Individualismo

“L’individualismo come fenomeno di massa non è un fatto psicologico congiunturale,  che renderebbe i nostri contemporanei eccezionalmente egoisti o portati a ripiegarsi in sé stessi.  E’ un fatto di struttura  che mette l’attore individuale,  coi suoi diritti ma anche i suoi interessi, in primo piano, con l’esclusione  del resto – il politico specialmente, che non ha più altro ruolo se non al servizio dei diritti e degli interessi individuali.  Ne risulta un programma che si può riassumere così:  la  libertà totale di ciascuno e l’impotenza completa di tutti”.

La citazione, forse un po’ difficile, è di Marcel Gauchet. Storico e filosofo della storia, una  delle poche grandi menti rimaste in un’Europa dove il pensiero non serve più, 70 anni,  Gauchet mi pare colga bene il  “capolinea” in cui si  è ficcata la civiltà europea, e che angoscia e paralizza nel profondo – il senso di aver perso la strada. “ La dinamica  dei diritti individuali –  dice –  diventa la macchina per dissolvere la capacità collettiva di governarsi,  detto altrimenti, della democrazia”.

Il trionfo dei “diritti individuali”  è vissuto ovviamente dai più come  una grande liberazione, invece che una crisi – e crisi terminale; soprattutto, ci sembra un fenomeno di liberazione  spontaneo. Invece, spiega Gauchet, esso è indotto;  è il risultato di una “ipertrofia”  della dimensione del diritto; in concreto, dei diritto degli individui a spese delle altre dimensioni della vita collettiva.

E   questa ipertrofia ha degli autori: le oligarchie che  hanno  formato “la costruzione europea: essa è animata da una volontà post-politica, quella di ridurre la democrazia all’esercizio più largo possibile delle libertà individuali; che sono sì un elemento; ma la democrazia consiste essenzialmente e  prima di tutto nella capacità di fare scelte collettive. La filosofia delle istituzioni europee, ossessionate dal  superamento delle nazioni, consiste a suggerire ai cittadini: sfuggite all’autorità dei vostri stati. Il loro messaggio subliminale è che esse non hanno a che fare se non con individui, sui quali nessuno stato deve esercitare un’autorità indebita”.

E non è un caso che questa ipertrofia dei diritti individuali coincida con la globalizzazione: “La quale dà a chi se lo può permettere di giocare il ‘fuori’ contro il ‘dentro’.  Per esempio di trarre il massimo profitto dall’organizzazione di origini – per esempio un’alta istruzione gratuita – riducendo al minimo le obbligazioni  –  per esempio le imposte pagate”.

Ben  sappiamo, abbiamo degli esempi grandiosi di multinazionali specialiste  in questo gioco.  “Ciò non accresce il sentimento di un destino comune da  cui accettare le costrizioni in vista di un meglio collettivo”.

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La società livida

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Personalmente non vedo la consapevolezza di cui parla Diego Fusaro, in nessuna delle persone che conosco; la vedo in alcuni dei blog che seguo (forse più autocompiaciuti che rivoluzionari). D’altronde ho già espresso in altri post il mio scetticismo sulla “rivoluzione”

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Negare la realtà

“L’uomo è dunque l’animale che vuole sapere. Ma è anche, per una fondamentale, inestricabile ambivalenza, l’animale che non vuole sapere, che per vivere tranquillamente l’esistenza terrena deve dimenticare l’essenziale: l’ineluttabilità della sua stessa morte. L’uomo è capace di negare in qualsiasi momento la realtà, di mentire a se stesso, per “funzionare” in modo soddisfacente.