Chi avrebbe detto che io, che ho passato tutta la mia vita professionale a studiare le ipotesi di riforma della scuola secondaria superiore, mi sarei ritrovato a condividere il pensiero di Diego Fusaro che ne fa l’elogio!
Il fatto è che (e qui dissento dal Fusaro-Preve pensiero) non tutti i sessantottini parlavano di cambiare il mondo per non studiare (anche se poi credo anch’io che per la maggioranza fosse così), volevano solo studiare ANCHE altre cose.
Ad ogni modo, tornando a Gentile “ci ha lasciato un dono meraviglioso, per il quale dovremmo essergli eternamente grati: il Liceo classico. Come spesso accade, ci si accorge dell’importanza di una realtà a cui siamo abituati solo allorché essa comincia a venire meno, come accade quando manca l’aria: così è per il Liceo classico, la migliore scuola del mondo, concepita dal Gentile ministro dell’Istruzione, fautore della migliore riforma della scuola di cui il nostro Paese abbia ad oggi beneficiato; riforma, certo, discutibile finché si vuole, se si considera che già Gramsci, non senza buone ragioni, la accusava di classismo. Riforma discutibile finché si vuole, sì, ma pur sempre la migliore di cui questo Paese abbia beneficiato.
Resta, d’altro canto, il fatto che il Liceo classico ha reso possibile la superiorità culturale di intere generazioni di liceali italiani rispetto ai loro coetanei di tutto il mondo (provate ad andare in Germania o in Francia per accorgervene). Con l’insegnamento del latino e del greco, ma poi anche con il nobile progetto di formare uomini in senso pieno, unendo tra loro la paideia greca, la raison illuministica e la Bildung romantica, il liceo classico ideato da Gentile resta un unicum nel panorama mondiale e oggi, possiamo dirlo, una vera e propria forma di resistenza al generalizzato “cretinismo economico” (Gramsci) che la cosiddetta mondializzazione sta esportando in ogni angolo del pianeta: cretinismo in forza del quale sempre meno si pensa e sempre più si calcola, in un desolante paesaggio in cui il greco e il latino, la filosofia e l’arte sono liquidati come “inutili” (sic!) dalla stolida ragione calcolatoria che pretende di essere la sola sorgente di senso.
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