La Patafisica, solo a nominarla, potrebbe gettare nel panico l’impreparato interlocutore. “Pata… che?” D’altronde il termine si presta alla sinonimia colta e un po’ stravagante, volendo indicare persone o situazioni strampalate, astruse, cervellotiche. Riduzionismo e versatilità, come nel caso di Metafisica, facilmente spendibili in svariati contesti, talvolta anche a casaccio, forse perché il vero significato tende a sfuggire. Cercheremo quindi di porre rimedio partendo dalle origini, ma non promettendo spiegazioni divulgative, giacché per sua natura la categoria tende a respingerle. La Patafisica, scienza delle soluzioni immaginarie, è indissolubilmente legata allo scrittore francese Alfred Jarry, sicché collocabile in quanto a genesi alla fine dell’800. L’ideatore di Ubu Roi, già a partire da quel liberatorio Merdre! (contrazione di mère e merde) può essere definito uno dei precursori delle avanguardie letterarie, tant’è che il Surrealismo gli tributò doverosi omaggi, assieme a quell’altra fonte d’ispirazione, individuabile ne Les Chants de Maldoror di Lautréamont. Jarry, morto a soli 34 anni con l’ultimo desiderio di mettersi in bocca uno stuzzicadenti, è personaggio incredibilmente affascinante, in parte ancora legato al maledettismo poetico (assenzio & indigenza), in parte già proiettato nelle destrutturazioni nichilistiche del ‘900.
Di primo acchito, oltre all’esaltazione di atteggiamenti assurdi, grotteschi, immaginifici, traspaiono in questa corrente artistica elementi curiosi, spesso poco sondati. Anzitutto il riferimento alla scienza, che considerando la filiazione simbolista, scapigliata ed irrazionale, assume in questo caso connotati volutamente contraddittori e vagamente goliardici. Per fare alcuni esempi: quando Yves Klein immagina la fondazione dell’epoca blu, quando Guy Debord delinea i melmosi confini della società dello spettacolo, quando Carmelo Bene interloquisce con gli zombie da Costanzo, quando Fulvio Abbate sbertuccia luoghi comuni e trombonesche pose dalla sua televisione monolocale, siamo in odore di patafisica. Eppure l’attitudine libertaria degli affiliati, lungi dal cazzeggio ideologico progressista, conserva probabilmente l’ultimo prezioso scampolo di romanticismo della cultura europea. Dietro l’impalcatura avanguardista e parascientifica, i patafisici escogitano soluzioni spiazzanti, che spesso hanno il sapore artigianale della reazione antimoderna, del sabotaggio studiato in osteria. Sembra paradossale, ma è come un cerchio nel punto di chiudersi: sarà più probabile incontrare un patafisico (ma sarà Egli a venire da voi, parlando d’altro) in una bettola, tra vecchi che giocano a carte, dal calzolaio (quanto è patafisico il calzolaio nella sua bottega magica?) piuttosto che in convegni, mostre, celebrazioni culturali dal gusto istituzionale.
Il patafisico, tendenzialmente anarchico e snob, non solo rifugge la pompa retorica, ma addirittura se ne appropria per vampirizzarla e svuotarla di significato. Pensiamo ai tronfi Generali sovraccarichi di medaglie dipinti da Enrico Baj, ma anche alla struttura stessa delle istituzioni patafisiche, con tutti quei rimandi massonici, esoterici ed altisonanti: il Collegio di Patafisica (promosso tra gli altri da Raymond Queneau) con la sua emanazione detta OuLiPo (Ouvroir de Littérature Potentielle); l’”Istituto di Alti Studi Patafisici di Buenos Aires, l’”Institut Limbourgeois de Hautes Etudes Pataphysiques” del Belgio, “L’Accademia Olandese di Patafisica”, il “London Institute of Pataphysics”, mentre in Italia ci sono il “Turin Institute of Pataphysics” con l’artista Ugo Nespolo quale Proto-provveditore, l’”Institutum Pataphyisicum Parthenopeium”, l’”Istituto dei Ventilati Patafisici Benacensi” e l’”Istituto Patafisico Vitellianense” retto da Afro Somenzari e approvato dal summenzionato Enrico Baj. Non solo, anche i titoli diventano pretesti ludici: sua Magnificenza, il Trascendente Satrapo, L’Imperatore Analogico, tutta una serie di “vice-qualcosa”, di cariche autoironiche, oltre ad una simbologia (la giduglia, la candela verde, il vascello) utilizzata nei carteggi, che prevede timbrature, annulli postali, sigilli.
I patafisici, insomma, sembrano vivere in un mondo parallelo, dove si ride di nascosto per non destare sospetto, dove si osservano rituali e procedure con lo scrupolo di una loggia, salvo poi sparire al momento della cerimonia, lasciando così i preparativi alchemici nelle mani del primo venuto. Estremo scrupolo ed estrema noncuranza, coesistono. Essi seguono un calendario di 13 mesi (l’Era Patafisica inizia l’8 settembre 1873, giorno della nascita di Alfred Jarry) e scardinano con gusto raffinato la logica – pur mantenendo una ossequiosa devozione per la forma – solo per il piacere di organizzare un’immaginaria enclave di libertà. Sosteneva il (fantomatico? L’affermazione titolata patafisica è sempre un’incognita, sovente una trappola) dottor Sandomir: “La ’Patafisica pazienta; è benigna; la ’Patafisica non compete mai, non deraglia mai, non è obesa, non ambisce affatto, non cerca il suo vantaggio, non si irrita, non pensa male; non ride dell’iniquità: non gioisce della verità scientifica; sopporta tutto, crede tutto, spera tutto, essa sostiene tutte le cose”. Ecco, quando in società vi capiterà d’incontrare un distinto signore intento a pontificare sulla piattezza della terra e di quanto naturalmente il sole giri attorno ad essa, non è sempre detto che si tratti di un paranoico complottista. Forse è solo un personaggio fittizio, la vostra ombra orante, un fantasma delle vite antecedenti, l’angelo della faccia; oppure un patafisico che vi sta offrendo l’ambrosia. Mai rifiutare.
Donato Novellini in http://www.barbadillo.it/61079-artefatti-arruolarsi-allosteria-patafisica-in-guerriglia-con-la-modernita/