Competenza senza conoscenza

 La conoscenza ridotta a “merce” subisce gli effetti delle regole del mercato che hanno obiettivi diversi da quelli dell’istruzione, della formazione e dell’inclusione, in quanto mirano a soddisfare consumatori e a rispondere a esigenze sempre nuove. In tal senso troviamo una sorta di corrispondenza tra la mutevolezza dei contesti sociali, culturali, produttivi e il dissolversi della realtà:  qualcuno ha chiamato tutto questo “diffusione capitalistica dell’astratto” che  favorisce una certa relativizzazione dell’idea di utilità e  crea un generale senso di incertezza. Lo spettro dell’inutilità sembra colonizzare e logorare dall’interno le nuove realtà sociali, culturali ed economiche, favorendo per un verso una forma di acquisizione acritica delle conoscenze e, per l’altro, l’affermazione di una pervasiva cultura della frammentarietà che impedisce di mettere assieme i pezzi e di percepire  e concepire i problemi globali. Questo per parlare  dell’ossessiva “proprietarizzazione” delle conoscenze.

Bene a questo punto possiamo tirare le conseguenze del fallimento di un ‘idea: non siamo mai stati così lontani da una società della conoscenza e così palpabilmente alienati. siamo in realtà in una società della manipolazione dove chi possiede gli strumenti dell’egemonia culturale e della comunicazione  può far credere qualsiasi cosa, anche quella più lontana dalla realtà, certe volte in maniera così palese che ci si può davvero chiedere come si possa cascare in racconti che solo trent’anni fa sarebbero stati improponibili e immediatamente smascherate: da pandemie puramente narrative, agli “avvelenamenti” di Putin una commedia talmente assurda e bislacca che suona come un’offesa all’intelligenza , alle bugie dette per scatenare guerre, o per ciò che ci riguarda molto da vicino l’esistenza di una solidarietà europea sbandierata in ogni sede pur in presenza di cifre e di accordi che dicono tutto il contrario.

estratto da https://ilsimplicissimus2.com/2020/09/06/uomini-senza-mondo/

Lavorare per quattro soldi

Un’amica laureata in scienze dell’educazione con 110 e lode ha ricevuto da un operatore che eroga servizi per l’infaniza un’offerta di lavoro da colf/baby-sitter, orario 13-22 dal lunedì al sabato, 54 ore complessive per 500 euro mensili. Dovrebbe far svolgere i compiti a due bambini che frequentano la scuola primaria, cucinare per loro e per i genitori e rassettare casa. Prendere o lasciare. Umilante? C’è di peggio. Mi ha detto che una sua conoscente lavora per un noto studio professionale come contabile, laureata anche lei con 110 e lode in economia e commercio, anche lei 9 ore al giorno per 6 giorni la settimana, retribuzione netta 400 euro al mese.
Quando parliamo di deflazione salariale deve essere chiaro che stiamo indicando anche questi fenomeni diffusi. Oggi la sottocupazione al limite dello sfruttamento è lo standard e le persone che svolgono questi lavori per percepire retribuzioni da fame vengono conteggiate tra gli occupati dall’ISTAT. Nel mercato del lavoro con la crisi che c’è, si troveranno sempre ragazzi laureati disposti ad accettare queste condizioni, e se non si trovano c’è un serbatoio infinito di lavoratori e lavoratrici che provengono dalle aree disagiate, disposti a lavorare quasi gratis. Quando si dice che i ragazzi italiani non vogliono lavorare, o non vogliono abbassarsi a fare lavori umili, penso sempre a tutti i miei amici iperqualificati che fanno di tutto pur di campare e mi domando se sia poi così assurdo pretendere di fare il lavoro per cui si è studiato. Che diavolo si studia a fare se poi ci si deve comunque abbassare di livello per svolgere mansioni che non richiedono qualifiche di alcun tipo?

Gianluca Baldini

Ad usum Delphini

Maria Teresa d’Asburgo con suo figlio Luigi, il Gran Delfino, in un dipinto del 1663 di Henri e Charles Beaubrun

Ad usum Delphini è una locuzione latina che significa «per uso del Delfino» ed era presente nei frontespizi dei testi adattati per il primogenito del re Luigi XIV di Francia.[1] In realtà era maggiormente impiegata l’espressione in usum Serenissimi Delphini, la quale col tempo cadde in disuso.[2][3]

Oggi la locuzione viene adoperata in senso spregiativo per indicare qualcosa che è stato alterato col fine di soddisfare interessi di parte.[3][4][5]

Origine e uso

L’espressione nacque in Francia, dove veniva stampigliata sulla copertina dei testi classici greci e latini destinati all’istruzione dell’erede al trono di Francia, Luigi, il Gran Delfino, figlio del re Luigi XIV e di Maria Teresa d’Asburgo.[5] In questi testi venivano censurati i passi considerati scabrosi o comunque non appropriati per la giovane età del Delfino. La collezione di libri ad usum Delphini comprende 64 volumi stampati tra il 1670 e il 1698 per ordine del precettore del Gran Delfino, Charles de Sainte-Maure, duca di Montausier,[6] e sotto la supervisione di Jacques Bénigne Bossuet e di Pierre-Daniel Huet. I testi epurati vennero poi ristampati e utilizzati nelle scuole.[2][3]

In seguito la locuzione passò a indicare l’edizione di un testo semplificata per adattarla alla limitata capacità di apprendimento, per età o per cultura, di una persona, mentre in senso dispregiativo denota la manipolazione di notizie, informazioni o documenti a vantaggio di un dato soggetto o per fini propagandistici.[3]

https://it.wikipedia.org/wiki/Ad_usum_Delphini

Nota: Tali si possono considerare, in tempi moderni,  i media più diffusi (giornali,televisione ecc.)

Call center

Anche questo è esaltato dalle business-school  con termini seduttori: “lean management”, gestione leggera e flessibile, “offshoring”, ossia subappalto  dei servizi d’assistenza alla clientela ad agenzie esterne piene di sottopagati,  di “famelici”.   Così la ditta risparmia “sui costi” come esige non solo la business school, ma persino il Fondo Monetario, la Banca Centrale Europea, Bruxelles e Berlino.

Nella vecchia terminologia aveva un altro nome: “lavoro schiavistico”. Infatti  l’economia dei call-centers presenta tutti gli inconvenienti, noti da secoli, del lavoro degli schiavi: scarsa qualità, meccanicità (e menefreghismo), assenza di lealtà verso il padrone, non volontà di risolvere autonomamente i problemi. In poche parole: un servizio deplorevole, disumanizzato. In una parola:  improduttivo.

I  vecchi capitalisti l’avevano imparato da secoli, si tenevano cari  lavoratori, cercavano di guadagnarsene la lealtà con la fedeltà. I nuovi  –  finanziari, che non hanno mai visto una fabbrica,   sempre alla ricerca della “innovazione” e della “gestione leggera” – quegli investitori che a Wall Street, quando IBM e Caterpillar licenziano, ne fanno rincarare le azioni perché “tagliano i costi” e dunque nel prossimo trimestre “esibiranno un profitto”-  hanno completato il giro, e riscoperto che è furbissimo ingaggiare   dei “famelici”  schiavi, in paesi sottosviluppati,  per i “servizi post-vendita”.

Così  si vede che la persecuzione spietata della “massima efficienza “(massimo profitto) per “il capitale investito”  finisce per essere  – invece – proprio la palla al piede verso la  meravigliosa “società del terziario avanzato”.

estratto da http://www.maurizioblondet.it/grande-innovazione-del-capitalismo-avanzato-gli-schiavi/

Più produttività, più tempo libero

http://www.appelloalpopolo.it/?p=14527

Meno ore di lavoro, più lavoratori impiegati, maggiore produttività, maggiore saturazione degli impianti, meno lavoro nero, il tutto a parità di gettito fiscale; interessante ma non fattibile nel nostro paese; il motivo è molto semplice.

Le politiche salariali dell’Unione Europea per effetto dell’Eurozona (assente in Svezia) vanno in direzione esattamente opposta; la competitività aziendale deve essere ottenuta in assenza d’inflazione e cioè deve scaricarsi interamente sulle retribuzioni orarie. Ciò comporta anche l’abbattimento degli investimenti privati e pubblici e l’inevitabile arretramento della produttività che a sua volta si scarica sull’allungamento dell’orario di lavoro.

In mezzo a tanti “potrebbe”, l’esperimento Svedese va monitorato con attenzione.

Per saperne di più:

http://www.goteborgsfria.se/artikel/98834
http://nyheter24.se/debatt/767075-pilhem-v-darfor-infor-vi-6-timmars-arbetsdag-i-goteborgs-kommun
http://www.vansterpartiet.se/assets/Striden-om-tiden.pdf
http://www.vincitorievinti.com/2015/05/il-disastro-italiano-in-venti-grafici.html
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01/01/istruzione-italia-ultima-i-paesi-ocse-per-spesa-pubblica-in-rapporto-pil/1308888/
http://www.istat.it/it/files/2013/08/La-formazione-nelle-imprese.pdf?title=Formazione+nelle+imprese+-+01%2Fago%2F2013+-+Testo+integrale.pdf
https://www.academia.edu/5889123/The_European_Round_Table_of_Industrialists_and_the_Restructuring_of_European_Higher_Education
http://www.ilpost.it/2012/02/27/chi-lavora-di-piu-in-europa/
http://www.wallstreetitalia.com/article/1684407/eurozona/italiani-lavorano-350-ore-in-piu-dei-tedeschi-infografica.aspx
https://books.google.it/books?id=rXm9N4oqYbUC&pg=PA65&lpg=PA65&dq=curva+efficienza+lavorativa&source=bl&ots=X4NSmYAVoP&sig=k0sqelUHIKm0RzR9ps2DUPXy2c8&hl=en&sa=X&ved=0CDAQ6AEwAmoVChMI1tmNrPKgyAIVxW4UCh0xsQem#v=onepage&q=curva%20efficienza%20lavorativa&f=false
http://www.inps.it/portale/default.aspx?itemdir=6441
http://www.istat.it/it/files/2011/08/B-Dossier-1-ORE-LAVORATE.pdf?title=Ulteriori+misure+per+la+stabilizzazione+-+30%2Fago%2F2011+-+Dossier+1.pdf
http://www.ebiten.it/doc/GLI%20ORARI%20DI%20LAVORO.pdf
http://www.panorama.it/economia/lavoro/ocse-stipendi-orari-lavorare-meglio/
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01/16/ridurre-lorario-lidea-rilanciata-dal-libro-craviolatti/1343754/
http://www.ipasvi.laspezia.net/images/ipafile/newsletter/news_008_salute_turni.pdf
http://www.portalecnel.it/Portale/IndLavrapportiFinali.nsf/vwTuttiPerCodiceUnivoco/7-0/$FILE/7%20-%20%20INDAGINE%20SU%20IL%20LAVORO%20NERO.pdf
http://www.istat.it/it/archivio/sommerso
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/25/lavoro-nero-a-ogni-regione-il-suo/2060927/
http://archivio.articolo21.org/349/editoriale/addio-35-ore-pi-orario-stesso-salario.html
http://www.ilfoglio.it/economia/2015/08/13/francia-lavoro-regola-delle-35-ore-superata-adieu___1-v-131785-rubriche_c642.htm
http://www.cipecomitato.it/it/eventi/2014/giugno/News_0002

Diseguaglianza

A livello universitario, da anni, si assiste a una riduzione progressiva del numero degli iscritti (per non parlare del livello indecente di preparazione fornito a partire dalla “riforma Berlinguer”, che ha abbassato drasticamente la qualità dello studio – il merito, appunto – con l’introduzione del sistema dei “crediti”, dell'”audience” (le cattedre vengono mantenute se c’è un certo numero di frequentanti, ma i corsi più “esigenti” in termini di impegno vengono disertati per quelli più facili che danno comunque “crediti”).

Questa “facilitazione” – accolta con suicida soddisfazione anche da alcune ideologie di movimento – ha rapidamente trasformato alcune facoltà in fabbriche di diplomi di laurea senza alcuna utilità professionale o semplicemente lavorativa. A soffrirne di più, naturalmente, sono state le facoltà umanistiche, che erano anche le uniche a poter fornire un “sapere critico”, ovvero capace – se ce n’era la capacità individuale – di interrogarsi sulle premesse teoriche di quel che si andava studiando. E quindi anche della società in cui si vive.

http://contropiano.org/cultura/item/31433-diseguaglianza-realta-e-ideologia-di-merda

Anni difficili

di Anna Lombroso per il Simplicissimus – 25 febbraio 2015

Non venitemi a dire che gli “anni difficili” erano più difficili dell’oggi. La povertà era riscattata dalla speranza, l’ignoranza era una condanna o una colpa, l’ambizione era un vizio, come l’avidità, l’egoismo era un difetto,  la vanità era una debolezza, il cinismo era una depravazione, come tutto il resto soggetto a riprovazione e scandalo.

Se avevi un po’ di fortuna, anche se non eri nato nel posto giusto, nella casa giusta, dalla famiglia giusta, per via di quella lotteria naturale che giusta non è mai, potevi imbatterti in buoni maestri, potevi sottrarti alle visioni maggioritarie, potevi “non accettare”, senza essere considerato gufo o pazzo, potevi incontrare bei libri e bei film, perfino tra quelli premiati, potevi addirittura convincerti che se ti avvicinavi alla politica, avresti contribuito a “cambiare il mondo” oltre che la tua vita, potevi addirittura persuaderti che il “miracolo economico” non sarebbe sfociato nell’idolatria dei consumi, potevi addirittura illuderti che la belva del capitalismo si potesse addomesticare con le riforme,  che la marcia di guerra dello sfruttamento potesse essere fermata dal fronte unitario dei lavoratori. E le utopie non erano debolezze romantiche di allucinati fuori dalla realtà, ma il modo per sopportarla immaginando di saperla mutare in altro e in meglio.

leggi tutto in https://ilsimplicissimus2.wordpress.com/2015/02/25/renzi-legalmente-al-di-la-del-bene-e-del-male/

Ricominciamo dal futuro

Nel 1978, Lasch paragonava i dati dei valori consolidati delle due nazioni, laddove in Italia al primo posto c’erano l’erotismo e la sessualità, seguito dalla libertà civile, dall’autonomia, dalla cultura, dalla famiglia, dall’eleganza, e infine al settimo posto il danaro. 
In Usa, invece, per la prima volta dopo 50 anni, il danaro era finito al primo posto, seguito al secondo posto da una novità per quei tempi inconcepibile (motivo che aveva stimolato in lui l’ispirazione per scrivere quel bel testo): la visibilità e il culto dell’immagine; al terzo posto l’idea del sogno americano, al quarto posto la libertà d’impresa.
… Oggi, purtroppo per noi (dato che stiamo in Italia) le parti si sono rovesciate. Per il terzo anno consecutivo, in Italia, il danaro rimane consolidato al primo posto dei valori cardine dell’esistenza, seguito dal cibo, dal lavoro con contratto indeterminato, dalla famiglia, dalla fama e notorietà, dai viaggi, con l’erotismo e la sessualità scesi al settimo posto.

Si cambia e si migliora soltanto se si va verso il futuro.
Con tutti i rischi che comporta, ben vengano.
E senza idee, senza progettualità, senza cultura, senza istruzione, senza competenze, non esiste nessun futuro. Si è condannati a scannarsi per delle briciole ricavate da piccole fette di torta cotte a puntino da chi vuole che si parli soprattutto di danaro, che è il loro cavallo di battaglia perché di questo vivono. Sulla pelle di tutti.

Sergio Di Cori Modigliani

estratto da http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it/2014/04/ma-lo-sappiamo-dove-stiamo-andando-e.html

futurobv

Il carattere degli Italiani

Fermo restando che rimane fondamentale su questo tema il” Discorso sopra i costumi degli Italiani” di Giacomo Leopardi, in estrema sintesi direi che la caratteristica saliente degli italiani è il pressapochismo.

Probabilmente dovuto alla concorrenza di più fattori: storica scarsità di mezzi, scarsa affezione per il lavoro (siamo cattolici, non protestanti), nepotismo.

Come tutti i difetti, il contraltare positivo è la creatività (che nasce come arte di arrangiarsi), ma che non va certo disgiunta da una solida preparazione, se si vuole anche l’originalità.

A questo proposito, ricollegandomi al post precedente, una scuola che costringa ad una preparazione costante e precisa (anche se si può discutere sull’oggetto della medesima) si porrebbe certamente come efficace correttivo di questa deleteria tendenza.

Va da sé che il modello di scuola gesuitica alla quale era ispirato per filiazione diretta il liceo classico (anche a Ferrara, dopo il 1860 si limitò a cambiare nome) è stato progressivamente abbandonato; però, nei momenti di crisi, e lo dimostra la scelta dell’ultimo papa, diventa l‘extrema ratio.