E per difetto di un’equa distribuzione della ricchezza, d’ un più giusto riparto dei prodotti, d’un aumento progressivo della cifra dei consumatori, il capitale stesso si svia dal suo vero scopo economico, s’immobilizza in parte nelle mani dei pochi invece di spandersi tutto nella circolazione, si dirige verso la produzione d’oggetti superflui, di lusso, di bisogni fittizi, invece di concentrarsi sulla produzione degli oggetti di prima necessità per la vita, o si avventura in pericolose e spesso immorali speculazioni.
Oggi il “capitale” – e questa è la piaga della Società economica attuale – è despota del lavoro. Delle tre classi che oggi formano, economicamente, la Società – “capitalisti”, cioè detentori dei mezzi o strumenti del lavoro, terre, fattorie, numerario, materie prime – imprenditori, capi-lavoro, commercianti, che rappresentano o dovrebbero rappresentare l’intelletto – e operai che rappresentano il lavoro manuale – la prima, sola, è padrona del campo, padrona di promuovere, indugiare, accelerare, dirigere verso certi fini di lavoro. E la sua parte negli utili del lavoro, nel valore della produzione, è comparativamente determinata: la locazione degli strumenti del lavoro non varia se non tra limiti noti e ristretti; e il tempo, fino a un certo segno almeno, è suo, non in balìa dell’assoluto bisogno. La parte dei secondi è incerta, dipendente dal loro intelletto, dalla loro attività, ma segnatamente dalle circostanze, dallo sviluppo maggiore o minore della concorrenza e dal rifluire o ritirarsi, in conseguenza d’eventi non calcolabili, dei capitali.
La parte degli ultimi, degli “operai”, è il “salario”, determinato “anteriormente” al lavoro e senza riguardo agli utili maggiori o minori che usciranno dall’ impresa; e i limiti fra i quali il salario si aggira, sono determinati dalla relazione che esiste fra il lavoro offerto e il lavoro richiesto, in altri termini, tra la “popolazione” degli operai ed il “capitale». Ora la prima tendendo all’aumento e ad un aumento che supera generalmente, non fosse che di poco, l’aumento del secondo, il salario tende, dove altre cause non si interpongano, a scendere.
Giuseppe Mazzini (I doveri dell’uomo, 1860)
estratto da http://www.appelloalpopolo.it/?p=15400