi essa dissolve anche la polis cioè lo Stato nazionale, l’organizzazione del demos, nella globalizzazione e nella migrazione di massa.

Consente insomma di sottomettere e controllare, eliminando gradualmente il diritto anche alla privacy, alla quasi totalità della popolazione che non detiene il potere.

Essa gradualmente demolisce i processi di partecipazione, decisione, controllo che salgono dal basso per via elettorale, e lo fa soprattutto togliendo rappresentatività e facoltà ai parlamenti in favore di governi e di organismi tecnici; però al contempo pretende il consenso della base alle sue decisioni e alle sue riforme, ma non lo recepisce per come esso spontaneamente si forma, bensì lo produce come le serve agendo dall’alto, guidando l’informazione, ripetendo incessantemente dogmi spesso falsi finché vengono percepiti come realtà scontata, fissando l’agenda dei temi di cui parlare e i limiti entro cui farlo, de legittimando a priori le posizioni diverse con etichette quali euroscettico, razzista, islamofobo, omofobo, populista. E talora sanziona anche penalmente l’espressione critica o alternativa.

Per contro, elargisce sovvenzioni, appoggio, massima visibilità mediatica e autorevolezza istituzionale alle idee guida per il nuovo ordine sociale che sta formando.

La crisi non è in realtà crisi, ma struttura; e permane perché è utile, ed è l’elemento portante del nuovo ordinamento globale.
In questa logica comprendiamo il senso profondo, strutturale, dell’aumento verticale dei poveri e bisognosi, degli esclusi dal reddito dalle rendite, dal welfare,  dalle garanzie. Cioè dal lavoro, dalla pensione, dalla pubblica assistenza come diritti. Sottolineo: come diritti, diritti stabili, non come concessioni volta per volta.
Quando si rileva che in Italia gli indigenti, nell’arco di cinque anni,sono passati da 1 milione e mezzo a 4 milioni, quando si rileva che si stanno formando masse di milioni di immigrati, esodati, disoccupati, e quando si rileva che si preparano milioni di futuri pensionati che non avranno una rendita pensionistica sufficiente a vivere – quando si rileva tutto questo, si dovrebbe capire il volto della società che stanno costruendo, aiutandosi molto anche con l’ideale tedesco di austerità elevato a metodo inflessibile di governo: un corpo sociale saldamente nelle mani dell’oligarchia dominante, anche grazie al fatto che gran parte di esso sarà costituita da masse miste di indigenti, di impoveriti, di disoccupati, di immigrati, di pensionati, che sopravvivono grazie a interventi caritatevoli ed emergenziali del governo e di agenzie ampiamente finanziate dal governo, come Caritas, chiesa e sindacati, cioè alti prelati e alti sindacalisti, Molto lautamente remunerati, essi già svolgono un importante ruolo di direzione, consolazione e collegamento in questo schema sociale. La mancanza di reddito e servizi sicuri, quindi la dipendenza da interventi anno per anno, bilancio dopo bilancio, da parte del governo, rende gradualmente queste masse sempre più passive, remissive, politicamente inattive.

Il cigno nero non è volato via, ha costruito il suo trono per restare. Effettivamente, il reddito di cittadinanza, al quale in linea di principio sono contrario per varie ragioni anche pedagogiche, sarebbe il miglior antidoto a questa strategia di ingegneria sociale. Ma non potrà mai funzionare se prima non si sarà capito che il denaro oggi è un mero simbolo a costo zero di produzione, e che dunque l‘unico ma decisivo vincolo alla politica di spesa è l’efficacia produttiva della spesa, mentre gli attuali dogmi di austerità e pareggio di bilancio sono un mero inganno genocida e liberticida.

08.08.16 Marco Della Luna

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Analfabetismo causa della crisi

Non c’è niente da fare! Gli articoli economici, anche se scritti in modo semplice, non li vuole leggere nessuno e questa è la vera causa della crisi che attraversiamo: una abissale ignoranza…

http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-lettura-sbagliata-della-crisi/

Trame

Siamo in una situazione vista tante volte al cinema: una pistola puntata alla tempia che ci costringe a ubbidire; nei film di una volta arrivavano “i nostri”, nelle versioni moderne, fatto il lavoro, si viene uccisi.

Trasferendo la situazione dal debito privato a quello pubblico o “sovrano” , come si preferisce chiamarlo oggi, forse sarebbe opportuno chiarire ulteriormente (come abbiamo fatto notare in alcuni post precedenti) che è una pura invenzione.

Funziona, come tutti gli strumenti di controllo, solo se ci si crede (e in grazia dei poteri e dei privilegi conferiti ai sacerdoti del culto, ovviamente).