Capitale umano

Alla più cauta della stime, dal 2008 al 2014 è emigrato all’estero un gruppo di italiani la cui istruzione nel complesso è costata allo Stato 23 miliardi di euro. Sono 23 miliardi dei contribuenti regalati ad altre economie. È una cifra pari al doppio di quanto occorre per stendere la rete Internet ad alta velocità che in questo Paese continua a mancare. È una somma pari a un terzo del costo dell’intera rete ferroviaria ad alta velocità italiana, che al chilometro è la più cara al mondo. Ma quando si tratta di laureati, diplomati o anche solo di titolari di una licenza media che se ne vanno portando con sé le proprie competenze e l’investimento che è stato fatto su di loro dagli asili d’infanzia alle aule universitarie, nessuno protesta. Di rado se ne parla. Non è uno scandalo: sembra normale, anche se nella storia dell’Italia unita non era mai successo.

Ogni volta che una di queste persone lascia l’Italia, quell’investimento in sapere se ne va con lui o con lei. Negli ultimi anni le destinazioni preferite sono Gran Bretagna, Germania e Svizzera. Si tratta di un colossale sussidio implicito versato dall’Italia ad altri Paesi ogni volta che un migrante fa le valigie. Ed è ormai un fenomeno macroeconomico. Nel solo 2013 il trasferimento silente di investimenti dall’Italia al Regno Unito attraverso l’istruzione dei migranti è stato, quantomeno, di 1,5 miliardi. Quello versato alla Germania è di 650 milioni e persino un Paese lontano come il Brasile è beneficiario per oltre cento milioni. Nell’ultimo secolo un export su questa scala di investimenti pubblici in “infrastrutture” si è visto solo quando un Paese sconfitto in guerra doveva pagare riparazioni. Questo invece è auto-inflitto.

Il problema è che gli oneri reali sono più alti, perché i dati Istat non colgono tutta la realtà. Molti se ne vanno, ma non lo comunicano all’anagrafe. Gli italiani che nel 2013 hanno preso il “National Insurance Number” (codice fiscale) per lavorare in Gran Bretagna sono quattro volte più di quelli che ufficialmente hanno lasciato l’Italia, secondo l’Istat, per andare Oltremanica. Per il governo tedesco, gli italiani arrivati in Germania solo nella prima metà del 2014 sono più di quelli che, secondo l’Istat, lo hanno fatto in tutto il 2013. Così l’Italia manda via qualcosa che costa e vale più delle sue autostrade o ferrovie.

Federico Fubini

http://www.appelloalpopolo.it/?p=15078

Italiani in Brasile

I risultati mostrano l’importanza della durata della residenza in Brasile per comprendere le condizioni di vita degli immigrati. Anche se l’uso dei dati censuari non consente di approfondire tutti gli aspetti di interesse, si nota comunque che che i principali flussi migratori avvengono in periodi di crisi o instabilità economica in patria. La prima significativa migrazione di Italiani verso il Brasile risale alla metà del secolo XIX, in cerca di migliori condizioni di vita. Nel XX, l’immigrazione si riduce nella prima metà del secolo, a causa del peggioramento delle condizioni di vita in Brasile, mentre s’intensifica nell’immediato secondo dopoguerra. Già nel secolo XXI, il flusso cresce nuovamente, a causa della crisi economica recente. Tuttavia emigrare non protegge del tutto dalla crisi: i dati mostrano che le condizioni di vita degli Italiani in Brasile sono peggiorate tra il 2000 e il 2010.

Per saperne di più

Pier Francesco De Maria, Chi sono e come vivono gli immigrati Italiani in Brasile? Risultati dei Censimenti del 2000 e del 2010, Relazione presentata al “Population Days 2015”, AISP, Palermo, 4-6 Febbraio 2015.

foto di famiglia di Cappi Elvino, emigrato ai primi del '900 a San Paolo

foto di famiglia di Cappi Elvino, emigrato ai primi del ‘900 a San Paolo


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Andarsene

di Carlo Bertani

Una “leva” è composta – oggi – da 460.000 nuovi nati italiani e da 70.000 infanti stranieri. Vent’anni fa, gli italiani erano 550.000 e gli stranieri 20.000 (tutte le cifre sono state arrotondate).

Che il “seme italico” stia percorrendo un lungo ed inevitabile declino, già lo sapevamo: che succede se, di quel mezzo milione circa, se ne vanno ogni anno in…facciamo 50.000?

Ve lo dico io che sono stato insegnante: se ne vanno i migliori, quei 3-4 per classe che fanno la differenza.

Col tempo, emigreranno anche 2-3 che andranno a fare i falegnami od i saldatori, così – in Italia – rimarranno i peggiori. I figli degli extracomunitari seguono un percorso similare, ma pochi riescono ad emergere, almeno per ora.

Una parte dei bimbi-minkia rimanenti si sistemerà – grazie ai buoni uffici di papà e mammà – in politica, andranno ad ingrossare le fila di quel milione d’italiani che campa credendo d’essere classe dirigente. Diventeranno, così, mezza-età-minkia ed anziani-minkia: ma benestanti ed in buona salute.

Gli altri, si leveranno il sangue per pagare fior di tasse (e mantenerli) e seguiranno una vita ritmata dai piani industriali di Marchionne e dalle promesse del Renzi di turno. Moriranno poveri, senza mai arrivare ad uno straccio di pensione, perché i bimbi-minkia, quando cresceranno, alzeranno l’asticella ogni anno. Già lo fanno oggi, figuriamoci domani: un vero e proprio scenario da Orwell. A ripensarci, meglio Huxley con le sue allucinate felicità.

Andandosene, si raggiungono due specifici obiettivi: si campa meglio, al diavolo tutta la retorica sul “belpaese” e sulla patria (min). Magari non ci sarà il mare o il bosco di casa, ma tornate a chiedere a quelli che hanno mare e bosco come campano.

Il secondo obiettivo è meno appariscente, ma più “strategico”: mi dite voi, come farà a sopravvivere (od a decollare economicamente) un Paese che non ha un futuro industriale, un futuro agricolo e nemmeno turistico? E quando non ci saranno più teste pensanti (che già oggi contano poco o niente)?

Sarà una nazione che crollerà lentamente, ma più in fretta del previsto: più in là non mi spingo – la mia età non me lo consente – e ci sono giovani scrittori che hanno bisogno di scrutare il futuro: lo facciano, si divertano e soffrano un poco anch’essi.

Da parte mia, ho già scelto: Madeira. Dovrò prima mettere a posto alcune cose, mettere in mare la Gretel e poi veleggiare. Le mie ceneri riposeranno in Atlantico? Non importa: il mare, a pensarci un attimo, è uno solo che tutto circonda ed accarezza. Sono gli uomini a dargli tanti nome diversi, per distinguersi gli uni dagli altri e dimenticarsi così che non esistono le razze, ma solo la specie.

estratto da http://carlobertani.blogspot.com/2014/09/andarsene.html