Il barone folle

Si chiamava così una trasmissione di Radio Alto Ferrarese (probabilmente per una citazione da Hugo Pratt), ma il personaggio è realmente esistito:

15 Settembre 1921. A Novonikolaievsk (oggi Novosibirsk, in Siberia) un plotone d’esecuzione fucila il barone Roman Feodorovitch von Ungern-Sternberg; ha 36 anni. Lui stesso dà l’ordine di sparare.
Era nato a Graz (in Austria) ma aveva vissuto a Reval (oggi Tallin, Estonia), in una delle famiglie dell’antica nobiltà tedesca del Baltico. Tra i suoi antenati: cavalieri crociati, nobili baltici membri dell’Ordine Teutonico, ma anche alchimisti e corsari. La sorella era sposata con il filosofo Hermann Keyserling.
A 18 anni era entrato nel Corpo dei Cadetti dello Zar a San Pietroburgo.
Durante la Guerra russo-giapponese chiese inutilmente di poter andare a combattere ma ai cadetti non era concesso e fece in modo di essere espulso dalla Scuola per raggiungere la Manciuria ma quando si mise in viaggio il conflitto era già finito.
Partì quindi verso Est, a cavallo e con la sola compagnia di un cane, viaggiò per un anno, lungo i percorsi dei nomadi, giungendo fino a Urga (oggi Ulan-Bator), capitale della Mongolia.
Entrato nell’Accademia militare ne uscì finalmente con il grado di ufficiale nel 1909. Fu assegnato ad un reparto di Cosacchi e inviato in Siberia.
Particolarmente predisposto all’apprendimento delle lingue, giunse a parlare correttamente il russo, il tedesco, l’estone, l’inglese, il francese e vari dialetti asiatici.
A 26 anni, con la cacciata dei Cinesi dalla Mongolia, ricevette dal Buddha Vivente il comando della cavalleria mongola. Seguì un periodo di viaggi nell’Europa occidentale: in Austria, in Germania, in Francia. Niente però lo interessava veramente, niente per lui era più affascinante delle terre siberiane.
Allo scoppio della Prima guerra mondiale si trovava a Parigi e rientrò immediatamente in Russia per riprende il suo posto militare.
Al comando di uno squadrone di Cosacchi, nel giugno 1915 combatté contro gli Austro-ungarici sui Carpazi.
Nel corso dei combattimenti in Galizia e in Volinia fu ferito quattro volte; per l’eroico comportamento fu decorato con la Croce dell’Ordine di San Giorgio, con la croce dell’Ordine di San Vladimiro e con quella dell’Ordine di San Stanislao.
I suoi combattimenti proseguìrono sul fronte armeno contro i turchi nel 1916 al fianco dell’atamano Grigorij Semenov.
All’inizio della rivoluzione bolscevica, a Reval, Roman von Ungern-Sternberg organizzò reparti di Buriati per affrontare i bolscevichi, poi raggiunse il suo amico, l’atamano Semenov nei pressi del lago Baikal, e formò un Reggimento contro-rivoluzionario, formato da mongoli, cosacchi, serbi, giapponesi, coreani e cinesi iniziando gli attacchi contro l’Armata Rossa in Manciuria e Siberia.
Nel 1918 formò un governo provvisorio contro-rivoluzionario in Transbajkalia, lanciando l’idea (un sogno al quale puntò concretamente) della realizzazione di una Grande Mongolia reazionaria dal lago Baikal al Tibet e dalla Manciuria al Turkestan.
Strumento di guerra dei suoi progetti geopolitici era l’esercito che aveva formato e che aveva chiamato Divisione Asiatica di Cavalleria.
Nel gennaio 1919 a Cita organizzò una Conferenza pan-mongola, con buriati, mongoli e altre minoranze.
In quella occasione sostenne l’idea della restaurazione di una teocrazia lamista, evocando Gengis Khan e la restaurazione dell’ordine tradizionale dell’Eurasia.
Inviò anche un suo rappresentante alla conferenza di pace a Versailles ma i suoi progetti furono silurati da uno dei comandanti delle Armate Bianche, l’ammiraglio Koltchak,
I sovietici lo temevano più di tutti gli altri avversari, considerandolo il più formidabile nemico, da annientare. “Vive circondato da lama e da sciamani… Si proclama buddista per il gusto dello scandalo e dell’insolito. Ma sembra piuttosto far parte di una setta anticristiana e antisemita baltica. I suoi nemici lo chiamano “il Barone folle”… E’ soprattutto il più duro e coraggioso dei suoi cavalieri”, dicevano di lui i Rossi.
Scriverà di sé: “Mi piace essere chiamato Barone folle. In un mondo capovolto come il nostro dalla Rivoluzione, le menzogne sono divenute verità e la saggezza derisione. Per Trotzski, fermo nel suo sogno messianico, io sono dunque un pazzo. Quale omaggio alla mia lucidità! Quando l’universo crolla, tutto diviene possibile. Mille cavalieri possono ancora sollevare l’Asia. E’ sufficiente un capo dal pugno di ferro”.

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