
aula anni ’20
Allora, visto che si parla tanto di allinearci agli standard europei e la Francia è un Paese che ci somiglia più della Svizzera, lo sa, il ministro ingegnere del governo spaccatutto quante ore trascorre in classe un insegnante di scuola media francese? Diciassette ore se ha passato il concorso normale, dodici se ha passato l’agrégation, Quanto guadagna al suo primo anno di servizio? Millesettecento euro, tanto per cominciare, se ha passato il concorso normale; 2.100, se ha passato l’agrégation, 300 euro in più se lavora in una zona disagiata.
Quante settimane di vacanza si fa un insegnante in Francia? Diciassette, una in più dei colleghi italiani che non siano impegnati con la maturità, altrimenti diventano due, tre in più.
Qual è lo stato giuridico di un insegnante in Francia? E’ un funzionario dello Stato, il che significa che ha garanzie e benefit speciali nell’esercizio della sua professione, il che significa che, quando muore, un ispettore dell’académie (provveditorato) da cui dipende, alle sue esequie fa l’elogio funebre delle sue virtù professionali, giusto perché così lo Stato, oltre a rendere omaggio a un suo degno servitore, manda un messaggio socialmente significativo: per noi, per voi, genitori dei suoi alunni, questo professionista dell’educazione era prezioso e faremo fatica a sostituirlo.
Cosa pensano i ministri dei governi-spacca-tutto e le masse degli italici qualunquisti quando muore un insegnante italiano? Meglio, uno in meno da mantenere.
La scuola media pubblica francese che frequenta la Chicchi è certamente materialmente più modesta di quel-la che sta di là dal confine, ma è più decorosa e dignitosa di quella italiana perché lo Stato, nonostante la crisi, continua a investire.
Tablet? Ma per piacere. Basta un computer in ogni classe: gli insegnanti vi. appuntano in tempo reale assenze, voti, compiti assegnati e ogni alunno e genitore ha una password per accedervi e controllare.
E i bagni, come sono i bagni nella scuola pubblica francese? Beh, quelli puzzano, come nella scuola italiana, ma c’è la carta igienica.
Libri, carte geografiche, sussidi per l’apprendimento delle lingue, delle scienze? Sì, sì, tante, tanti, e tante ore di sport.
Le lingue? S’imparano bene e si leggono i poeti, gli scrittori. Filosofia? Importantissima: bisogna insegnare a pensare, a ragionare, ad argomentare con metodo. Educazione civica? Fondamentale: libertà, uguaglianza, soli-darietà, laicità, tolleranza, diritti e doveri del cittadino, diritti umani, la politica, le istituzioni dello Stato, le relazioni internazionali.
E così ci raccontano la favola che ci dobbiamo adeguare all’Europa, ma invece di ispirarsi a un modello, per molti versi affine, e comunque fondato sulla presenza e sul sostegno importante dello Stato come quello francese, il ministro ingegnere guarda alle scuole “rneritocratiche” del Paese del sogno realizzato del perfetto capitalismo finanziario senza però allinearvi gli stipendi. (sottolineatura nostra)
Quando il ministro-senza-cuore-tutta-tecnica ha detto che ci avrebbe fregato tutti con la storia delle ventiquàttr’ore e dei contratti, degli scatti bloccati; io mi sono arrabbiata moltissimo e ho pensato che questa volta non rni sarei messa a quattro zampe. Piuttosto che ritornare in un Paese dove il corpo docente viene così mortalmente umi-liato, ho deciso che venderò la mia anima agli svizzeri e prostituirò il mio cervello insegnando in una scuola svizzera, guadagnando cinque volte, a parità di impegno orario, quello che prenderei in Italia, meritandomi un rispetto formale, sì, ma evitando il disprezzo sociale che su di me vomita la massa qualunquista del mio Paese d’origine. Lo posso fare agevolmente, sono cittadina svizzera e i miei diplomi sono ufficialmente riconosciuti. Sento di avere un salvagente ufficiale, una rete di protezione che mi sostiene in questi caduta libera esistenziale e professionale.
Poi ho cercato di trovare delle nobili motivazioni: porterò il nostro contributo di italianità nel sistema scolastico svizzero, insegnerò la storia e aiuterò queste giovani menti a capire perché siamo qui, ora, e dove stiamo andando. Insegnerò letteratura e leggerò tanti poeti, educherò il cuore di tante generazioni di pìccoli svizzeri. Darò il mio contributo per rendere questo Paese più umano e sabotare così, in piccola parte, il miraggio mondano del perfetto capitalismo realizzato. Resisterò. Non avrò il burn—out che colpisce tutti i docenti svizzeri a quarant’anni perché, prima o poi, anche il carnefice non regge più. Esorterò i miei alunni a pensare con la propria testa, gli insegnerò a raccontarsi.
Il mio papa al telefono mi ha detto: “Non tornare, Dani. Non tornare più. Pensa a tua figlia”.
Ma papa, cosa dici, voi invecchiate e io…
“Non ti preoccupare, Dani, pensa alla bimba, non pensare a noi”.
Daniela Tazzioli, La scuola diversa, pp.158-161, Infinito edizioni 2013
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