Riprendendo la critica di Nietzsche all’intellettualismo, di cui Socrate fu maestro, Ortega afferma che il tema del nostro tempo consiste nel «sottomettere la ragione alla vitalità», nel «mostrare che sono la cultura, la ragione, l’arte, l’etica a dover servire la vita.» È una visione più ampia, più articolata quella proposta dal filosofo spagnolo, che parte dalla vita di ciascuno, dalla necessaria coesistenza con le cose, dal drammatico confronto tra io e mondo. La realtà non può che offrirsi in prospettive individuali, sicché «tutte le epoche e tutti i popoli hanno posseduto la loro congrua porzione di verità.» Ogni popolo ed ogni epoca, anzi ogni generazione (è questa una nozione fondamentale per Ortega, se si vuole davvero comprendere il perché della storia, che è di continuo e sempre mutamento) ha una propria sensibilità vitale, che le consente di raggiungere alcune verità e di non percepirne altre: «Da diversi punti di vista due uomini guardano lo stesso paesaggio. Eppure non vedono la stessa cosa. (…) Ognuno dei due uomini percepirà porzioni di paesaggio che non arrivano agli occhi dell’altro. Avrebbe senso che ciascuno dichiarasse falso il paesaggio dell’altro? Evidentemente no; è reale tanto l’uno quanto l’altro. E non avrebbe senso nemmeno che i due uomini, poiché i loro paesaggi non coincidono, si mettessero d’accordo e li giudicassero illusori. (…) La realtà, come un paesaggio, ha infinite prospettive, tutte egualmente veridiche ed autentiche. La sola prospettiva falsa è quella che pretende di essere l’unica.»
Oggi il razionalismo trionfa nello scientismo. Anticipando i rilievi critici mossi allo scientismo dai filosofi dell’ecologia (da Arne Naess a Rupert Sheldrake), Ortega trova le radici della fisica moderna e, più in generale, di un atteggiamento dello spirito che sopravvaluta la costruzione razionale a scapito della spontaneità e immediatezza della vita, nella filosofia di Cartesio: «L’entusiasmo di Cartesio per le costruzioni della ragione lo portò a realizzare un’inversione completa della prospettiva naturale dell’uomo. Il mondo immediato ed evidente che i nostri occhi contemplano, che le nostre mani palpano, che le nostre orecchie percepiscono, è composto di qualità: colore, solidità, suono ecc. Questo è il mondo in cui l’uomo era vissuto e vivrà sempre. Ma la ragione non è in grado di maneggiare le qualità. Un colore non può essere pensato, non può essere definito. Deve essere visto. In altre parole, il colore è irrazionale. Al contrario il numero coincide con la ragione. Attenendosi soltanto a se stessa, essa può creare l’universo delle quantità attraverso concetti dai contorni chiari e ben marcati. Con eroica audacia, Cartesio decide che il vero mondo è quello quantitativo, quello geometrico; l’altro, il mondo qualitativo e immediato, che ci circonda pieno di grazia e di suggestione, viene squalificato e considerato in un certo senso come illusorio.»
Da tale atteggiamento dello spirito, che avrebbe di lì a poco dominato nei salotti, nelle piazze e nei laboratori, nasce il temperamento rivoluzionario che vedremo all’opera nel 1789 e nel 1917. Se infatti ciò che conta è la ragione, se è solo la ragione che può decretare come dev’essere ogni istituzione politica, allora le istituzioni tradizionali sembreranno inette e ingiuste, e il passato e il presente potranno essere soppiantati da un futuro costruito a tavolino. Sennonché, chiosa il filosofo spagnolo, «incominciamo a sospettare che la storia, la vita, non possa né debba essere governata da princìpi, come accade nei libri di matematica. È un’incongruenza ghigliottinare il principe e sostituirlo con il principio.» La filosofia della ragione vitale, contro l’utopismo e il progressismo, ci permette di cogliere il senso della vita. E «il senso della vita non è altro che accettare ognuno la propria inesorabile circostanza e, nell’accettarla, trasformarla in una creazione nostra.»
estratto da https://www.barbadillo.it/91486-ortega-y-gasset-e-la-lotta-contro-le-false-verita-progressiste/